Il calcio racconta spesso, come diceva Eduardo Galeano, storie di splendori e miserie. Poco più di un decennio fa quella di Manfredonia poteva essere la classica favola della piccola compagine di provincia arrivata a ritagliarsi il suo posto al sole. Nella prima metà degli anni duemila, i sipontini scalarono le gerarchie fino all’allora Serie C1 dopo una duplice promozione che, nel giro di poco tempo, li aveva portati dal derby col San Severo a quello col Foggia, dalla sfida ai campani dell’Ariano Irpino a quelli del Napoli che ora guida la Serie A. Sette anni in cui, anche come tifoseria, in riva al golfo s’erano tolti le belle soddisfazioni di confrontarsi, fra campionato e coppa, con tante altre vecchie blasonate come Avellino, Venezia, Cagliari, Salernitana, Verona, Lucchese, Perugia e tante altre.

La storia però, considerandola da un punto di vista Platonico, è un ciclo che si chiude sempre su sé stesso, così fu per quella parentesi che si concluse con una bruciante mancata iscrizione in C2 nonostante la salvezza ottenuta sul campo. Seguirono anni di fallimenti, economici e sportivi, che portarono il sodalizio biancazzurro fino all’abisso della Prima Categoria pugliese ma da quella rovinosa caduta, la macchina del tempo ha ripreso probabilmente a fare il suo corso.

Oggi il Manfredonia si trova primo in Eccellenza ed anche se la lunga strada per il ritorno, almeno in Serie D, deve passare attraverso la contesa del titolo con altre nobili decadute quali Bisceglie o Gallipoli, nel girone B, con il quale dovrà eventualmente incrociarsi in spareggio, quantomeno è tornato a splendere un tiepido sole. Tiepido perché nonostante il buon andamento in campionato e la finale di Coppa in questione contro il Manduria, c’è ancora qualche nuvola che incombe all’orizzonte, a partire dalla spinosa questione dello Stadio “Miramare”. Fatta salva una breve parentesi a fine stagione scorsa, guarda caso in periodo elettorale, il Manfredonia non gioca fra le mura amiche da tempo immemore. Fra un riammodernamento necessario in virtù dell’usura del tempo, carenze strutturali da allineare ai nuovi standard normativi e terreno di gioco in sintetico, talmente rabberciato da aver causato una sconfitta a tavolino per le linee di fondo storte, quest’anno le porte dell’impianto sono state definitivamente chiuse. E non si sa quando riapriranno, fra concessionario e comune che si rimpallano le responsabilità ed è anche questo un esercizio fra il kafkiano e il freudiano, considerando che il concessionario è grosso modo la vecchia società che è a sua volta il Sindaco, che proprio dopo le elezioni ha ceduto la squadra e lasciato il cerino in mano ad un imprenditore forestiero per sviare l’evidente conflitto d’interesse.

La finale d’andata di Coppa Puglia si gioca perciò al “Madrepietra stadium” di Apricena, cosa che già in certo qual modo influisce sul numero di presenze. A contendere il trofeo è il Manduria, rappresentativa dell’omonimo centro messapico (in provincia di Taranto, ma di fatto parte del Salento) che conta circa 30 mila abitanti, famoso in tutto il mondo per il suo rinomato Vino Primitivo. Un po’ meno nota invece la squadra di calcio che, pur fondata nel lontano 1926, è stata per lo più protagonista di campionati regionali (10 partecipazioni alla Serie D), raggiungendo l’acme nel 2002-03 con un terzo posto nel girone H della Serie D e successivi playoff persi ad appannaggio del Rutigliano, che approdò in C2 assieme al Melfi vittorioso in campionato. Particolarmente longevo anche il tifo organizzato biancoverde con la “Fossa dei Draghi”, sciolta nel 2012, che fa risalire la sua nascita al 1988 mentre ancora precedente (si parla del 1984…) è il gruppo degli “Ultras Manduria”, per quanto poi chiaramente è sempre difficile storicizzare con esattezza o affidabilità il mondo del tifo, ancora di più nei piccoli centri.

Attualmente a detenere le redini del tifo manduriano è la “Nuova Guardia”, gruppo molto più giovane che ha visto la luce nel nuovo millennio, precisamente nel 2009. Suo lo striscione che campeggia al centro del settore ospiti di Apricena, affiancato da “Vecchia Guardia”, “Messapici 2002” e data l’occasione speciale, anche dalle pezze dei gemellati di Taurisano. Arrivano in circa 200, prevalentemente con tre autobus, uno messo a disposizione dal Comune, uno organizzato da “Nuova Guardia” e il terzo da “Vecchia Guardia”. Favoriti da un settore molto raccolto, offrono un impatto scenico davvero molto positivo. Non ci sono forme di colore particolare a salutare l’ingresso delle squadre in campo ma nel corso della gara si fanno comunque notare sia grazie alle sciarpe che alle bandiere, spesso e volentieri alzate o stese. Visivamente restituiscono molto all’occhio anche grazie al continuo ricorso ai battimani e in linea generale il loro tifo risulta buono e tutto sommato continuo, con una flessione registrata solo sul finale, in virtù del 3 a 0 dei padroni di casa, reazione assolutamente umana e fisiologica alle avversità del campo di gioco. Nonostante una larvata rivalità con i locali, figlia più della logica del beduino e delle amicizie-rivalità incrociate, non si registrano particolari tensioni se non qualche cordiale saluto a distanza fra, per l’appunto, taurisanesi da una parte e tricasini dall’altra.

Partendo appunto da questa presenza di Tricase fra i manfredoniani, con le pezze di Rum Boys e Tricase Fans, si può dire che anche per i garganici l’impatto visivo risulta altrettanto imponente. Difficile fare stime, qualche giornale locale parla entusiasticamente di 1.500 presenze ma è forse troppo ottimistico come dato ed è più verosimile parlare di circa un migliaio. Ad inizio gara si presentano dietro lo striscione “Come le onde del nostro mare, niente e nessuno ci potrà fermare”. Bello nella sua fattura ed anche se sembra alludere ad una qualche coreografia, in realtà si ferma tutto qui. Pirotecnica al bando, visto che dalla questura cittadina pretendevano autorizzazioni preventive e i ragazzi della Gradinata Est hanno preferito desistere. Tutto il colore è affidato, anche in questo caso, a bandiere, due aste e sciarpe.

A differenza dei dirimpettai si concedono anche un paio di striscioni, uno per ringraziare i già citati gemellati tricasini per la loro presenza, l’altro (come un po’ vagamente faceva già lo striscione più grande esposto a inizio partita e la pezza “Vogliamo il Miramare”) ripone al centro del dibattito la questione dello stadio, legandola al rispetto che meriterebbe una piazza capace di rispondere con tale affetto nonostante la stagione senza fissa dimora. Tifo canoro infine sicuramente ed ampiamente positivo, anche considerando il pubblico delle grandi occasioni presente, non sempre facile da gestire e coordinare sia per questioni prettamente logistiche che per la sua scarsa abitudine al tifo.

Festa grande a fine gara per il secco 3 a 0 con cui chiudono questa pratica mettendo una seria ipoteca sul trofeo, al netto di suicidi sportivi nella gara di ritorno prevista per il 5 febbraio a Manduria. Ancora più interessante sarebbe la fase nazionale della Coppa Dilettanti, quella che mette a confronto tutte le vincenti delle varie Coppe Regionali. Non solo perché aprirebbe a sfide ultras inedite e con tifoserie di alto valore, ma anche perché l’eventuale vittoria della stessa garantirebbe la promozione diretta in Serie D. Sarebbe un ulteriore salvacondotto dopo l’oscena riforma dell’Eccellenza Pugliese seguita alla pandemia. Da allora infatti, il comitato regionale ha diviso il campionato unico in due gironi, presumibilmente per ammortizzare i costi delle società già oberate dal lockdown, ma causando un abbassamento clamoroso del livello, un fortissimo dislivello fra prime e ultime, con squadre che durante la stagione regolare vengono prese puntualmente a pallonate. E in cambio di tutta questa pochezza, si rischia al tempo stesso di scoraggiare quanti ancora credono e investono nel calcio dilettantistico perché pur stradominando il proprio girone, si potrebbe comunque perdere la Serie D nel playoff contro la prima dell’altro girone, che come tutte le gare da dentro o fuori, porta sempre con sé ansie da prestazione e amare sorprese.

Foto di Davide Gallo
Testo a cura della redazione