C’è una prima volta per tutto. Anche per mettere piede nell’ex Germania dell’Est. Anche per entrare in uno dei suoi stadi e ritrovarsi al cospetto di una tifoseria tra le più blasonate del panorama nazionale, fedele seguace di un club storico e ricco di tradizione, che in questi ultimi anni sta vivendo una rinascita dopo il buio pesto e le difficoltà trascorse successivamente alla caduta del Muro di Berlino. Dici Magdeburgo e – se sei un calciofilo – non puoi che pensare al mito di Jürgen Sparwasser, che oltre ad aver militato per quattordici anni con la maglia dei biancoblu, è passato alla storia per il gol con cui nel 1974 la DDR sconfisse ad Amburgo i cugini, nonché padroni di casa, della Germania Ovest (poi vincitori del torneo). Dici Magdeburgo e se hai un minimo di conoscenza della storia del nostro pallone, non può che venirti in mente la clamorosa sconfitta rimediata dal Milan in finale di Coppa delle Coppe a Rotterdam, sempre nel 1974. L’unico successo di una squadra della Germania Orientale in Europa, uno dei pochi conseguiti dai club dell’Est. Anni d’oro per il sodalizio sassone, anni che cavalcavano un momento storico teso e delicato, in grado di segnare il secolo scorso e lasciare strascichi anche nel Paese odierno. Dici Magdeburgo e per forza di cose ti si apre la finestra lontana dell’infanzia e di quei continui richiami della televisione e della radio al “Wind of Change”, musicato dagli Scorpions nel 1991 comprendendo parte della nostra cultura scolastica. Sebbene a oggi, per diversi tratti, venga quasi da chiedersi: ma veramente questo vento ha cambiato qualcosa? E se sì, è stato tutto in meglio? Forse non è questo il luogo dove disquisirne, di certo, però, quando si calpesta un territorio in cui le pagine del Novecento sono state pesantemente scritte, viene quasi spontaneo immergersi con devoto rispetto tra passato e presente.
Quando il mio Flixbus arriva da Hannover – città natale, peraltro, degli stessi Scorpions – la mattina è sbocciata da poco. Il freddo rigido e la pioggia di Alkmaar (da dove provengo), hanno lasciato spazio a un cielo timidamente sereno e a una temperatura non calda, ma quantomeno accettabile. Attraverso la stazione con l’intento di dirigermi verso il centro storico e vedere per la prima volta in vita mia l’Elba. Uno dei corsi d’acqua più importanti d’Europa, citato a più riprese da Sepúlveda nel suo elementare ma sempre istruttivo “La Gabbianella e il Gatto”, ambientato ad Amburgo, laddove il fiume sfocia prepotentemente. Sono sempre affascinato dai fiumi, a maggior ragione da quelli grandi, che per secoli hanno rappresentato vere e proprie “autostrade” per lo spostamento di beni e persone, dando vita a città, civiltà e culture. E Magdeburgo è stata per davvero fulcro e crocevia della storia moderna e contemporanea, basti pensare alle devastazioni e ai saccheggi cui è stata sottoposta durante la Guerra dei Trent’anni (si stimano circa 30.000 civili morti) e ai bombardamenti della flotta alleata durante la Seconda Guerra Mondiale. Due avvenimenti che hanno quasi totalmente demolito le zone più antiche e storiche del centro, come avvenuto in altre città della Sassonia (l’esempio massimo di Dresda non è purtroppo l’unico). Ma oltre a questi episodi cruenti, la città è anche conosciuta come Ottostadt, per aver dato i natali al politico e fisico Otto von Guericke – a cui oggi il gruppo Blue Generation ha dedicato anche un drappo – e per esser stata la città prescelta da Ottone I di Sassonia, imperatore del Sacro Romano Impero, che sebbene non sia passato alla storia come Carlo Magno, ha legato indissolubilmente il suo regno e la sua politica alla città, designandola come sua prescelta e utilizzandola come polo evangelizzante per i popoli slavi e magiari. Il legame della sua figura alla città, è attestato anche dalla rilevanza storica e artistica di cui Magdeburgo è investita, fervide testimonianze ad oggi ancora intatte restano il Palazzo Imperiale e la Cattedrale.
Se non si contestualizza il percorso storico di questa città, può apparire molto difficile comprenderne anche l’architettura. Oltre allo stile classico delle città tedesche medievali, infatti, vivide sono ancora le influenze socialiste, con molteplici palazzi e strutture che richiamano al mezzo secolo trascorso sotto l’egida di Mosca. Un aspetto che si alterna, ulteriormente, a palazzi e costruzioni erette dopo la caduta del muro, su tutte la Grüne Zitadelle, una sorta di Bosco Verticale milanese ante litteram, davvero curioso e pittoresco, soprattutto perché inserito in uno scenario cittadino che gli vede di fronte uno degli edifici più imponenti, cioè il Parlamento Statale della Sassonia-Anhalt, e a pochi passi la Cattedrale. Insomma, se si hanno occhi per vedere oltre l’aspetto sommario, è il tipico posto dove ci si può sbizzarrire con anfratti da analizzare e successive domande sul loro percorso. Diverse linee di tram tagliano i lunghi vialoni, altro retaggio socialista, mentre un po’ in ogni angolo si scorgono murales e adesivi che richiamano alla squadra cittadina. In uno di questi si staglia la gloriosa Trabant, simbolo automobilistico della DDR, prodotta fino al 1991 negli stabilimenti di Zwickau. Lo sticker è una riproduzione dell’omonima coreografia andata in scena qualche settimana prima nella trasferta di Darmstadt, nonché l’ennesima evidenza di come la Ostdeutschaland sia utilizzata dalle tifoserie come una sorta di feticcio. La sensazione è che, chiaramente, non ci sia un’effettiva e totale nostalgia di ciò che la DDR è stata, ma venga issata a simbolo di appartenenza e orgoglio, anche in virtù delle differenze che oggettivamente sono rimaste tra Est ed Ovest. Il calcio ne è una perfetta cartina al tornasole: quando nel 1990/1991 si disputò l’ultima stagione della DDR-Oberliga, infatti, furono soltanto due le squadre ammesse alla prima Bundesliga disputata con le Germanie unificate, l’anno successivo: Hansa Rostock (campione) e Dinamo Dresda, mentre tutte le altre furono distribuite nelle categorie inferiori. Al Magdeburgo – decimo in campionato, cosa che non avveniva da venticinque anni – toccò l’infausta sorte della terza divisione, uno dei fattori che produsse un vero e proprio collasso sportivo – comune a molti sodalizi dell’Est -, che si sarebbe riverberato negli anni successivi, tra fugaci apparizioni in seconda divisione e un’ondivaga presenta tra la terza e la quarta categoria. L’integrazione fra due mondi tenuti separati per circa otto lustri non fu affatto facile e giocoforza la parte occidentale finì per avere un predominio economico e occupazionale, rischiando di fagocitare la parte orientale. Difficile anche paragonarlo con le nostre differenze tra Nord e Sud, perché figlie di un percorso storico, culturale ed economico totalmente differente. Però, se vogliamo rimanere sul folklore da stadio, diciamo che ad oggi lo sventolio della bandiera con martello e compasso racchiusi in due gambi di segale (che stavano a simboleggiare l’unione tra contadini, intellettuali e operai) si configura alla stessa maniera come un voler rivendicare un orgoglio identitario e territoriale più che a voler sottolineare una reale nostalgia di ciò che fu.
Gli stralci di cielo sereno vengono via via inghiottiti da nuvole livide, che fanno da preludio a una pioggia che comincerà a scendere poco dopo l’ora di pranzo, senza smettere praticamente mai. Siamo in pieno inverno e di certo non posso aspettarmi un clima benevolo, però un po’ avevo sperato nella clemenza di Giove Pluvio, almeno per godermi la camminata dal centro città allo stadio. Già, perché dopo una sola fermata di tram, vedendo le decine di murales disseminate sul percorso, decido di scendere e percorrere a piedi i tre chilometri scarsi che mi separano dalla MDCC Arena, godendomeli tutti. Ritengo scritte e graffiti una parte importante dell’anima di una tifoseria, un qualcosa che costituisce e rafforza il legame con il territorio e probabilmente uno degli aspetti che più mi piace dei tifosi teutonici è proprio questo. Quasi sempre gli impianti tedeschi hanno subito un importante restyling negli ultimi vent’anni, se non addirittura una demolizione con ricostruzione, come nel caso di Magdeburgo, dove lo storico Ernst-Grube-Stadion è stato demolito nel 2005, sostituito dalla nuova struttura, inaugurata nel dicembre 2006 in un match di campionato proprio contro l’Eintracht Braunschweig. Curiosità: nel lasso di tempo in cui lo stadio fu soggetto a lavori, i biancoblu disputarono le loro gare interne in un altro impianto cittadino, l’Heinrich Germer, tutt’oggi esistente e destinato a squadre minori del circondario. Il filo che lega i tifosi alla loro storia, fa sì che, accantonando qualsiasi sigla legata alle sponsorizzazioni, lo stadio venga popolarmente intitolato al tecnico Heinz Krügel, scomparso nel 2008 e condottiero del leggendario successo in Coppa delle Coppe del 1974. E in tal senso da notare un lunghissimo striscione apposto in una delle due tribune. Ammirevole, nonché rispettoso per la tradizione del club, il fatto che il rinnovato impianto sorga esattamente sulle fondamenta del vecchio, dove l’FCM ha scritto le pagine più indelebili della sua storia, tra campionati vinti e cavalcate europee. Sul suo manto verde si sono cimentati miti eterni per la tifoseria come il tecnico e i giocatori Hoffmann, Zapf, Seguin, Tyll, Steinbach, Stahmann, Wuckel e Streich, amatissimi tutt’oggi anche grazie ai loro rapporti con l’attuale club.
Quando raggiungo lo stadio mancano ancora un paio d’ore al fischio d’inizio, eppure già parecchi tifosi camminano attorno al suo perimetro, consumando birre, patatine e wurstel o semplicemente chiacchierando tra loro. Ecco, sicuramente questo è un altro aspetto che ho sempre piacere di constatare a queste latitudini: malgrado impianti nuovi, malgrado l’esistenza anche qui di una politica volta a commercializzare il tifoso, l’aria che si respira è innanzitutto aggregativa. Mi spiego meglio: se c’è una parte di stadio dedicata al tifoso più “da poltrona”, ne esiste anche un’altra (che in realtà è bella grande, forse preminente) in cui il tifoso viene trattato e può esprimersi non solo come parte integrante dello spettacolo, ma proprio come motore e cuore pulsante. Una bella differenza rispetto ad alcuni impianti “nuovi” di altri Paesi – tra cui, ovviamente, il nostro – dove tra gli obiettivi c’è proprio quello di arginare la parte più calda e passionale della tifoseria. Diciamocelo pure chiaramente: chi prova gusto a fare un pre partita allo Juventus Stadium o al Santiago Bernabeu? La linea sottile tra l’essere quasi spinto prepotentemente a spendere, smorzando gli istinti più naturali che muovono ogni tifoso di calcio e il tollerare e rispettare ogni componente, si tasta facilmente mettendo a confronto questi due modi diversi di concepire lo “spettacolo”. Ergo: non si deve essere contrari a priori al rinnovamento degli stadi (per quanto, personalmente, ami le strutture vecchie e decadenti che per oltre un secolo hanno ospitato le squadre italiane, definendo anche la forte identità dei suoi seguaci), ma sicuramente si deve spingere per averne uno a portata di tifoso.
Volendo entrare ancor più nel mondo del Magdeburgo e dei suoi tifosi, benché la data di fondazione venga identificata nel 1965, va sottolineato come in città si giocasse a calcio già dalla fine del secolo precedente, con diverse squadre che si avvicenderanno in rappresentanza del nome cittadino – partecipando anche alle competizioni internazionali, come la Coppa delle Coppe – per poi divenire, definitivamente, l’FC Magdeburg per volere del regime comunista. Scelta che sarà determinante nel trasformare il club in uno dei più forti e radicati in tutta la DDR. Della storia sportiva del sodalizio abbiamo parlato in precedenza, per quanto riguarda i suoi tifosi, invece, occorrerà attendere il finire degli anni ottanta per veder sorgere – come in altre parti del Paese – il fenomeno hooligans, e l’inizio degli anni duemila per constatare la nascita dei primi gruppi d’ispirazione ultras. Gli anni novanta sono un vero e proprio supplizio per i biancoblù, che si ritrovano spesso a giocare di fronte a poche centinaia di spettatori. Trend che comincia a invertirsi soltanto sul finire del decennio, quando il Magdeburgo ritorna in terza divisione. Nel 1999 nasce il Commando Eastside (CES) e un anno dopo la Blue Generation (BG). I gruppi, tutt’oggi attivi, sono considerati i pionieri del movimento ultras cittadino. Saranno proprio queste due entità a dar vita al progetto Block U, che ha come obiettivo quello di coordinare tutti i gruppi esistenti. Altra insegna importante è quella degli F13 (Friday 13, dalla data in cui sono stati fondati). Ci sono poi molti altri club – come Coethe, Sued, Schönebeck e altri – che deliberatamente non si considerano ultras ma collaborano e sostengono il lavoro del Block U; molti di loro provengono dalle zone attorno alla città, questo testimonia il retaggio dell’importanza e del fascino esercitato dal club. Per quanto riguarda le rivalità, va detto che non ci sono buoni rapporti praticamente con tutte le grandi realtà dell’ex DDR, in più sussiste, durante le partite contro le squadre dell’Ovest, quella rivalità storica e folkloristica accennata in precedenza. Capitolo amicizie: c’è un rapporto importante con gli Hutnik Krakow 2005, mentre buone relazioni esistono dall’inizio degli anni novanta con i ragazzi di Braunschweig. La frangia hooligans della tifoseria ha ottimi contatti con i seguaci della BFC Dynamo Berlino, mentre la Blue Generation con i Diabos della Chemie Leipzig.
Questo per avere un quadro generale sulla “geografia” della curva di casa, che sin da subito, neanche a dirlo, suscita tutta la mia curiosità grazie a una serie infinita di scritte e murales, sparse praticamente attorno a tutti gli ingressi. Mentre li osservo – o per meglio dire li studio – guardo anche i tifosi entrare alla chetichella, passando i controlli degli steward: è sempre bello vedere come qua non esistano, neanche nel lontano immaginario del più folle repressore, biglietti nominativi o restrizioni simili. I tifosi hanno addirittura il “lusso” di poter comprare i tagliandi al botteghino dello stadio, direttamente il giorno della partita. L’ingresso avviene tramite un solo controllo. Due secondi e si è dentro (da oltre vent’anni non ero più abituato a cotanta grazia!). Quando varco il cancellone che permette l’ingresso al campo, la pioggia cade ancora fitta e fina, ma la copertura mi evita, per qualche centimetro, di sentirne l’effetto. Comincio a girare intorno, per farmi un’idea di ciò che accade. La curva di casa sta montando gli striscioni e, successivamente, preparerà una piccola coreografia, che forse è meglio chiamare commemorazione: si tratta del primo match disputato dopo la sosta invernale e la città è ancora scossa dall’attentato che il 20 dicembre scorso ha colpito i mercatini di Natale, quando una macchina si è lanciata sulla folla provocando sei morti e numerosi feriti. In quel momento il Magdeburgo era impegnato sul terreno del Fortuna Düsseldorf. Quando la notizia si è diffusa, nell’intervallo, gli ultras hanno tolto il materiale tornando repentinamente a casa. Oggi attorno ad Alter Markt (la piazza dove è accaduto il tutto) è un susseguirsi di fiori lasciati ai piedi delle chiese e nei punti nevralgici, sintomo di quanto lo strascico doloroso sia tutt’altro che sopito. Tornando a quest’oggi: i supporter di casa rimarranno in silenzio per i primi sei minuti, dietro a uno striscione tradotto in italiano significa: “Nelle ore buie e nel profondo dolore, Magdeburgo resta sempre unita”. Comportamento che sarà seguito anche dai tifosi ospiti, che a loro volta esporranno uno striscione con il messaggio: “Tieni duro Magdeburgo!”.
Allo scoccare del sesto minuto lo spettacolo del tifo può iniziare. E con esso il confronto tra due modi leggermente diversi di vivere lo stadio, radicati proprio nella differenze ancora esistenti tra le due Germanie. Su fronte casalingo il Block U si mette in mostra con uno stile sostanzialmente più “polacco”, anche se i tanti bandieroni e alcuni cori tenuti a lungo strizzano l’occhio anche alla nostra Penisola. Tuttavia i biancoblù mostrano senza dubbio di apprezzare maggiormente cori secchi, effettuando almeno tre sciarpate che oltre alla curva coinvolgono la tribuna alle mie spalle. Non me ne voglia nessuno, ma guardando sia loro che quella dei gialloblù ospiti, non posso che dire: spettacolo! Un muro di stoffa con i colori sociali, dove si fa fatica a vedere un buco e che mi restituisce l’immagine ideale di quello che è uno dei gesti primordiali di qualsiasi tifosi di calcio. Oltre a questo, ovviamente, c’è anche tanta voce per tutta la durata dell’incontro e un tifo complessivamente molto buono, sovente seguito e reso ancor più efficace dalla tribuna che soffia dietro di me e che seguirà l’intero match in piedi, cosa sempre bella da vedere in uno stadio, nonché termometro del modus vivendi della tifoseria “meno calda”. Devo dire che un’altra cose che mi colpisce e che apprezzo, è il modo in cui la gente segue la partita: inveendo, tirando bicchieri ai guardalinee e sbraitando per le azioni mancate. Può sembrare una stupidaggine, ma giudico una tifoseria anche da questi aspetti. Ecco perché spesso non mi convincono alcune curve dell’Est Europa, magari granitiche e imponenti nel tifare, ma quasi plastificate e apparentemente disinteressate allo spettacolo calcistico, cosa che per noi italiani è inconcepibile. Del resto si nasce tifosi del pallone e della propria squadra e poi, in base al proprio percorso, ci si avvicina agli ultras. La strada contraria è sempre un po’ strana, almeno a mio modo di vedere. Da segnalare lo striscione esposto contro Tamara Zieschang, Ministro dell’Interno per la sicurezza nello sport della Sassonia-Anhalt, presente allo stadio e costantemente impegnata nella battaglia contro gli ultras: “Tamara sappiamo dov’è la tua macchina, anche senza il riconoscimento automatico della targa”, una chiara provocazione – che riprende un coro generalmente cantato in Germania contro gli arbitri – alla proposta di legge, da parte della ministra, con cui si vorrebbero riconoscere automaticamente le targhe automobilistiche che entrano nella Sassonia-Anhalt per individuare quelle di terroristi, ma anche dei tifosi violenti. Una proposta che ha suscitato un mare di polemiche sia tra le opposizioni che tra i comuni cittadini. Per la cronaca, lo striscione ha causato una denuncia contro ignoti da parte della polizia.
Passando al settore ospiti, partiamo da un presupposto: i novantadue chilometri che dividono le due città, per diversi decenni sono stati la distanza ideale ma anche concreta tra due città di due diversi Paesi. Braunschweig, infatti, è tradizionalmente parte della Germania Occidentale e, dopo la dissoluzione del Muro, è stata giocoforza – e grazie alla vicinanza – uno dei primi posti in cui molti abitanti di Magdeburgo sono andati sia per motivi di lavoro che, semplicemente, per superare la “barriera”. I tifosi gialloblù, dunque, si rifanno nettamente al modello italiano, cosa facilmente intuibile sia dal gran numero di bandiere e bandieroni presenti, che dai cori più melodici e lunghi. L’Eintracht Braunschweig è una di quelle squadre storiche nel calcio teutonico, che oltre a vantare ventuno partecipazioni alla Bundesliga, può anche annoverare un titolo nazionale conquistato nel 1967 e un quarto di finale di Coppa dei Campioni disputato – e perso – contro la Juventus. Ammetto che conoscevo la sua tifoseria solo per qualche foto e video visti di sfuggita, quindi non sapevo bene cosa aspettarmi. Alla fine non solo non mi hanno deluso, ma la loro performance è stata senza dubbio notevole: manate, colore, cori tenuti a lungo e una bella torciata a fare da ciliegina sulla torta. Si vede che c’è tradizione e anche da quelle parti il movimento ultras ha attecchito in modo importante. Dietro allo striscione Ultras – che rappresenta i Cattiva Brunsviga – tanto movimento e pure una bella esultanza al gol che varrà l’1-1. Curiosità su di loro: la rivalità più sentita è quella con i ragazzi di Hannover, mentre in ambito internazionale mantengono buoni rapporti con gli ultras del Basilea e con gli Struppa ’86, della Samp.
Come accennato, in campo la gara termina in parità, confermando l’incredibile trend del club sassone: vera e propria schiacciasassi lontano dalle mura amiche, claudicante in casa, dove non vince da oltre un anno. Il Magdeburgo resta tuttavia al terzo posto, in piena lotta per una storica promozione in Bundesliga, che risuonerebbe un po’ come “risarcimento danni” per le ultime trentacinque stagioni figlie, anche, delle scelte post unitarie. I giocatori di casa vanno a prendere l’incitamento del Block U, che suggella la propria prestazione con un paio di battimani davvero notevoli. Applausi anche per gli ospiti, che in piena zona retrocessione hanno conquistato un punto più che buono. Dopodiché inizia il classico rito degli striscioni ritirati e, con esso, anche la mia giornata va lentamente avviandosi verso la conclusione. Sebbene abbia ancora un paio d’ore di pullman verso Berlino e poche ore di sonno, prima di ripartire alla volta di Cottbus, per il derby contro la Dynamo Dresda. Faccio le ultime foto e poi saluto lo stadio, con l’ultimo sguardo ai sontuosi murales. Il freddo che, bene o male, mi ha graziato per tutta la giornata, ora si fa sentire forte e chiaro. Fuori dall’impianto stazionano ancora tanti ragazzi con sciarpe al collo e birra in mano. Mi piange un po’ il cuore nel pensare che troppo spesso questa spontaneità e questa semplicità nel vivere la giornata della partita, da noi sia andata persa, o meglio, sia stata soffocata da leggi e restrizioni che, tra le tante cose, hanno come obiettivo quello di far vivere il meno possibile gli spalti (e non i loro negozi) ai tifosi, con steward sempre pronti a sbatterti il cancello in faccia perché “devono chiudere” (manco lavorassero in un ufficio postale!). Dopo il “poco” visto ad Alkmaar e Bratislava, finalmente esco da uno stadio soddisfatto, desideroso di ripetere l’esperienza. Sono le 23 quando il mio Flixbus si muove alla volta della Capitale, lasciandosi alle spalle la Ottostadt e tutta la giornata vissuta prima tra le sue strade e poi tra i suoi tifosi. Già cosciente della lentezza che avrò nello scrivere e nel descrivere il tutto, ma con la consapevolezza che quando il gioco vale la candela, è altrettanto giusto spendere più tempo e approfondire. Magdeburgo è lontana diversi chilometri ora, mi addormento con le cuffie nelle orecchie e la solitaria voglia di viaggiare per scrivere e narrare fino all’ultimo segmento visto dai miei occhi.
Simone Meloni