Nella settimana che ha sconvolto il calcio per il decesso di Diego Armando Maradona, si gioca un derby toscano di serie C che se ha poco da chiedere al terreno di gioco, nessuna possibile richiesta può pervenire dagli spalti che sono desolatamente vuoti come lo saranno sicuramente fino a fine anno, ma la previsione è di continuare su questo trend anche per l’inizio del 2021.
Diverse tifoserie hanno continuato a mostrarsi, cercando di affiggere qua e là nelle città striscioni inerenti le più svariate tematiche, da quelli dei saluti personalizzati a quelli offensivi verso una tifoseria rivale oppure verso un singolo giocatore, fino agli immancabili appelli rivolti alle autorità locali o alla presidenza di turno. Un modo per restare “sul pezzo”, impossibilitati ad entrare negli stadi, sradicati dalle forme di tifo più elementari, gli ultras hanno dovuto loro malgrado trovare una via di fuga alternativa, che sia lo striscione affisso nei pressi dello stadio o una torciata organizzata per un evento specifico.
Se gli ultras amaranto nella scorsa partita interna si erano prodigati in una serie di fuochi artificiali accesi fuori l’impianto durante il secondo tempo dell’incontro, in questa partita non hanno mancato di rivolgere un pensiero a Maradona con un lungo striscione posizionato all’esterno della Curva Nord: “Maradona campione del popolo. Livorno piange un rivoluzionario”.
Non entro nel giudizio né della persona, né del giocatore: sarebbe troppo semplice asserire che è stato uno dei migliori giocatori della storia del calcio, un genio e come tutti i geni ha avuto degli alti e dei bassi.
Tra tutti i video ed i frame che si sono susseguite sugli schermi televisivi e sui giornali, mi è rimasta impressa l’immagine di Maradona versione tifoso alla “Bombonera”, a cavalcioni sulla vetrata, torso nudo, collana d’ordinanza, bandiera e cappello marcati Boca. La semplicità di un personaggio, la passione verso una squadra ed un’immagine che desta curiosità in quanto non rientra nell’immaginario collettivo in riferimento ad un fuoriclasse. Eppure sono state spese parole al miele su questa immagine, non un giudizio negativo, un costante plauso per un comportamento “normale” tenuto da una persona speciale.
E così si applaude Maradona versione ultras ma si punta il dito contro gli ultras. Ci piace ricordare la passione, il trasporto che si vive durante una partita, l’esuberanza durante quei novanta minuti ma si continua a reprimere qualsiasi forma di aggregazione, a dissolvere quel sentimento di festa collettiva, ad azzerare il colore negli stadi e soprattutto nelle curve. Incredibile come spesso ci si lamenti di ciò che consapevolmente abbiamo tolto. Perché non si può tornare indietro con uno schioccare di dita, gli errori, alcuni imperdonabili, son già stati fatti con decisioni cervellotiche che spesso sono andate in direzione opposta a ciò che era l’obiettivo. Il dopo Raciti, vicenda quanto mai attuale visti gli ultimi sviluppi, ha indebolito gli ultimi grandi gruppi ultras italiani già in ginocchio per un’infinita vastità di motivi con la conseguente nascita di microgruppi spesso slegati anche tra di loro, desiderosi di mettersi in evidenza per elevarsi all’interno della propria tifoseria. Un’assurda corsa al potere all’interno delle stesse tifoserie che spesso non ha risparmiato niente e nessuno, cancellando rapporti d’amicizia, instaurandone di nuovi ed alterando gerarchie e metodi di comportamento che sono stati spesso stravolti. Ancora una volta verso i gruppi ultras è stato usato il pugno duro. L’inasprimento delle leggi emanate a caldo, di pancia, senza un’attenta analisi del fenomeno e del contesto hanno prodotto solamente caos ed un’apparente giro di vite.
Si piange Maradona e ciò è lecito, si piange e si ricorda per quello che ha dato al calcio, al Napoli, a Napoli e ai napoletani, per ciò che ha fatto con la maglia dell’Argentina, per quell’incredibile gol di mano e quell’altrettanto incredibile serpentina.
Slegata da questa vicenda ne esiste un’altra che è meno romantica ma ugualmente triste perché vede pure in questo caso una morte, una morte violenta, quella dell’ispettore Raciti che a distanza di ben tredici anni non ha ancora una verità assoluta. Intanto Antonino Speziale sogna una verità diversa da quella fino ad oggi mostrata, sperando che sia fatta luce su un caso che potrebbe screditare quegli apparati che hanno costantemente provato a far salire sul banco degli accusati solo ed esclusivamente un ragazzo che ai tempi dei fatti aveva solo diciassette anni. Da evidenziare, infine, come la condanna di otto anni sia quasi completamente scontata. La repressione, in questo caso, sarà sinonimo di ingiustizia? Intanto versiamo altre lacrime.
Valerio Poli