Chiamatelo coming-out se volete, anche se per chi mi conosce il dato è più che noto. Per quindici anni della mia vita, fra partite in casa e in trasferta, me ne sono perse davvero poche del Manfredonia. Negli ultimi dieci anni ne ho viste per contrappasso ancora di meno, per tutta una serie di vicissitudini di cui i 500 km di lontananza geografica dalla mia città natale sono forse l’ostacolo minore. Senza volervi tediare oltre, mi ritrovo a distanza di tempo immemore al “Miramare” di Manfredonia. Ci avevo già provato poco più di un anno fa, per onorare la scomparsa di un caro amico di curva, ma l’atmosfera surreale spesso legata a tali eventi luttuosi, mi respinse fuori prima ancora del calcio d’inizio. A parte tutto, oggi è soprattutto la curiosità di vedere i biscegliesi all’opera, mai incontrati da militante, a convincermi a rompere gli indugi. Poche o nulle le aspettative sui padroni di casa dopo il disarmo dei due gruppi che avevano guidato il tifo locale nel recente passato, ma verrò poi ampiamente smentito.

Procediamo però con ordine. Il primo dato di cronaca riguarda lo spostamento della gara alle 15:00 del lunedì, deciso all’ultimissimo minuto dopo un lungo e ridicolo tira e molla: oggetto del contendere, la contemporaneità del “Rally del Gargano” che rendeva impossibile il servizio d’ordine da parte della questura sipontina; cosa che da un lato evidenzia, se mai ce ne fosse bisogno, a che livello è arrivata l’isteria attorno alla sicurezza di una partita di calcio; dall’altro, invece, quanto poco conti ormai questo sport per finire in subordine ad una gara automobilistica, dove oltretutto non si capisce di quale ingente dispiegamento di forze dell’ordine ci sia necessità.

Veramente contronatura e alienante una partita al lunedì, però la risposta mi pare buona, non tanto quella del pubblico in generale quanto in particolare degli ultras, di ambo le sponde. Gli ospiti si annunciano con qualche bomba carta e dalla confinante gradinata Est, dove si posiziona il nuovo corso del tifo locale a scapito della storica Curva Sud, in tanti vanno ad affacciarsi sul parapetto superiore per accogliere il loro arrivo con gestacci, urla e insulti di ogni sorta. Sinceramente mi stupisce molto cotanta acredine, visti i nulli precedenti dei miei tempi, ma al contempo immagino che in questi ultimi anni le cose siano potute cambiare diametralmente, in ragione dei più frequenti incroci.

Mentre i biscegliesi entrano alla spicciolata e s’attardano prima di compattarsi ed esporre i loro vessilli, la parte attiva del tifo manfredoniano si raccoglie intorno ad una balconata del proprio settore. Un altro buon quadrato in basso a sinistra darà spesso e volentieri manforte al gruppetto principale in alto. A coordinarli ci sarà un tamburo ed un corista munito di megafono, roba da codice penale per gli psicopatici inquisitori che si occupano di calcio maggiore.

A parte la richiesta di “VINCERE” su uno striscione in basso, nessun altro striscione o pezza li identifica, dando di loro l’idea di un cantiere aperto da poco ed ancora in divenire. Idea fortificata dalle scarse e disorganizzate presenze delle passate trasferte.

Mentre il quadrato a supporto appare composto da gente più navigata, quello principale sembra molto più basso nell’età media e non è necessariamente un limite, visto che in prospettiva ciò può garantire ampi margini di crescita. Cosa che ovviamente dipende in maniera stretta dal contesto sociale, non sempre generoso con chi vorrebbe restare, vivere, lavorare e difendere in senso lato la propria terra, senza accomodarsi nell’ampio salotto cittadino dei collusi o compromessi.

Il loro tifo canoro, onestamente e come ho già lasciato intuire, mi sorprende moltissimo, forse anche perché avevo aspettative bassissime. Cantano con molta continuità, forse non con la necessaria potenza che si esigerebbe da una tifoseria che gioca fra le mura amiche, ma gli si deve dare atto che non si fermano praticamente mai. Quando trovano la collaborazione del resto del settore, sono davvero notevoli ma ciò succede solo in qualche sprazzo: in occasione di momenti topici della gara e dei cori offensivi, che a mio gusto sono un po’ stucchevoli, ma è appunto un’opinione mia personale.

In tema di repertorio (ma stiamo andando a guardare il pelo nell’uovo…), non mi convincono nemmeno troppo per tipo e varietà dei cori: poco originale la scelta, un mix di troppo classico da risultare poco originale e qualche hit di quelle tanto in voga nelle curve odierne, idem con patate in termini di scarsa originalità. Non si scambi però questa volontà di analizzare a fondo la loro prestazione per critica negativa: ritengo opportuno ripetermi e evidenziare nuovamente l’assoluta bontà della stessa. Hanno qualche neo evidente ma anche tanto potenziale umano da poter sfruttare per poter crescere e raggiungere maggiore compattezza, maggiore potenza e maggiore esperienza.

Per molti versi è inversamente proporzionale la prova dei biscegliesi, visibilmente più compatti e scafati dei loro dirimpettai e che, già solo grazie al mestiere, riescono a portare a compimento una gara molto positiva e lineare. Almeno sugli spalti, visto che in campo la loro compagine subisce un tremendo 1-2 proprio sul finale di partita.

Pur senza strafare fanno propria anche la contesa dal punto di vista del colore, grazie al paio di bei bandieroni che sventoleranno senza sosta per tutti i novanta minuti (particolarmente bello quello dedicato a “Il Capitano”, presumibilmente una delle icone calcistiche del loro passato) e anche grazie alle pezze in vetrata, poche ma molto ricercate e dal sapore retro: un pur minimo vezzo coreografico che i loro avversari non possono invece vantare.

Dal punto di vista canoro, la loro prestazione è davvero molto buona. Ottima nel primo tempo, più scarica nel secondo, con una parte finale di frazione in cui calano drasticamente subendo il ritorno dei padroni di casa e l’impatto emotivo del goal che finisce per stenderli. Come campionario di cori, i biscegliesi sono stati senza dubbio più vari ed originali. Non hanno mancato di rispondere per le rime agli sfottò ma non ne hanno fatto la ragione principale del proprio tifo, concentrandolo invece a supporto della propria squadra in campo.

Molto bella l’esultanza sipontina al goal che decide la gara, una cascata quasi “argentina” di gente che si riversa verso la parte bassa del settore, dando libero sfogo a tutta la propria gioia e destinando sberleffi ed inviti agli avversari a suggere le loro parti basse per accrescerne il godimento. Il contraltare ospite è in un duro faccia a faccia con la squadra: merito ai giocatori che vanno a render conto dello scarso rendimento, ancor più all’intelligenza dei tifosi che sanno esser netti senza trascendere, con buona pace di chi urla costantemente allo scandalo per ogni tipo di contatto ravvicinato fra gli stessi tifosi e chi in campo li rappresenta.

In ultima istanza, anche a chi segue pur marginalmente le cronache locali come me, non può saltare all’occhio e prenderlo a pugni la ridondante presenza dello sponsor “Energas”, società campana intenzionata ad installare in zona un imponente deposito di gpl. In una sorta di triste refrain, dopo il petrolchimico negli anni ottanta o la più recente cricca dei balordi triveneti del contratto d’area, la squadra di calcio viene nuovamente usata come cavallo di Troia per sdoganare soggetti o pratiche imprenditoriali poco gradite piuttosto che poco chiare. In ragione di ciò m’aspettavo una certa conflittualità nel merito, ma altresì e per quanto già detto, è forse prematuro chiedere troppo a questa tifoseria in via di riorganizzazione. Posto inoltre che in questa città, chiunque abbia alzato la testa se l’è ritrovata schiacciata sotto gli anfibi del potere e della repressione. D’altronde è universalmente risaputo, il dissenso e la ribellione vanno pesantemente puniti proprio perché un motivo per cui contestare evidentemente sussiste. Così la Manfredonia in giacca e cravatta può continuare a sciaguattare nel fango della collusione, fingendo di preoccuparsi del bene comune.

Matteo Falcone.