C’era un tempo in cui tutto ciò era normale

E’ difficile trovare un filo logico per iniziare questo racconto. C’è il viaggio, la partita, l’ambiente e le solite storielle paradossali che animano i miei spostamenti per il Vecchio Continente. Eppure a me piace cominciare da Livorno-Pisa. Sì, non sto delirando. Livorno-Pisa. Quello del 30 gennaio 2000, sia ben chiaro. Non so per quale motivo, ma pensando a un attacco per questo pezzo, le mie dita sono scorse sulla tastiera digitando nella barra di YouTube questo derby che, ricordo ancora perfettamente, vidi integralmente alla tv, su Raisport. Avevo 13 anni. Se all’epoca rimasi a bocca aperta dalle pirotecniche coreografie delle due fazioni, ora paradossalmente ne sono ancor più estasiato, per ovvie ragioni di astinenza.

Cosa c’entra Bayer Leverkusen-Roma in tutto ciò? Nulla. Nulla se la signora Anna non fosse intervenuta su una nota radio romana e, affrontando il discorso della divisione dei settori popolari con relativa repressione e sciopero ad oltranza delle stesse, non avesse asserito con certezza che le istituzioni fanno più che bene perché gli ultras pretendono spazi con prepotenza ed arroganza (ovviamente alle domande di esempi concreti del conduttore la signora tergiversava…) ed è ora di finirla con questa mentalità retrograda. “Vogliamo stadi all’egiziana o stadi civili e per tutti?”. Stadi all’egiziana, cara e dolce Anna. Magari ad averne: gli egiziani attraverso lo stadio ci hanno fatto la rivoluzione, noi al massimo degli slogan fini a loro stessi.

Questo per dire semplicemente che tante cose che un tempo erano non solo socialmente accettate, ma perfino caricate di significati folkloristici, oggi sono diventate delitti infami e vergognosi grazie ad un accurato lavaggio del cervello che ha pompato immondizia e scorie radioattive nella testa di tanta gente, producendo un risultato irreversibile che è sotto gli occhi di tutti. Pertanto, vale ancora la pena sbattersi e creare castelli in aria per qualcosa che non tornerà mai a brillare di luce propria? Chi lo sa. Io intanto parto. Zaino alla spalla. Con qualche panino, una bottiglia d’acqua e un po’ di sana nostalgia mista a un disincanto che non mi piace, anzi mi mette quasi a disagio con me stesso, ma di cui non posso far altro che prendere atto.

Vecchio Intercity quanto tempo è passato

L’Intercity per Milano è in ritardo di trenta minuti. Classico. Quasi piacevole, almeno in Italia abbiamo ancora delle certezze. Sulla banchina non c’è più la folla selvaggia e scomposta che qualche anno fa affollava questi vagoni. Ci hanno messo in testa che siamo un paese evoluto perché da Roma a Milano ci vogliono tre ore con l’alta velocità. Peccato che per andare a Reggio Calabria il tempo si raddoppi e a Palermo addirittura si triplichi. L’apparenza è tutto. Ma almeno questo mi permette di usufruire di tariffe più che vantaggiose su questi convogli ormai abbandonati dal Signore.

Si parte. Mi chiudo nello scompartimento e cerco di dormire. Vorrei ammortizzare il tempo che mi divide dal capoluogo lombardo e recuperare qualche energia. In ordine mi attendono: nottata all’aeroporto di Orio al Serio, giornata tra Dusseldorf e Leverkusen, rientro in tarda serata all’ostello e partenza all’indomani del match. Abbastanza massacrante, ma non male per la mia piccola e indifesa mente malata. Gli occhi non ne vogliono sapere di chiudersi e così preferisco passare il tempo rivangando vecchi ricordi dei bei tempi trascorsi sugli Intercity ai tempi delle trasferte, mentre la strada ferrata si avvicina faticosamente alla meta.

Anche Milano Centrale, un tempo meta sinistra per chi veniva dalla Capitale dopo quasi dieci ore di treno, ha perso tanto del suo fascino. In nome della sicurezza sono stati istallati pannelli e barriere per controllare meticolosamente chi vi entra. Ormai sembra di essere più in un aeroporto che in una stazione. Personale pagato dalle FS fa attentamente la guardia ai varchi, sempre per dare quell’idea di evoluzione e perfezione di cui parlavamo prima. Ovvio che la stessa scena non la vedremo mai nella piccola e abbandonata stazione di Lentate sul Seveso. Ma la massaia di Voghera gode e si bagna pensando che finalmente a Milano si cammina tranquilli, difesi e sicuri prima di prendere il treno. Sarà, io prima di salire sul regionale per Bergamo mi imbatto ugualmente in un paio di disagiati iper ubriachi che sono costretto ad allontanare a maleparole.

La notte ormai ammanta la ferrovia e poche sono le luci che scorgo fin sotto le Alpi Orobiche. Manca l’ultimo sforzo. L’uomo medio cosa farebbe per raggiungere l’aeroporto dopo la mezzanotte, con i mezzi pubblici non in funzione? Prenderebbe un taxi. Ovvio. Ma che colpa ne ho, se il cuore è uno zingaro e catene non ha? Neanche posso fare torto al vecchio Nicola Di Bari. E allora tacchi e suole. A piedi. Spensieratamente per i circa cinque chilometri che mi dividono dallo scalo. Passo la ferrovia, costeggio il cimitero di Orio pensando che, seppur inquietante, è sicuramente il luogo più tranquillo che io possa incontrare da qua a poco, quando la strada si ricongiungerà all’autostrada, e sono sudiciamente arrivato.

Addio suolo natìo

La notte ora va, tra un pisolino schiacciato e un tocco felpato delle guardie aeroportuali che ti svegliano per invitarti ad alzarti, dato che i gate stanno aprendo. Col mio zainone (semo partiti co’ du’ zainoni, pieni de mmerda e de supplì, filosofeggiavano i Prophilax nella loro “In viaggio con cagatone Joe”) mi appropinquo ai controlli, superandoli a pieni voti, nonostante lo zelo delle biondissime/ossigenate vigilantes. Ora, finalmente, tra attesa dell’imbarco e volo posso dormire con più tranquillità.

Il mio velivolo (ma quanto è retrò questo termine?) è diretto a Dusseldorf. Ma non illudetevi miei prodi. La realtà si chiama Weeze, paesino dove ha sede lo scalo che dista ottanta chilometri dalla località succitata. Oltre a me, anche qualche altro italiano ha optato per questo percorso, me ne accorgo a bordo degli autobus per la stazione ferroviaria. Le due piccole automotrici, unite da un sommo respingente marcato Deutsche Bahn, mi offrono un viaggio più che rilassante, in cui spicca la presenza di un controllore che incarna perfettamente la figura di Cass Pennant. Eppure non faccio parte dell’Intercity Firm, né sto andando a vedere gli Hammers in terra teutonica. Misteri della fede.

Dusseldorf altro non è che un luogo di passaggio, dove poggiare i miei bagagli, aspettare un paio di amici riposando qualche minuto, per poi ripartire alla volta di Leverkusen. E’ quella la meta finale: la BayArena. Non è certamente lo stadio dove ho sempre sognato di andare. Diciamocelo, il Bayer mi ha sempre dato l’idea di essere una mera squadra aziendale con un seguito non troppo caloroso ed esemplare. Tuttavia c’è da dire che la compagine di proprietà della nota casa farmaceutica, può vantare storia e tradizione centenaria nel calcio tedesco. La fondazione risale esattamente al 1904. 112 anni in cui si sono scritte pagine sportive degne di nota. La Werkself (letteralmente “squadra della fabbrica”) è uno dei pochi club continentali che può vantarsi di aver vinto un titolo europeo (la Coppa Uefa) senza essersi mai laureata campione nazionale. Così come è l’unica squadra, mai detentrice del campionato di provenienza, ad aver giocato una finale di Champions League. Quella persa contro il Real Madrid, grazie a uno stratosferico gol di Zinedine Zidane.

Insomma, visto il calcio che siamo abituati a vivere in Europa, con società spesso davvero senza storia e tradizioni che si avvicinano ai gradini alti delle competizioni, esclusivamente grazie ai propri possedimenti economici o alle giuste conoscenze tra le alte sfere di questo sconquassato sport, sarà pure la squadra figlia di un’azienda, ma ha storia ed è radicata di tutto diritto nel football continentale.

Modelli a confronto: intelligenza contro ottusità

Si parla spesso di modelli esteri da applicare in Italia. Soprattutto quando si vuole screditare tutto ciò che si ha sotto mano, oppure giustificare i tanti colpi di spugna dati da una repressione infima ed infame. Bene, quando ci si orienta oltre le Alpi, andrebbero presi in considerazione gli aspetti davvero positivi. Senza millantare su cose mai viste. Un esempio su tutti? Un biglietto per il settore ospiti della BayArena costa appena 15 Euro (se si pensa al potere d’acquisto dei tedeschi, e soprattutto ai loro stipendi, si può tranquillamente evincere che è come se in Italia l’Olimpico costasse, invece che minimo 45 Euro in Champions League, 5 Euro. Ah, alla BayArena si vede la partita. A Roma ci vuole il binocolo).

Chiaramente incluso nel tagliando c’è anche il viaggio in treno da Dusseldorf o Colonia, luoghi dove hanno albergato la maggior parte dei tifosi romanisti. Ma sia chiaro che questo vale per chiunque acquisti un biglietto per il match. Ve lo immaginate se in Italia la Juventus, piuttosto che la Roma, vendessero biglietti con annessi trasporti pubblici? Quando si parla di riportare le famiglie allo stadio e di civiltà attorno agli eventi sportivi, si prendano ad esempio questi aspetti, anziché vietare e proporre ai supporter tessere poliziesche, prezzi da Principato di Monaco e servizi da Somalia. Con tutto il rispetto per la Somalia.

Lerverkusen si trova nella popolosa e laboriosa Renania Settentrionale-Vestfalia, da sempre uno dei cuori pulsanti a livello economico e lavorativo della Germania. In un piccolo fazzoletto di territorio sono radunate tantissime città che agli amanti del calcio non suonano certo sconosciute: Colonia, Dortmund, Leverkusen, Dusseldorf, Duisburg, Gelsenkirchen, Monchengladbach, Bochum e, per l’appunto, Leverkusen. Non a caso il viaggio in treno dura giusto un quarto d’ora. Pur conoscendo un po’ la Germania e la sua mentalità nella gestione degli eventi sportivi, rimango sempre sorpreso dalla tranquillità e dalla compostezza con cui la polizia gestisce l’afflusso e il deflusso dei tifosi. Non ci sono camionette alla stazione pronte alla guerra mondiale, né eserciti armati fino ai denti come avviene da noi. Paradossalmente i tedeschi, in questo frangente, sono molto più flessibili e permissivi di noi. Fin quando non si superano i limiti.

La grandezza del loro modus operandi è l’aver capito che, in fondo, al tifoso non si deve dar contro per partito preso. E’ meglio tollerare qualche eccesso un giorno alla settimana che avere stadi vuoti, un continuo clima di tensione tra poliziotti e supporter e spendere inutilmente denaro pubblico. Ed allora i tifosi sono controllati da lontano, in fondo non muore nessuno se qualcuno non paga il biglietto del treno o si beve una birra per strada lasciandosi dietro un po’ di sudiciume. Forse non è il massimo della civiltà, ma state certi che se le regole fondamentali della quotidianità tedesca vengono anche minimamente infrante, è difficile passarla liscia. In fondo hanno equilibrio, e quando hai equilibrio, e riesci a ponderare ogni situazione, il risultato è garantito. L’esatto opposto di quanto avviene in Italia. Due mondi davvero lontani e opposti.

Non a caso ti accorgi degli incredibili passi indietro che il tuo Paese ha fatto a livello di democrazia e rispetto dei diritti basilari, quando capisci che a queste latitudini non solo non gli salterebbe mai in testa di creare percorsi ad ostacolo stile check-point di guerra per andare allo stadio, dividere settori popolari per reprimere, vietare trasferte e sparare nel mucchio con l’intento di distruggere qualsiasi sacca d’aggregazione, ma le istituzioni tendono ad abbattere le barriere, favorire  l’accesso allo stadio per tutti (davvero e non per propaganda politica), ascoltare le lamentele dei tifosi (non dimentichiamoci che qualche anno fa con la protesta 12:12 messa in scena da tutte le curve teutoniche, la Bundesliga fece un passo indietro su alcune proposte di legge che inasprivano le sanzioni in fatto di stadio).

Cose del tutto normali persino da noi, fino a qualche tempo fa. Divenute una chimera ormai. Come la libera espressione attraverso cori e striscioni. Chiedete a un tifoso di curva tedesco se ritiene plausibile che nel proprio paese ragazzi vengano diffidati, come succede a Roma, per aver tenuto in mano uno stendardo non offensivo ma con il solo intento di criticare una scelta prefettizia!? Oppure se, e qua mi viene da ridere, ritiene normale multare e diffidare per aver cambiato posto allo stadio. Ma questa domanda fatela soprattutto a un rappresentate delle istituzioni. Probabilmente vi risponderà con una beffarda pernacchia. Perché semplicemente nella loro testa non c’è questo concetto di limitazione asfissiante degli spazi e della libertà. Per dirla alla romana si potrebbe sintetizzare così: “Fate come cazzo ve pare, ma fino a ‘n certo punto. Sennò so’ cazzi vostra”.

Lungi da me, per chi non l’avesse capito, far passare la terra dei Lander come il paradiso dove tutto è perfetto e dove non esistono sbavature a livello sociale. E’ altrettanto ovvio che le storie dei nostri movimenti ultras, pur essendo simili per alcuni versi, sono profondamente differenti. Certo è che la violenza e il sentimento di appartenenza calcistica che si riscontravano nel Belpaese fino a un decennio fa, figlie di una storia intrinseca al Paese stesso, non sono paragonabili. Ci sono due livelli di welfare totalmente differenti, se da una parte il frequentatore delle curve tedesche è mediamente un soggetto benestante, da noi era l’esatto opposto, ovvio dunque che trovasse nello stadio una valvola di sfogo di un’esistenza spesso difficile e turbolenta. Ma proprio per questo, ciò che è stato nelle nostre curve, l’espansione millimetrica e maniacale di un movimento culturale che ha segnato tanti giovani negli ultimi sessant’anni, rimane impossibile da replicare fedelmente in qualsiasi altra parte del mondo.

Ci sono imitazioni, spesso fedeli e comunque piacevolmente lodevoli. Ma pur sempre imitazioni restano. E il pensiero e le azioni ultras sviluppatesi negli ultimi vent’anni nell’area mitteleuropea sono certamente fedeli a questo specchio. Meritano però, secondo il mio punto di vista, rispetto. Perché a dargli vita ci hanno pensato e ci pensano quasi sempre ragazzi umili e volenterosi, che hanno guardato la nostra storia con rispetto e adorazione, cosa che spesso noi dimentichiamo totalmente di fare.

Verso la BayArena

Leverkusen Mitte. Stazione di arrivo. Un cielo plumbeo copre la cittadina, francamente brutta e spoglia. Anche il più brutto dei comuni italiani avrebbe un qualcosa di minimamente più interessante rispetto a questo luogo ameno. Una piazzetta accoglie diversi tifosi romanisti che sorseggiano birre, scandendo cori in attesa di avviarsi allo stadio. Per arrivare alla BayArena si deve attraversare un bosco dove il fiume “vomita i suoi rifiuti”, emanando un odore tutt’altro che piacevole. In compenso diversi ragazzetti che vendono birre e panini allietano il tragitto, guardando con simpatia e scioltezza i supporter italiani passare. Si capisce che l’ambiente è davvero di quelli tranquilli, nonostante la polizia a cavallo sorvegli severamente il tutto a qualche metro di distanza.

La sagoma dell’impianto viene preceduta dalle urla dei giocatori della Primavera. A pochi metri, infatti, si sta disputanto Bayer Leverkusen-Roma di Youth League, do una sbirciatina attraverso la rete, per vedere se qualche gruppo locale, come spesso accade in Germania, segua anche le sorti dei più “piccoli”. Ma niente. Così tiro dritti fin sotto l’ingresso della tribuna centrale dove, manco a dirlo, fa capolino un grande stemma della Bayer. Del resto siamo a casa loro. Mi spingo anche oltre, direttamente sotto la Nordkurve, casa del tifo delle Aspirine. Mi colpisce il fatto che ci siano praticamente più tifosi italiani che tedeschi.

Ovviamente lo stadio, sia fuori che dentro, è un vero e proprio gioiellino. La sua costruzione risale al 1958, quando fu denominato Ulrich-Haberland-Stadion, in fregio a un noto chimico tedesco (ora con questo nome è riconosciuto il campo delle giovanili, posto proprio di fronte la BayArena). Negli anni ha subito due ristrutturazioni: nel 1990 e nel 2009, incrementando la propria capienza da 22.500 a 30.000. Io sono un amante di stadi decadenti e vetusti, fosse per me si giocherebbe solamente al Libero Liberati, al Del Duca, al Partenio e al Cibali, ma se proprio dobbiamo accogliere la modernità, con tutti i suoi aspetti, allora io voglio che questa segua i dettami teutonici: ingressi senza prefiltraggi, possibilità di girare con una certa libertà dentro lo stadio e diritto di portare ogni strumento di tifo senza stupidi regolamenti repressivi.

Dopo esser passato nella pancia dello stadio, immortalando una serie di vecchie maglie del Bayer, ecco aprirsi davanti ai miei occhi il terreno di gioco. Gli spalti sono ancora semivuoti, ad eccezione del settore ospiti che registra, nella sua parte inferiore, sold out. Mentre, nonostante in prevendita i tagliandi fossero terminati con largo anticipo, mi sorprende qualche spazio vuoto nella parte superiore. Anche considerando il fatto che tantissimi romanisti sono presenti in altre zone dello stadio. Ad occhio direi che oltre ai 1.700 del settore ospiti ce ne siano altrettanti dislocati un po’ ovunque, tra i residenti in Germania e chi ha semplicemente acquistato biglietti per altri settori (evidentemente da queste parti la vendita non avviene in base alla città/regione/paese di provenienza…).

Da segnalare che agli ingressi gli steward hanno fatto gettare ai tifosi romanisti tutti gli adesivi, evidentemente per evitare di insozzare lo stadio (è pratica comune, almeno da quanto ho visto, attaccare sticker un po’ ovunque a casa della Merkel) e diversi “due aste” non sono stati fatti passare, tanto è vero che verranno tenuti a mano per l’intera partita.

Sorprese e revival

Quando mancano una manciata di minuti al fischio d’inizio, anche la curva di casa si riempie discretamente, pur evidenziando qualche buco nella parte superiore. Lo zoccolo ultras, infatti, si annida in basso. C’è da dire che su questi di Leverkusen avevo più di qualche pregiudizio. Almeno a vederli dalle foto, ma anche dall’anonima presenza fatta a Roma contro la Lazio (neanche trecento) mi avevano sempre dato l’idea di tifoseria “materasso” del Paese, invece stasera avrò l’occasione di ricredermi almeno in parte. Sì, perché ovviamente non parliamo di una torcida che fa tremare il mondo e spacca i timpani di chi la vede, ma tuttavia di un’onesta tifoseria che fa il suo compito molto meglio di altre viste nella mia vita, in Italia come in Germania.

Noto come anche qua sia radicata la cura maniacale del materiale: in balaustra spicca lo striscione Ultras, oltre ad altre pezze di ottima fattura e ai bandieroni che verranno quasi sempre sventolati durante il match (e questa in Germania è una notizia, dato che spesso gli ultras abbassano le bandiere a causa delle proteste del pubblico normale. Noi tutti sappiamo in Italia quale sarebbe la reazione dei gruppi in questo caso!).

Per riuscire a fotografare il settore ospiti, che sarebbe posto sulla mia stessa linea, mi sposto all’impazzata all’interno dello stadio. Per la delusione e la rabbia di Gabrielli devo segnalare che tantissimi tifosi seguono l’incontro sulle scale, in piedi anche in altri settori o appoggiati ai ballatoi. Anch’io non ho nessun problema a portarmi da una parte all’altra, con gli steward che semplicemente se ne infischiano. Dicesi “vivibilità degli impianti e fruizione dell’evento sportivo senza troppe rotture di cazzo”.

Inizia la partita e subito le curve si danno battaglia a suon di cori. Sono i tifosi del Bayer a partire in quarta, favoriti dagli avvenimenti calcistici. La loro squadra si porta subito sul 2-0, grazie a una doppietta del “Chicharito” Hernandez. Il duplice affondo del messicano galvanizza la curva tedesca che, dopo essersi prodotta in una discreta sciarpata, offre bei battimani e cori tenuti abbastanza a lungo. I romanisti accusano il colpo ma si compattano, rinfrancati dalla reazione dei propri giocatori che al 28′ accorciano le distanze con De Rossi. Il tifo prende quota e le manate, accompagnate dai classici cori della Sud, si fanno sentire fin dall’altra parte dello stadio. Il premio è il pareggio, firmato ancora da De Rossi, che fa esplodere il settore ospiti e tutti i tifosi giallorossi assiepati in varie zone dell’impianto.

Anche per la curva di Leverkusen vale un discorso fatto per altre tifoserie tedesche: il nocciolo ultras difficilmente riesce a trascinarsi dietro le tante persone che vogliono seguire solo l’incontro, situate nella parte alta delle gradinate. Tuttavia, rispetto a parecchi anni fa, sono stati fatti passi in avanti notevoli, facendo scoprire ed apprezzare la sottocultura ultras anche ai più scettici.

Le squadre rientrano in campo per la ripresa e la Roma, in rapida successione, trova prima il 2-3 con Pjanic e poi il 2-4 con Falque per l’apoteosi dei tifosi romanisti. Il tenore del tifo capitolino si mantiene altissimo, facendo capire ancor più quanto questa spinta possa mancare tra le mura amiche (e all’indomani non ci sarà un giornale che non lo sottolineerà, diamo a Cesare quel che è di Cesare). La gara sembra esser finita, con gli ultras teutonici che dopo il quarto gol sembrano gettare la spugna, nascondendosi in un silenzio inquietante. Ed in effetti questo è un punto a loro sfavore, con tutti i nostri difetti e il nostro calo fisiologico, in Italia è ancora ben radicata l’idea del sostegno ad oltranza e, generalmente, anche sotto un valanga di gol, il nucleo centrale continua imperterrito a cantare.

Ma non c’è problema. Ci pensa la Roma a rianimare la BayArena. Prima Kampl riapre la gara con il gol della domenica e poi Mehmedi la pareggia addirittura sfruttando l’assurdo posizionamento della difesa ospite. Stavolta è il pubblico di casa ad esplodere, festeggiando l’ormai inaspettato pareggio finale, di una gara pazza e dalle emozioni infinite.

Al triplice fischio piovono applausi per tutte e due le formazioni, anche se rimane il grande rammarico in casa Roma di aver buttato due punti che ormai sembravano intascati. I giocatori in maglia rossonera si avvicinano alla curva ringraziandola, mentre quelli giallorossi, ad eccezione di De Rossi, s’infilano sotto il tunnel degli spogliatoi ignorando il pubblico giunto fino a Leverkusen. Ed anche questo è sintomatico di come vengano considerati e trattati i tifosi nei due paesi.

Ritorno a casa: restituiteci la libertà di tifo!

A questo punto anche per me è giunta l’ora di andar via. Aspetto che la maggior parte dei tifosi sia uscita per scattare qualche foto allo stadio deserto. Ricordo un resoconto di un vecchio Bayer Leverkusen-Roma sul sito dell’avvocato Contucci. Erano gli inizi degli anni 2000 e qualcuno descriveva la BayArena come il nonplusultra della modernità, sottolineando come fortunatamente in Italia eravamo lontani anni luce da questo concetto di stadio/negozio in cui la musica la faceva da padrone prima e dopo la gara. Oggi che i ruoli si sono quasi ribaltati, la cosa mi fa amaramente sorridere e lasciando gli spalti gli do l’ultima malinconica occhiata, pensando a come anni fa, scenari come questi, sarebbero state davvero gitarelle insensate e spassose per una tifoseria della Penisola. Oggi, invece, c’è modo anche di provare invidia per questo genere di stadi. Va bene, è giunta l’ora di andarsene.

La pioggerellina mista alla forte umidità mi accoglie fuori lo stadio. Recupero i miei amici e ci avviamo alla stazione. Uno degli ultimi treni per Dusseldorf sta partendo. Tutta la stanchezza mi sopraggiunge, ma c’è ancora voglia di chiacchierare e sorseggiare serenamente uno Jagermaister.

Abbiamo raccontata anche questa, con la speranza sempre viva di poter tornare a vivere e parlare di tifo anche all’ombra del Colosseo. Da troppo tempo non è più possibile e da troppo tempo il calcio a Roma è monco e tramortito. Qualcuno faccia ammenda e ce lo restituisca, prendendosi le proprie responsabilità e finendola una volta tutte con questo schifoso teatrino politico teso a costruirsi la propria carriera sulle spalle della passione altrui.

Simone Meloni.