Cinquantuno anni dopo il cielo di Roma torna a tingersi di rossoblù. Forse inaspettatamente. Forse con lo stupore di molti. Forse con la bocca storta di chi – nell’establishment pallonaro – queste finali le vorrebbe sempre e solo disputate dalle solite note e vinte da chi con questa “coppetta” (come la definiscono in molti) può salvare capra e cavoli in stagioni disastrose. Non me ne vogliamo i milanisti, nulla contro un loro eventuale successo, ma assistere a una vittoria “anomala” in una delle kermesse più discriminatorie e classiste del nostro Paese, è un qualcosa di epocale. Non un “miracolo”, perché il sodalizio emiliano è arrivato a questa serata costruendo, nelle ultime annate, mattone su mattone la propria stabilità e il proprio valore nel rettangolo di gioco. Andando a rinverdire i fasti di una storia ultracentenaria e restituendo soddisfazioni a una città affamata di calcio e da sempre fedele ai propri colori. Forse è giusto che il “portaombrelli” – altro simpatico appellativo affibbiato alla Coppa Italia dai nerd della sfera di cuoio – per una volta sia finito nelle mani di chi lo ha sentito come una Champions League, dandogli un valore infinito e stampandolo nel proprio cuore e nelle proprie memorie. Da qui a l’eternità.
Risale a oltre mezzo secolo fa l’ultimo trionfo del Bologna. 23 maggio 1974, i felsinei battono ai rigori il Palermo e mettono in bacheca l’ultima coppa di un’era gloriosa, quella che gli è valsa la nomea di “Squadrone che tremare il mondo fa” e che ha cucito per ben sette volte lo scudetto sul petto delle casacche rossoblù. L’ultimo dei quali, manco a dirlo, conquistato nello storico spareggio di Roma (finora l’unico disputato per l’assegnazione del titolo nazionale) contro l’Inter di Helenio Herrera, fresca vincitrice della Coppa dei Campioni contro il Real Madrid di Puskas al Prater di Vienna. In mezzo tantissime generazioni che hanno vissuto disgrazie – dalla Serie C alle varie retrocessioni in B – e pochissimi sussulti. C’è chi come punto massimo della propria vita da tifoso non può che annoverare la semifinale di Coppa UEFA, persa, in maniera a dir poco dolorosa, contro il Marsiglia nel 1999. E c’è chi, tra i più giovani, non ha vissuto neanche quella. Ecco perché questo 14 maggio sarà comunque uno spartiacque.
Se su fronte rossoblù l’avvicinamento alla finale viene vissuto con entusiasmo e fibrillazione, stessa cosa non si può dire per i dirimpettai. Sul Milan e sui suoi tifosi grava una nuvola nera, che negli ultimi mesi non ha mancato di sciogliersi in pioggia torrenziale e in più di un’occasione minacciare tempesta e grandine. Sia da un punto di vista sportivo, con la dirigenza contestata per gli scarsi risultati ottenuti, che – soprattutto – da un punto di vista curvaiolo. Le note vicende giuridiche che hanno riguardato e stanno riguardando le due curve meneghine, hanno infatti portato a una spietata e ferma repressione nei confronti delle stesse, a partire dal veto della Questura a esporre materiale dei gruppi oltre alla fortissima limitazione in tutte le altre azioni e iniziative anche più innocue. Insomma, uno dei periodi più nebulosi e duri per tutto l’ambiente milanista, che attualmente si interroga su quale sarà il futuro prossimo, con voci insistenti e preoccupanti che parlano di abbonamenti non rinnovabili per la tifoseria organizzata e un circo mediatico che spinge per arginare tutto quello che graviti attorno o sia afferente agli ultras. La misura dell’aria pesante che si respira attorno alla Sud è data, quest’oggi, dal divieto imposto dalle autorità di esporre la propria scenografia, tanto che alla fine gli ultras rossoneri partiranno in corteo soltanto dietro allo striscione “Ultras Liberi”, scandendo cori potenti e univoci contro polizia e società.
Malgrado il curioso siparietto consumatosi all’alba in quel di Bologna, con pullman già pagati che non si sono presentati portandosi via il malloppo e costringendo tantissimi tifosi (almeno cinquecento) a riorganizzarsi sul momento, nei pressi di Ponte Milvio, già diverse ore prima del fischio d’inizio la macchia rossoblù è notevole. Nei giorni precedenti la Curva Costa ha diffuso un comunicato, dando appuntamento a tutti i sostenitori felsinei per marciare assieme verso gli ingressi, inscenando un corteo sulla porzione di Lungotevere loro spettante. Poco dopo le sei il “serpentone” parte. Dietro allo striscione dei Forever Ultras e a quello con il nome della città, persone di ogni sesso ed età vengono coordinate dai megafoni e dai tamburi, cominciando a riscaldare l’ambiente nella strada che li condurrà all’interno della Curva Nord. Oltre trentamila bolognesi nella Capitale. Numeri importanti, soprattutto perché gli emiliani non possono contare su un seguito oltre la propria provincia o, addirittura – come nel caso degli avversari – che si estenda nel resto della Penisola. L’ennesima conferma di quanto in città sia radicato il legame con il BFC, ma anche quello con lo sport in generale, basti pensare al valore delle due tifoserie del basket. Non a caso il Dall’Ara registra sempre affluenze importanti e forse, proprio volendo cercare il pelo nell’uovo, l’unico neo rimangono i numeri, talvolta stringati, portati in alcune trasferte. Anche se negli ultimi due anni, anche grazie alle ottime stagioni dei rossoblù, lontano dalle Due Torri si sono viste ottime presenze.
Quando manca un’ora all’avvio delle ostilità, in Nord i bolognesi stanno preparando la scenografia che accoglierà le squadre, mentre i milanisti hanno affisso tre striscioni sulla vetrata della Sud: a sinistra quello con scritto “Forti sempre”, al centro “Noi” e a destra “Gli Ultras del Milan”. Oltre ciò, l’unico materiale presente sarà il bandierone che negli ultimi mesi sventola solitario anche a San Siro. Piccola grande storia all’italiana: nei giorni precedenti ha suscitato qualche polemica la presenza dei rossoneri in quella che abitualmente è la casa dei romanisti. Come preventivabile, in seno a una delle rivalità più sentite e storiche del nostro panorama curvaiolo, durante la gara i supporter del Diavolo lasceranno diversi “ricordi” ai rivali giallorossi vergati a pennarello sui seggiolini. Nulla di strano o trascendentale, figuriamoci se addirittura meriterebbe gli onori della cronaca. Ma dato che nel nostro Paese tutto quel che nemmeno dovrebbe essere considerato, fa invece scandalo, avanspettacolo e riesce a indignare, la “questione” finisce sul tavolo dei cervelloni dell’Osservatorio che, nei giorni successivi, hanno ben pensato di vietare ai lombardi l’imminente trasferta contro la Roma, in programma proprio la domenica successiva. Un provvedimento oltretutto inutile, considerato che gli stessi milanisti, attraverso un comunicato uscito il giorno dopo la Finale persa, annunciano che avrebbero comunque boicottato l’Olimpico per protesta contro dirigenti e giocatori.
Tornando al percorso di avvicinamento al match, quando le due squadre finiscono la fase di riscaldamento, rientrando negli spogliatoi, le due curve cominciano a farsi sentire, stuzzicandosi anche a vicenda. Tra le fila emiliane spicca al presenza dei gemellati di Avellino, Ravenna, Bochum, Egaleo e Cork, mentre lo striscione che andrà a ultimare la scenografia viene lentamente aperto e recita: “Oggi come allora… così si gioca solo in paradiso”. Il riferimento è alla storica frase pronunciata da Fulvio Bernardini – condottiero dell’ultimo Bologna scudettato – al termine di un derby contro il Modena vinto per 7-1 nel 1962. Qualche minuto dopo, un telone raffigurante i ragazzi del 1964 e lo skyline del centro cittadino verrà aperto al centro del settore, ultimato da tantissime bandierine rosse e blu sventolate ai lati. Uno spettacolo dall’alto significato storico e tutto sommato ben riuscito, senza andare a cercare chissà quale complicato show da kolossal hollywoodiano. Il tutto viene tenuto per diversi minuti, anche dopo l’inizio della partita, quando i lanciacori prendono il comando delle operazioni e cominciano a far cantare il settore. Un compito arduo in una curva grande come quella dell’Olimpico, dove per una serata sono convenute anche persone che generalmente non seguono menadito le dinamiche ultras. Tuttavia devo riconoscere ai bolognesi un ottimo lavoro in fase di organizzazione e, dunque, una riuscita davvero buona nel tifo. Un crescendo che nella ripresa toccherà il proprio picco tra manate a tutto settore, cori tenuti a lungo e una bella sciarpata eseguita praticamente da tutti i presenti. Nella parte bassa i gruppi sventolano incessantemente i propri bandieroni, mentre disseminate per tutta la Nord ci sono bandierine e stendardi, utili a dare colore e movimento.
Situazione ovviamente diversa lato milanisti. Un po’ per il loro stile asciutto e “total black”, che ormai da qualche anno ne caratterizza le performance, un po’ per i suddetti divieti, che non aiutano a colorare il settore. Tuttavia la loro prova è senza dubbio buona nei primi 45′, con tanti cori a rispondere e battimani che riescono sovente a trascinare anche gli altri settori. Mentre nella seconda frazione i rossoneri saranno più incostanti, anche se si metteranno in mostra accendendo diverse torce. La sliding door della serata viene attraversata al minuto 52′ e porta un nome e un cognome, quelli di Dan Ndoye, attaccante del Bologna. Lo svizzero si incunea nell’area avversaria, salta due uomini e scaraventa un destro preciso alle spalle di Maignan. La sfera entra in rete, facendo letteralmente esplodere i tifosi assiepati alle sue spalle, con i ragazzi guidati da Italiano che vanno a raccoglierne l’abbraccio. Mancano trentotto minuti al termine e qualcuno comincia a pensare che il sogno coltivato per anni possa prendere una forma concreta. Ma allo stesso tempo aumenta anche la paura di non farcela, di essere beffati, di vedere il traguardo svanire a un soffio. Gli ultras provano a gettare il cuore oltre l’ostacolo, spronando i presenti a cantare, dando voce ai sentimenti contrastanti che per lunghissimi minuti uniscono i trentamila rossoblù di Viale dei Gladiatori con le altre decine di migliaia dislocati tra Piazza Maggio, i vicoli stretti del centro e aree periferiche della “Dotta”. Dall’altra parte il malumore dei rossoneri prende lentamente il sopravvento sulla voglia di sostenere la squadra e quando, a pochi secondi dal triplice fischio, si intuisce che ormai non c’è più niente da fare, comincia la contestazione verso Cardinale. I cori nascono dagli ultras ma si trascinano all’unisono presso tutti i presenti, restituendo la dimensione della distanza tra club e tifosi (non solo ultras).
Qualcuno – non uno a caso – dice che nella “notte dei miracoli, nei vicoli di Roma, qualcuno sta facendo a pezzi una canzone”. Ma io credo che oggi, nei vicoli della Città Eterna, più che finire in pezzi, abbia risuonato potente e armoniosa quella canzone. Forse anche più di una. Sicuramente scritta e musicata proprio da quel “qualcuno” che negli ultimi secondi si sarà preparato per dare il la alla sciarpata, sulle notte di “Caro amico ti scrivo”. L’arbitro mette in bocca i fischietto e in una frazione di secondo il boato si propaga, spezzando cinquantuno anni di digiuno. Il Bologna vince la Coppa Italia e l’anno prossimo avrà diritto di giocare con la coccarda tricolore sulle maglie. Dopo tutto il cerimoniale relativo alla premiazione, i giocatori in maglia rossoblù portano il trofeo sotto la Curva Nord, consegnandolo per diversi minuti nelle mani degli ultras, che a loro volta lo levano al cielo in direzione dei presenti. Come per dire: “Ce l’abbiamo fatta, è nostra!”. Tra il serio e il faceto fa un certo effetto anche vedere Gianni Morandi in campo, figura pop della nostra cultura del Novecento e, quasi ovviamente direi, appassionato di calcio di lunga data. Resta il bello di questo sport e del suo contorno: unire in un’emozione ogni tipo di persona, a prescindere dall’estrazione sociale.
L’orologio segna la mezzanotte e sulla pista di tartan ci sono ancora tifosi, dirigenti e qualche calciatore a festeggiare. Evasi dalla prigionia del sogno e inebriati dalla vittoria, molti tifosi felsinei si ritroveranno a passare la notte in bianco. E non solo perché impegnati nel viaggio di ritorno. Nell’imparità e nella discriminazione economica del nostro calcio, queste serate – una volta ogni morte di Papa verrebbe da dire, sic! – hanno il potere di riportare indietro l’orologio di qualche anno, quando spalti e campi della Penisola erano ai vertici e anche le cosiddette outsider erano in grado di metter paura ai grandi nomi.
Per una notte “Si muove la città, con le piazze e i giardini e la gente nei bar!”.
Testo Simone Meloni
Foto Agenzia
































