Se il credo ultras, fino a poco tempo fa, univa tutti sotto una stessa visione generale della vita sulle gradinate, oggi, fra i pochi veri appassionati di “partitelle” rimasti, c’è divisione sul dove e sul come “cercare la via” per poter continuare ad amare un mondo a serio rischio di estinzione.

Ci sono, oggi come ieri, gli integralisti, cioè coloro che sostengono che vivere la curva, purché lo si faccia con passione, non presenti grandi distinzioni dalla Serie A alla Terza Categoria, passando per ogni singola disciplina sportiva. Un altro filone è quello dei grandi numeri, ovvero l’ultrà viene riconosciuto solo se fa massa e provoca un certo movimento, mentre intorno c’è il nulla. Ci sono, di contro, i sostenitori del “piccolo è meglio”, ovvero i convinti che, a causa dei dettami del calcio moderno, solo dalla Serie D in giù si può trovare l’essenza perduta del vero tifo. Altro filone estremista è quello dei “lontani dal calcio”, vale a dire che, per ricreare un’atmosfera vera e sana di tifo la cosa migliore è seguire il basket, la pallavolo, la pallamano, il baseball o qualsiasi altra cosa fuorché il calcio.

Personalmente non sposo in toto nessuna di queste teorie, e cerco di rifarmi alla dottrina che riconosce la possibilità di vedere ovunque delle cose buone. Tuttavia, non posso negare a me stesso che più ci si allontana dal potere dei soldi e della politica, in qualsiasi sport, e meglio è. Nonostante anche io mi possa infiammare per una semifinale di Europa League o per delle Final Four di Eurolega, ammetto di divertirmi maggiormente in contesti definiti, dai più, minoritari.

La mia presenza in Arca-Serenissima, finale Play-off di Seconda Categoria, è stata frutto di diverse combinazioni. Nonostante la segnalazione dei ragazzi dell’Arca, avevo già deciso di assistere a questa partita, attratto, oltre dalla presenza sicura di una buona cornice sugli spalti, dal fascino indiscutibile dell’Arena Civica di Milano, oggi intitolata a Gianni Brera.

Tornando alla discussione iniziale, cioè cosa determina la scelta di una partita per un appassionato di ultras e di tifo in generale, non si può assolutamente scindere dal teatro dove la scena avrà luogo. Se qualcuno, in tempi non sospetti, mi avesse chiesto se preferisco seguire, in campo, una partita di Serie A a San Siro, oppure ad una qualsiasi partita all’Arena Civica di Milano, avrei risposto, senza esitazione alcuna, a favore della seconda. Perché se San Siro è la “Scala” del calcio, l’Arena è il tempio, un luogo senza tempo impregnato di storia e, miracolosamente, ancora integro ai giorni nostri, grazie alla cura del settore pubblico che, bene o male, non ha mai abbandonato del tutto le sorti dell’impianto; non come succede, per esempio, a Roma, dove non c’è un campo – uno – per una terza squadra mentre, di contro, impianti come il “Flaminio”, il “Tre Fontane” o il “Francesca Gianni” cascano a pezzi.

La storia dell’Arena risale addirittura ai primissimi anni del XIX secolo; ad approvarne il progetto e ad inaugurarla personalmente fu, nel 1807, addirittura Napoleone Bonaparte. Teatro, ippodromo, campo sportivo, open-space per i concerti, l’Arena ha sempre avuto un ruolo centrale nella società milanese, favorita anche dalla sua posizione, essendo situata a pochi metri dal Castello Sforzesco ed inserita naturalmente nel suo parco. L’ispirazione al Circo di Massenzio colloca l’impianto nel pieno periodo neoclassico, che ha avuto proprio nell’architettura civile la sua massima espressione. Sportivamente parlando, il periodo d’oro dell’Arena Civica è stato fra il 1930 e il 1958, quando divenne la sede delle partite casalinghe dell’Inter, finché non si decise che era troppo piccola, passando quindi a San Siro. Rimanendo sempre in ambito sportivo, l’impianto ospita società di atletica, di rugby e, fino a pochi anni fa, il Brera Calcio, società tuttora esistente ma che non è riuscita a diventare il terzo polo fisso del calcio meneghino.

Per la prima volta da quando frequento il capoluogo della Lombardia, mi accorgo che la Stazione Cadorna non è solamente un ottimo interscambio per la metropolitana, ma è, probabilmente, lo scalo ferroviario più centrale di tutta Milano. Infatti basta uscire, andare a sinistra ed attraversare la strada, ed il Castello degli Sforza è già lì, col suo parco pieno di vita, specie in giornate baciate dal sole come questa. La mia camminata, piacevolissima, di pochi minuti avviene nel verde tra coppie mano nella mano, bambini scattanti, comitive distese sull’erba e gli immancabili turisti.

Sono le 16:00 quando giungo a destinazione, manca un’ora al calcio d’inizio e, almeno da fuori, in pochi si accorgono che là dentro sta per iniziare una partita. Un timido cartello esposto nell’unica porta aperta, in realtà un foglio A4 bianco con stampa nera, indica l’ingresso agli spalti ed i prezzi, 7 € intero e 3,50 € ridotto. Un po’ tantino per una Seconda Categoria, penso tra me e me, ma forse vanno anche coperti i costi di affitto dello stadio. Per andare in campo vengo dirottato verso l’ingresso atleti e, immediatamente, lascio il mio documento all’arbitro.

L’enorme tribuna centrale, che ospiterà entrambe le tifoserie, è ancora semi-vuota, o meglio, ci sono, già e solamente, una ventina di tifosi dell’Arca dietro ai loro striscioni. Ne approfitto, allora, per un giro per tutta l’Arena, salendo i gradoni e facendo foto da tutte le angolazioni possibili, come un turista per caso. Nel mentre, gli ultras dell’Arca, con le squadre che già si stanno riscaldando, fanno i primi cori ed accendono un paio di fumogeni. Come inizio non c’è male.

L’ASD Arca, colori arancioblu, gioca di solito nel Centro Sportivo Emilio Colombo, in zona Inganni-Baggio, a due passi dall’Agorà, la pista su ghiaccio casa della Saima Milano. Più che di una società sportiva, si tratta di un vero e proprio progetto sociale, che trova la propria fonte di ispirazione nei “principi cristiani, di solidarietà e di assistenza”, come mi dice il presidente Spadaro. Del resto, già il nome Arca è piuttosto evocativo, sia in senso biblico sia in quello di una dimora stabile per tutti in mezzo alla tempesta.

Nata nel 1991, questa società ha girato in lungo ed in largo, per anni, i campi di mezza Milano fino ad approdare, nel 2010, all’Emilio Colombo, grazie alla vincita di un Bando Pubblico promosso dal Comune. In realtà, l’Arca gestisce mezzo centro sportivo, mentre l’altro mezzo è ancora in attesa di qualche acquirente interessato, previo ulteriore bando, e nel frattempo è rifugio di diversi senzatetto.

Gestire uno “scherzo” del genere è un’impresa da quasi 100.000 € annui che l’Arca sborsa senza sovvenzioni pubbliche, ma con l’autofinanziamento e la promozione dei propri progetti, dentro e fuori dai campi sportivi. Fiore all’occhiello della sezione calcistica è proprio la squadra attualmente in Seconda Categoria, senza contare le giovanili, le squadre di calcio iscritte al CSI e la pallavolo. Un progetto importante, quindi, che ha convinto molti giovani tifosi ad incitare questa “strana” squadra milanese, fino ad ottenere un seguito molto importante, specie se rapportato alla categoria piuttosto bassa.

A voler dire di più, è difficile capire come veramente tanti ragazzi si siano avvicinati alle sorti dell’Arca, facendola diventare un elemento di convergenza fra giovani i quali, spesso e volentieri, in comune tra di loro hanno molto poco. L’interrogativo è quanto questa affezione possa perpetrarsi nel tempo ma, intanto, squadra, società e tifosi possono godersi un momento di gloria che, in queste categorie, è un lusso impossibile un po’ per tutti.

E il coronamento di una stagione alla grande potrebbe essere proprio il passaggio di categoria: classificatasi terza nel proprio girone al termine della stagione regolare, l’Arca è arrivata, dopo due turni preliminari, al fondo dei play-off. In caso di vittoria finale, la promozione sarebbe automatica e di diritto, senza aspettare, in ogni caso, un ripescaggio quasi certo in Estate.

Assorto nel mio tour fotografico sento, da fuori, alcuni cori rimbombare. Sicuramente sono i tifosi dell’altra squadra, la Serenissima, decisi a far notare da subito la loro presenza. Se l’Arca è inserita, in tutto e per tutto, nella vita di una grande città, la Serenissima è l’espressione calcistica di Villaggio Brollo, una piccola frazione del comune di Solaro, collocato in provincia di Milano, al confine con quelle di Monza Brianza e Varese. Scorrazzando qua e là su internet, mi sono imbattuto in una storia molto particolare di questo Villaggio Brollo, frutto di un lavoro di alcuni bambini della Scuola Elementare locale. E, personalmente, ho sempre lodato l’immediatezza espressiva dei bambini per comunicare concetti ben più complessi, come, in questo caso, le vicende di un ex podere di campagna diventato, negli anni, una piccola Frazione di un altrettanto piccolo Comune.

Il nome a questo luogo si deve a Giovanni Brollo, Trevigiano, il quale nel 1939 si trasferì a Milano. Diventato imprenditore in un’epoca precaria ma dalle grandi opportunità, Giovanni trovò proprio in quell’appezzamento di terra vicino a Solaro, in una brughiera allora sterminata, il luogo più congeniale per ricreare la campagna della sua terra natia. Acquistato il podere dai Conti Borromeo in persona, il vasto terreno divenne prima tenuta e poi colonia agricola, i cui primi abitanti furono i parenti del Brollo che, mano a mano, col passare degli anni e col miglioramento delle condizioni economiche, richiamarono altri conterranei e gettarono le basi del Villaggio così come esso appare oggi.

Essendo, questa Frazione, indissolubilmente legata ai primi coloni veneti, il fatto che la squadra di calcio locale si chiami Serenissima e si richiami alla terra di provenienza dei propri padri fondatori è piuttosto logico. Anzi, personalmente ho trovato piuttosto affascinante questa storia, al punto da volerla condividere su queste righe.

Dopo un bel po’ di storia, il presente. La partita si avvicina, e gli spalti cominciano a riempirsi. I tifosi dell’Arca si accomodano tutti vicino ai loro sempre più numerosi ultras, al sole, mentre i tifosi di Villaggio Brollo stanno comodamente all’ombra dell’edificio principale dell’Arena. Gli ultras ospiti sono circa una decina ed entrano cantando, col loro tamburo e piuttosto decisi a farsi sentire. Più numerosi i semplici tifosi anche se, a conti finali, su 400 spettatori presenti, si possono calcolare circa 250 arancioblu e 150 gialloverdi.

Già la sola combinazione cromatica delle squadre rende questa partita accattivante. La vera sorpresa della giornata, tuttavia, sono gli ultras dell’Arca: molto numerosi, persino stretti come sardine per una Seconda Categoria. Dopo un ottimo prepartita, preso alla larga, gli effettivi si fanno sentire anche a ridosso del calcio d’inizio, per fare una pausa solo per preparare la loro coreografia iniziale.

Sono le ore 17:00, e in questo splendido contesto le squadre stanno per entrare in campo. Il sole è accecante, ma le gradinate sono veramente bollenti di passione e di tifo. La partita è sentita da entrambe le tifoserie, nonostante anche la squadra perdente verrà, al 99%, ripescata in Prima Categoria. Ogni gesto sulle tribune lo dimostra.

Tante le bandiere, da una parte e dall’altra anche se, inutile dirlo, le mie aspettative sono tutte per quei ragazzi raggruppati dietro allo striscione “Forza Arca conquista il primato”. Nessuna sigla, solo un chiaro incitamento. Più defilato uno striscione con scritto “GSE Milano”, di cui non conosco il significato esteso.

Cornice di pubblico a parte, credo che gli stessi giocatori si siano sorpresi di trovare una simile accoglienza da ambo le parti. Gli ultras dell’Arca hanno fatto le cose in grande: pezzo forte della coreografia una maglia fatta in carta col numero “11” e la scritta sovrastante “Gladiatori”, con un contorno che richiama l’Arena Civica, uno spettacolo preparato appositamente per l’occasione; a corredo, sui lati, si agitano palloncini arancio e blu, mentre, sopra e sotto, due striscioni lanciano un unico messaggio, “Conquista la folla, conquisterai la Prima”. Non manca pure una buona dose di fumogeni.

Tanta pirotecnica, invece, dall’altra parte, dove tutti gli effettivi più attivi accendono torce e fumogeni, mentre il resto del pubblico sventola qualche bandiera o alza qualche sporadico palloncino. È tutto veramente emozionante e coinvolgente, e questo senza che vi sia un solo uomo in divisa nei paraggi e senza che nessuno si scandalizzi per il tanto fumo prodotto. Anzi il pubblico, bambini in primis, sembra apprezzare, e non poco, uno spettacolo bello ed autentico, lontano dal format sterile e preconfezionato del calcio dei miliardi e delle televisioni. I giocatori, magari, sono le stesse persone che si incontrano la sera al bar, e i ragazzi a tifare gli stessi che, magari, qualche ora prima hanno indossato la stessa maglia per giocare in una categoria giovanile. A volte, ai vari moralisti e moralizzatori di turno, basterebbe scendere in queste categorie per capire che qui si respira il vero calcio, mentre l’aria che tracannano a pieni polmoni davanti ad un commentatore di Sky è tossica ed asfissiante. Persino noi di Sport People possiamo scrivere pensieri, articoli ed editoriali, ma un’esperienza dal vivo come questa vale più di mille parole che si provano a mettere insieme e che, ai più, neanche interessano.

L’atmosfera impregnata di tifo mi contagia. Anche se il mio obiettivo è spesso puntato sui più numerosi, più colorati e “più tutto” tifosi dell’Arca, non posso fare a meno di apprezzare i sostenitori della Serenissima; un’impresa, la loro, farsi sentire ma, nonostante tutto, ci riescono.

Su sponda Arca il materiale pirotecnico sembra non finire mai. Si infiamma non solo la plastica contenente la polvere da sparo, ma anche il tifo. Accendi una torcia e tutto brillerà di più, nel vero senso della parola. Anche i cori, tenuti spesso a lungo, sono il frutto di un mix tra vecchio e nuovo, senza mai scendere in un repertorio banale. Benché giovani, i ragazzi spalle al campo ci sanno fare ma, soprattutto, trovano altrettanti ragazzi pronti a seguirli. E il primo gol, in apertura, è quello dell’Arca, con la conseguente corsa del marcatore sotto i tifosi; l’esultanza, neanche a dirlo, è di quelle vere.

Del fumo rosso si alza e partono i cori della festa. Ma uno dei giocatori gialloverdi non ci sta e, quasi immediatamente, ricambia la cortesia, segnando e correndo a perdifiato verso i propri tifosi. Tutto in pochi minuti, col meglio che deve ancora arrivare. Gli ultras dell’Arca tifano senza voglia di fermarsi, provano qualche effetto speciale senza tralasciare la goliardia. I tifosi di Brollo non sono continui alla stessa maniera, ma si fanno sentire e, a loro modo, rispettare. Finisce il primo tempo per 1-1. La Serenissima sembra un po’ più forte, ma l’Arca tiene. Il pubblico apprezza, applaude e si va a rinfrescare.

In una giornata così, ovviamente, non può mancare assolutamente la coreografia del secondo tempo, almeno su sponda Arca. Sui gradoni viene steso un grande tricolore, contornato da torce ad intermittenza, mentre in balaustra una pezza afferma “Milano, dominiamo”. I gruppi tornano immediatamente ai loro rispettivi posti e la gara ricomincia.

L’intensità del tifo non scende da nessuna delle due parti, ormai questa partita è un fatto di orgoglio. Sembrano sentirlo pure le squadre in campo. Non c’è solo da tagliare un importante traguardo, ma da ripagare tutti quei tifosi che, in una giornata così calda, potevano fare ben altro. Ma, si sa, se il calcio si spoglia della sua crescente repressione e della sua patina odorante di falso, torna ad essere espressione del popolo. E se torna ad essere espressione del popolo, al popolo piace, eccome, ed ancora, affollare quei gradoni. Anche se sono vetusti e mancano i seggiolini. Anzi, è persino meglio.

Probabilmente, la partita di oggi, per molti presenti di una certa età, è un viaggio indietro nel tempo; per i giovani, invece, l’occasione di assaggiare il frutto proibito senza essere bacchettati o assaliti dai sensi di colpa. E, dicevo, una gara così vera e così bella sugli spalti, non può esserlo da meno in campo. Certo, classe e tecnica sono lontane anni luce dalla perfezione, ma motivazioni, grinta e gambe sono ognuna al proprio posto.

Sembra un pareggio che protrarrà la partita ai supplementari, invece l’Arca, nel suo momento più difficile, dopo che la Serenissima ha sbagliato l’impossibile, si trova di nuovo in vantaggio. Altra esplosione sugli spalti. Manca poco e bisogna stringere i denti. Perché la Serenissima no, non molla. Anzi, dà anima e corpo per pareggiare. Traversa e due salvataggi sulla linea. Preghiere e rosari, evidentemente, funzionano.

Al triplice fischio dell’arbitro, è l’Arca a festeggiare, e non è una festa tanto per dire: gli spalti si confondono col fumo di vari colori, e uno striscione si alza dalle gradinate: “Siamo di 1 altra categoria”. Già, perché ciò che vedo oggi starebbe benissimo persino in Serie C. Ma, di contro, se questi ragazzi assaggiassero la terza serie, non potrebbero far nulla di ciò che hanno fatto oggi. Ed il bello è proprio questo: trovarsi tutti insieme, giocatori, tifosi e dirigenti, a cantare, saltare e ballare insieme, come se avessero vinto la Coppa del Mondo. La gioia non si dà con una pillola, ma è frutto di un mix di emozioni che arrivano tutte insieme, nello stesso momento. E se ci fosse un Van Gogh ad immortalare il tutto, potrebbe intitolare la sua opera proprio “La gioia”. Con quei colori violenti, di furore, di bandiere e fumogeni.

Devo andar via, ma prima mi devo togliere almeno una curiosità. Vado dal presidente dell’Arca e gli chiedo com’è possibile aver creato questa specie di macchina del tempo. Dove li avete presi tutti questi tifosi? Com’è possibile? Lui ci prova a parlare del sociale, dei valori cristiani e via dicendo, ma non posso fare a meno di dirgli che ciò è lodevole ma non basta. E allora? Allora è un miracolo. Forse sarà, un giorno, nei recessi della memoria dei presenti, un ricordo sbiadito ed improbabile, ma nessuno potrà negare, a sé stesso e agli altri, che c’è stato.

Stefano Severi.