Se viaggiare è uno dei modi per approfondire le proprie conoscenze, allora sono sulla buona strada. Con un amico di Gela (che vive a Genova) decido di farmi una bella traversata dal Piemonte a Livorno. Le ore di viaggio non sono poche mentre le ore di sonno sì.
La sveglia è alle 6, prendo il primo treno disponibile che mi accompagna a Torino, manco il tempo per fare colazione. Il sole ancora non sorge, è un sabato qualunque, di primo mattino ci vuole sempre qualcosa di pesante che mi copra dal freddo, quindi credo che vestirsi a strati in una giornata come questa sia la scelta più giusta, visto che in Toscana è previsto sole e caldo.
Da Torino in circa due ore arrivo a Genova e da lì in poi proseguo in auto, in buona compagnia. L’arrivo a Livorno avviene in largo anticipo, rispetto al tabellino di marcia, così dirottiamo sul lungomare vicino allo stadio, guardando con un misto di ammirazione e invidia le persone che prendono il sole in spiaggia, qualcuno addirittura con i piedi in acqua. Le strade di Livorno sono affollate, nei pressi dello stadio – anche se manca ancora un po’ al calcio d’inizio – qualcuno già gira con la maglia “Livorno è la mia città”, segnale che in qualche modo mi introduce e accende il clima partita.
Il tempo vola e così anche noi prendiamo la strada verso lo stadio Armando Picchi, impianto storico che è stato teatro anche dei tempi d’oro della serie A, seppur in anni non recentissimi, e che oggi si trova a ospitare un’importante incontro di Serie C contro la Samb. Importante forse più per il blasone delle due piazze e la tradizione delle due tifoserie che non per la classifica, dove Arezzo, Ravenna e Ascoli fanno l’andatura, mentre le due compagini qui contrapposte, stazionano più placidamente a metà graduatoria.
Il pubblico non è quello delle grandi occasioni sul fronte locale, più che altro perché da qualche tempo monta una certa contestazione verso la società, tanto che in vetrata non trovano posto nemmeno i classici striscioni del tifo labronico, ma ne campeggia uno di carta contro il presidente Joel Esciua: “SOCIETÀ DI FALLITI E CIALTRONI: ESCIUA FUORI DAI COGLIONI”.
I primi quindici minuti vedono il settore vuoto, a ulteriore dimostrazione del dissenso degli ultras. Sul fronte ospiti, gli ultras della Samb sono fin da subito molto belli da vedere, autori poi di un tifo sopra le righe per tutti i novanta minuti. Anche gli adriatici espongono uno striscione, che verrà poi lasciato per tutta la partita in vetrata, dedicato a Serra, gemellato riminese che sta attraversando un periodo non semplice.
Dopo i primi minuti di silenzio e vuoto, gli amaranto prendono posto nella zona centrale della curva, cominciando a cantare da qui a tutto il resto della partita, rivolgendosi in particolar modo contro l’attuale proprietà. Tante le bombe carta a squassare l’aria, l’antifona è chiara anche ai più distratti, e seppur alla fine il Livorno trovi una buona vittoria in campo, resta il disappunto per una situazione ambientale di evidente incompatibilità fra le parti.
Si conclude così una di quelle partite in cui, oltre che coniugare relax e buon tifo in una città e in una regione che ancora non avevo visitato prima, l’alto tasso ultras sugli spalti è stato il vero valore aggiunto e il motivo principale per cui macinare km. Oltre alle solite certezze marchigiane, la promessa e la speranza è quella di ritornare a Livorno per rivedere i padroni di casa con i classici striscioni al loro posto e magari con i venti di contestazione spazzati via da una squadra finalmente all’altezza delle loro ambizioni.
Davide Gallo

































































