Per la mia prima in terra svizzera scelgo la tappa più accessibile logisticamente. Con una sola ora di pullman da Milano sono a Lugano. La fermata è proprio attaccata allo stadio, per cui subito mi dirigo all’esterno dove, a parte qualche semplice scritta “Ultras Lugano”, non trovo un territorio particolarmente marchiato dagli ultras.
Entro in campo quando manca un’ora e lo stadio è completamente vuoto, nemmeno una persona: ci sono solo gli steward che bagnano la pista d’atletica per evitare che eventuale pirotecnica possa danneggiarla. I due settori coperti sono molto moderni, addirittura vi è una tribuna vip completamente in vetro con tanto di poltrone, mentre le due curve (casa e ospiti) sono semplicemente composte da 4-5 gradoni senza sediolini, due vere e proprie “fans zone”.
Gli ultras delle due compagini entrano quasi contemporaneamente ed effettueranno entrambi un buon tifo. Molto particolare il fatto di trovarsi nella stessa nazione ma sentire cori in lingue diverse (italiano e tedesco). Tipicamente all’italiana quelli del Lugano, i lucernesi invece sono difficili da definire per il loro modo di tifare, i cui cori sono tutti cantati con il supporto di un tamburo molto forte, ma senza mai nemmeno un coro a ripetere, mentre spesso e volentieri si abbracciavano e saltavano tutti insieme. Unica nota dolente è che non sia stata accesa nemmeno una torcia o un fumogeno, ma d’altronde anche da queste parti la pirotecnica ha subito una pesante criminalizzazione quindi è facile immaginare i motivi di questa lacuna.
In campo finisce 1 a 0 per i padroni di casa ed i calciatori, dopo il triplice fischio dell’arbitro, fanno il giro di tutto lo stadio a battere il cinque a quasi tutti i tifosi che allungavano il braccio all’interno del campo: bel gesto, lontano anni luce dal divismo esasperato a cui siamo abituati al di qua della frontiera.
Emilio Celotto