“E non ne abbiamo bisogno, io di te mi vergogno…”. Uno dei cori senza dubbio più coinvolgenti e partecipati da parte del pubblico messinese quest’oggi. Un coro che apre la finestra su mille situazioni, unite però da un comune denominatore: il totale scoramento tra la Messina calcistica e i vari personaggi che negli ultimi anni si sono avvicinati e avvicendati attorno alla sua vita. Cominciando proprio da quello che attualmente è visto come l’artefice massimo di tutti i disastri societari che rischiano nuovamente di far sparire il glorioso club peloritano. Il personaggio verso cui questo coro è rivolto ormai da tempo immemore: Pietro Sciotto. La punta dell’iceberg di un’instabilità e di una salute troppo spesso claudicante che investe il sodalizio giallorosso dal dopo Franza che neanche gli ultimi anni di Serie C – sempre a livelli medio/bassi – hanno saputo sacciar via. Avevo lasciato il Messina in un afoso pomeriggio di fine maggio, al termine di un playout/derby con la Reggina che ne aveva sancito la retrocessione in D. Vi rimetto piede con una situazione paradossalmente quasi peggiore, in cui solo la fede incrollabile dei tifosi riesce a tenere in piedi l’onore e la speranza. Speranza che “qualcuno” riesca a prendere il club per i capelli, salvandolo sia nella sua sfera amministrativa che in campo, dove l’esclusione di Taranto e Turris – sommata ai punti di penalizzazione ricevuti durante la stagione – ha trascinato i giallorossi all’ultimo posto. Serve un miracolo per arrivare almeno allo spareggio con la penultima (che si disputa fino a otto punti di distacco dalla stessa) ed evitare la retrocessione diretta, sebbene sportivamente i giocatori ce la stiano mettendo tutta, andando anche oltre le gravi lacune dirigenziali e societarie.

Quando col buon Marco arriviamo a Fontanarossa, il tempo sembra non promettere nulla di buono, con la pioggia che cade forte e pesante. Fortunatamente con il passare delle ore e incamminandoci verso lo Stretto, le gocce si diradano, lasciando spazio a un timido sole, che dopo qualche ora diventa più deciso e a dir poco primaverile. Magie della Trinacria che avevo ampiamente predetto già da Roma, a discapito della iattura del mio compagno di viaggio, partito da Fiumicino con l’ombrello pronto a essere aperto. Mancano diverse ore al fischio d’inizio e per le strade di quella che i greci fondarono col nome di Zancle, nessuno sembra essere interessato alla partita. Eppure, da qualche settimana, gli ultras della Sud sono rientrati in curva, trascinandosi dietro anche i più scettici e contribuendo a far lievitare i numeri, con picchi davvero importanti, soprattutto se commisurati alla situazione del club. Parlando di numeri, importanti continuano a essere quelli degli avellinesi, che per l’occasione hanno staccato 763 tagliandi, un dato davvero notevole, che sottolinea ancora una volta l’ottimo stato di forma della tifoseria irpina, che arriva al San Filippo con l’intento di portare la squadra a una vittoria imprescindibile per continuare a seguire il sogno promozione, da qualche tempo più vicino grazie alla distanza sempre più risicata dal Cerignola primo in classifica.

Per raggiungere lo stadio messinese è d’uopo passare davanti al Celeste. Il vecchio Celeste. Teatro di sogni, passioni e di quasi tutti i più grandi successi sportivi messinesi. Allevia un po’ il cuore dei nostalgici sapere che da qualche tempo il Comune ci sta mettendo mano per riqualificarlo, sebbene a più riprese la Questura sia stata chiara e rigida: il Messina non ci giocherà mai più. La sua conformazione stretta tra i palazzi e a pochi passi dal centro, soprattutto in quest’epoca di ipocondria connessa all’ordine pubblico, rappresenta ovviamente un elemento che penalizza qualsiasi idea di un ritorno nella vera e propria casa del calcio giallorosso. Inutile dire che il passaggio nella cattedrale nel deserto chiamata San Filippo è stato un qualcosa di traumatico per tutto: sovradimensionato, lontano dal cuore cittadino, scomodo da raggiungere (basti pensare che attualmente non esiste un mezzo pubblico che ci arrivi) e, negli ultimi anni, perennemente limitato nella capienza (cosa che magicamente scompare in caso di concerti, quando torna senza problemi a ospitare quarantamila persone). Nota a margine: la strada verso lo stadio, oltre che da una sosta al Celeste, non può che esser caratterizzata da una “sana” e inevitabile gastronomia locale, dove a farci più che felici ci pensa un bel piatto di pasta alla norma, un arancino e il re dello street food messinese: il pidone. Scusate il fuori programma, ma le tappe cibarie debbono giocoforza rimanere impresse in tutti i miei racconti!

Arrivati nei pressi dell’impianto ciò che subito colpisce è la totale mancanza di manutenzione. Parliamo di uno stadio costruito vent’anni fa, non certo di un rudere: biglietterie totalmente dismesse e divelte, parte degli ingressi incerottati e la piena sensazione di quanto a Messina il calcio sia stato vittima per troppi anni di incompetenti e affaristi dell’ultima ora (e i nomi che gli vengono avvicinati in questo periodo – Massimo Ferrero su tutti – non fanno certo ben sperare per un cambiamento futuro). Va davvero ripetuto: senza il patrimonio dei tifosi oggi forse del sodalizio peloritano se ne saprebbe ben poco e navigherebbe disperso nelle acque impervie e meste del dilettantismo siciliano. Entriamo sul manto verde – che contrariamente a tutto il resto versa in condizione davvero ottime, persino meglio di molti campi della massima divisione – e fa un certo effetto pensare che due decenni fa questo vide le gesta di molti giocatori che hanno fatto la storia del football italico. Gli ultras di casa stanno lentamente montando tutto il loro materiale, mentre nel settore ospiti per il momento sono presenti solo alcuni club. Personalmente nel corso degli anni ho sempre nutrito un forte rispetto verso il tifo organizzato giallorosso: credo che se ne possano non condividere alcune scelte e avere le più disparate opinioni in fatto di stile e attitudine al tifo, ma veramente non si può negare l’assiduità e la continuità con cui hanno sempre seguito le sorti dei propri colori. E parliamo di una squadra che dopo la retrocessione dalla Serie A del 2006/2007 ha conosciuto solo declassamenti, sconfitte e fallimenti. Con la massima aspirazione perseguibile rappresentata dalle promozione dalla D alla C. Inoltre, parlando proprio di concretezza, tutte le volte che mi è capitato di vederli all’opera non hanno mai deluso in fatto di sostegno canoro. In questa stagione è la terza volta che li incrocio, dopo le trasferte di Trapani e Crotone. Senza dubbio oggi è la più “drammatica” per quanto detto sopra. Eppure lo zoccolo duro non solo non ha voluto mollare ma ha invitato chiunque ad affollare gli spalti, per dare l’ennesima dimostrazione di appartenenza ma anche per manifestare la vicinanza alla squadra.

Quando le squadre scendono in campo la Sud si colora con alcuni fumogeni gialli e rossi, cominciando a sostenere la squadra. Anche quest’oggi i gruppi hanno deciso di esporre tutte le loro pezze sulle balaustre e lo striscione unitario “Messinesi” sul plexiglass del settore. Uno striscione, nel suo, storico. Che ha rappresentato la tifoseria siciliana anche in diverse trasferte di Serie A. Per attendere l’ingresso del contingente ultras avellinese occorrerà aspettare una decina di minuti dopo il fischio d’inizio. Gli irpini impiegano un po’ per schierarsi al centro del settore e chiamare a raccolta la gente già arrivata. Dai gesti dei lanciacori si capisce l’intento di formare un blocco unico, per sostenere il Lupo in modo continuo e granitico. Il valore dei campani non lo scopro certo quest’oggi, tuttavia è innegabile che negli ultimi anni sia stato fatto un lento ma efficace lavoro di riorganizzazione curvaiola. Gesti, ritmi e scelte sembrano ormai ben rodati e ogni coro è prima preceduto da qualche secondo di “coordinazione” voluta dai ragazzi col megafono in mano. Parlare alla curva, alla gente che ha viaggiato a bordo di bus e furgoni per seguire la propria fede, non è più pratica comune nel nostro Paese e questo – mi si permetta – ha affievolito molte piazze in fase di tifo, perché qualcuno sembra più seguire un copione che cantare in base all’andamento della partita e dell’avversario che si ha davanti. Questo per dire che nella performance degli avellinesi c’è tutto quello che serve a renderla grande e decisa: voce, bandiere sventolate ma ammainate momentaneamente per far risaltare le manate, torce e fumogeni accesi in quantità notevole e potenza nello scandire i propri slogan. Bello lo striscione per ricordare Bruno Pizzul, storica voce del nostro calcio, vergognosamente ignorata da Leghe e Federazione, che hanno ben pensato di non dedicargli neanche un minuto di silenzio.

Su fronte messinese, la prova si divide in due fasi, con il secondo tempo che vede i giallorossi più decisi e rumorosi, al ritmo dei loro tamburi e intenti a colorare il settore con bandieroni e bandierine. Come detto, i cori contro Sciotto si levano potenti e in più frangenti, coinvolgendo anche la tribuna. In campo, malgrado una grande partita e una buona dose di sfortuna, è l’Avellino a spuntarla per 0-1. Una sconfitta – per quanto preventivabile – dura, che inguaia ulteriormente gli uomini di Banchieri e che li costringe, d’ora in poi, a vincere almeno le sfide con le avversarie di pari livello. Dopo il lungo e forte gemellaggio che per anni ha segnato i rapporti tra le due fazioni, da qualche anno lo stesso si è affievolito, trasformandosi probabilmente in un grande rispetto. Sta di fatto che diversi sono i cori che partono dal settore ospiti contri i comuni rivali catanesi, trovando l’ovvia approvazione anche nei dirimpettai. Dopo il triplice fischio è tempo per i calciatori di portarsi sotto le rispettive tifoserie. Applausi e festeggiamenti su sponda irpina, con i biancoverdi che ora più che mai credono nella promozione diretta. Incoraggiamento anche dalla Sud di casa, che ricorda chiaramente ai giocatori la sua vicinanza incondizionata, a prescindere da tutte le oscenità extra campo che che il popolo messinese è attualmente costretto a subire.

Per noi è arrivato il momento di riporre l’attrezzatura e cominciare ad andarcene. L’indomani ci vedrà presenziare in uno stadio nuovo per entrambi: il Generale Gaeta di Enna, per la sfida tra i padroni di casa e il Siracusa. Osserviamo i gruppi togliere pezze e striscioni, per poi lasciare alla chetichella il freddo e grigio San Filippo, che solo loro riescono a colorare e riscaldare minimamente. Le prossime settimane sapranno delineare meglio il futuro del club siciliano. Il tifo organizzato la sua parte la sta facendo e mai come in questi giorni risuona ancor più forte quel coro. Perché “non ne hanno bisogno”. Messina necessita di stabilità e di una base che restituisca lustro alla storia sportiva cittadina, che tra le altre cose ci parla di una delle prime società meridionali a militare in Serie A e anche della quarta miglior squadra del Sud Italia in fatto di piazzamenti nella massima divisione (grazie al settimo posto conseguito nel 2004/2005, che la colloca solo dietro Cagliari, Napoli e Palermo). L’Associazioni Calcio Riunite rimane appesa a un filo, con una sola certezza: se anche questo si spezzasse i suoi fedeli sostenitori saranno là a rimettere assieme i cocci!

Simone Meloni