A poche ore dalla scomparsa di Diego Armando Maradona era in programma una serata di Champions League, con annessi studi televisivi pre e post partita. Sky, ovviamente, ha dispiegato le forze per la notizia del giorno, forse dell’anno – pandemia permettendo – e ha lasciato grande spazio al ricordo del Diez, mettendo in secondo piano l’impresa dell’Atalanta ad Anfield Road e la disfatta dell’Inter a San Siro. Fin qui, nulla di strano. E finanche piacevole è stato vedere Conte attendere la fine di un filmato che la redazione di Sky Sport ha dedicato a Maradona per iniziare la sua intervista, gerarchia per nulla scontata in una televisione a pagamento e in un mondo del pallone che ha preso l’irrimediabile deriva di trattare gli allenatori al pari dei divi del cinema degli anni sessanta.

Poi però, a parlare della morte di Maradona, e quindi della sua esistenza, sono stati gli ospiti del salotto Champions, con Anna Billò in conduzione. A guidare il gruppo Paolo Condò, firma di punta dello sport de la Repubblica. Poi Billy Costacurta, Fabio Capello e in collegamento da Los Angeles Alessandro Del Piero.

Parte Condò, che quando parla di calcio e sport in generale, piaccia o meno, va ascoltato col rispetto che merita una penna autorevole, e inizia a parlare di Maradona a 360 gradi. Della vita, delle incongruenze e della classe del calciatore Diego. Dopo di che, il baratro. Capello e i suoi ex calciatori inondano gli schermi con una trita analisi del fuoriclasse scomparso, disquisendo di movimenti in campo, di gol segnati annullando esistenti leggi della fisica, di quanto felpato fosse il suo stop, del suo sinistro e anche del piede destro. Senza parlare neanche per un nano secondo del reale motivo per cui a Napoli e a Buenos Aires milioni di persone stanno piangendo in strada come fosse venuto a mancare loro un parente stretto, quindi dimostrando di non averlo neanche capito, mettendo in mostra una non invidiabile atrofia intellettuale.
Fabio Capello, che viene trattato con una riverenza che non verrebbe concessa neanche al Mahatma, si dimostra completamente incapace di comprendere la portata storica dell’evento e l’unicità della persona di cui è costretto a parlare, reso cieco dalla boria che gli permette, pensa lui, di possedere le chiavi di ogni cosa abbia una relazione con il rettangolo verde di gioco.

Come ha sottolineato in uno splendido ricordo scritto per il suo amico scomparso, Gianni Minà spiega che il rapporto d’amore di Diego era con il pallone inteso come oggetto sferico che rotola su un prato verde, non con il mondo del calcio che lo ha sfruttato fino alla consunzione e poi sputato via come un il torsolo di un frutto ormai spolpato. Era con la gente della sua Argentina e di Napoli, non con le istituzioni pallonare e tantomeno con i giornalisti sportivi. Le persone piangono un irripetibile fuoriclasse proprio perché non ha mai tentato di nascondere la sua profonda umanità nella vita reale. E nel giorno della sua morte, i Capello di questo mondo dovrebbero avere la decenza di tacere, perché in fondo, anche se per codardia non lo ammetterebbero mai, hanno sempre puntato il dito contro la gente in difficoltà umana come Maradona, vomitando il loro perbenismo a buon mercato ogni qual volta è stata loro concessa la parola.  

Dopo l’effetto nauseabondo dell’ipocrisia mista al maldestro tentativo di replicare la più classica delle tv del dolore, la luce. Un monologo di qualche minuto di Federico Buffa, che già aveva raccontato con l’altezza narrativa che gli compete la vita di Diego, dalla bidonville dove è nato fino al personaggio pubblico che è diventato, parlando con tatto delle cadute e non enfatizzandone come una gallina starnazzante i trionfi. Ammonendo gli altri ospiti che osservare l’onda emotiva scatenatasi a Buenos Aires con occhi europei è un esercizio inutile e fuorviante. Che l’America Latina va osservata, non solo vista.
Perché se gli inglesi hanno inventato il calcio, e lo hanno fatto, i sudamericani hanno inventato l’amore per il gioco. Ma soprattutto perché Diego Armando Maradona si è sempre schierato in difesa dei popoli oppressi del suo continente attaccando, quindi, uomini e correnti politiche che è tutto fuorché conveniente inimicarsi se si è un volto noto del nostro pianeta. Questi, non solo gli stop al volo, sono alcuni dei motivi per cui Dio è morto il 25 novembre 2020.

Niccolò Mastrapasqua