Partiamo subito dal finale di partita, dal risultato che condanna il Livorno alla serie D e di fatto salva la Pro Sesto che scansa pure i play out. Il girone A della serie C è un pianto a dirotto per le squadre toscane: Livorno, Lucchese e Pistoiese precipitano al piano di sotto, nell’inferno dei dilettanti e ad essere sinceri, visti i risultati sul terreno verde, i rimpianti sono davvero minimi considerando che non sono stati raggiunti neppure i play out, ultimo salvagente al quale attaccarsi per tentare l’impresa di una salvezza sul filo di lana. Niente da fare, nessun miracolo sportivo ed anche all’Armando Picchi completamente deserto, gli unici rumore che si sentono a fine partite, sono i canti euforici degli ospiti mentre i giocatori in maglia amaranto escono a testa bassa e con qualche inevitabile lacrima.

Il Livorno termina il campionato come fanalino di coda, quattro retrocessioni in sette anni delle quali due consecutive. Il curriculum non è dei migliori e se questi continui salti all’indietro non rappresentano un record, per quanto negativo, danno comunque l’idea di un sodalizio che ormai fa acqua da tutte le parti. La stagione appena conclusa, tra punti di penalizzazione e situazioni ai confini della realtà, confermano come l’attuale società si sia dimostrata, risultati alla mano, inadatta ad affrontare un campionato di serie C.

A questo punto chi far salire sul banco degli imputati? In primis la dirigenza e se proprio si deve trovare l’aspetto positivo, se fino ad oggi a Livorno esistevano due partiti ben distinti, gli “Spinelliani” e gli “anti Spinelliani” con questi ultimi a mio parere in minoranza, al termine di questa infausta stagione i rapporti di forza si sono completamente ribaltati ed oggi, trovare un tifoso ancora fedele al presidente Spinelli è impresa ardua.

Su quest’ultimo punto la tifoseria però non può più trovare quel collante che negli ultime anni è completamente mancato. La “guerra” alla presidenza non può prescindere da una presa di posizione interna e da una riorganizzazione dell’intero panorama del tifo amaranto, partendo da una curva che deve necessariamente trovare la retta via, passando da quei club che si sono lentamente allontanati dallo stadio mutando uno status che li ha portati da spettatori a telespettatori. La desertificazione pre-Covid dei gradoni dell’Armando Picchi è il termometro di un disinnamoramento che fa storcere il naso a chi pensava che il calcio a Livorno fosse pane quotidiano. Le cause di questo fenomeno sono molteplici ma focalizzare l’attenzione su un motivo solamente, sia questo la scarsezza di risultati della squadra, una società inesistente o toccando temi a noi più sensibili, la repressione in atto ed un calcio spezzatino che in certe categorie è assolutamente devastante per il tifoso, sarebbe riduttivo. Occorre fare autocritica, compattare l’ambiente e tornare, se possibile, ai vecchi principi. Con una forma di umiltà mista a realismo, occorre pensare e accettare l’idea che gli anni di serie A della squadra con in rosa i vari Lucarelli, Balleri Galante, Amelia, Diamanti sono stati belli, esaltanti, con una tifoseria che accompagnava la squadra in massa, con l’entusiasmo a mille, ma è stato l’apice sportivo di un sodalizio che storicamente si è barcamenato, spesso senza troppa gloria, nei campionati di serie C. Il più delle volte il mondo ultras utilizza frasi ad effetto per dimostrare il proprio attaccamento alla maglia ed alla città, per esaltare il proprio amore incondizionato, “Siamo sempre con voi”, “Il Livorno siamo noi”, “Non vi lasceremo mai”, sono espressioni tanto belle quanto difficili da mantenere. Ed ecco il punto: al di là della categoria ed al di là dei giocatori che indossano la maglia, occorre portare avanti un discorso collettivo che coinvolga l’intero tifo amaranto. Questo vale in una piazza come Livorno ma è un discorso che si può allargare ad altre realtà. Del resto ricordare continuamente il glorioso passato è piacevole, affascinante ma non del tutto costruttivo: il “Grande Torino”, il Bologna “squadrone che tremare il mondo fa” o i sette scudetti della Pro Vercelli sono ricordi indelebili ma decisamente ingialliti, la realtà ci pone squadre che vivacchiano e forse sarebbe più utile costruirsi un futuro che rimpiangere un passato che non ritornerà.

A Livorno la serie D non deve diventare un dramma sportivo, occorre ripartire: l’augurio per i tifosi e gli ultras amaranto è quello di trovare una proprietà solida con programmi seri ma soprattutto, se ci sarà la possibilità, Covid permettendo, sarebbe auspicabile tornare a palpare quell’entusiasmo che ha caratterizzato la tifoseria amaranto a prescindere dalla categoria.

Valerio Poli