IMG_7540“E un’altra volta è notte e scrivo, non so nemmeno io per che motivo”. Perdonami la dilettantesca parafrasi del saggio Guccini, mio caro amico lettore, m’ero anche ripromesso di lasciar perdere, di ricacciare indietro quel riflusso biliare che mi aveva attanagliato lo stomaco al cospetto degli eventi della scorsa settimana. Non ce l’ho fatta e sto ancora qui a tediarti su un argomento ormai talmente discusso, i cui motivi sono così ovvi che ci portano a pensare che no, proprio non riescono a comprendere. O non vogliono, cosa ben peggiore.

Era iniziata con le denunce del Bayern Monaco nei confronti del trattamento subito dai suoi sostenitori allo Juventus Stadium, evento insabbiato e lasciato cadere nell’oblio per non infastidire l’operato illuminato delle nostre Istituzioni. È proseguita con il panico sociale diffuso ad arte per la presenza dei temibilissimi turchi giallorossi, come se Piazza del Popolo nella sua storia non avesse mai visto qualche fumogeno prima d’allora (manifestazioni di piazza, questo cancro da estirpare!). E poi l’ode all’eroico Questore, sceso in Terra in mezzo ai suoi uomini a guisa del valoroso eroe Tassiano Goffredo di Buglione, per proteggere l’Occidente dal ritorno del pericoloso Solimano, e ancora tronfie dichiarazioni del Ministro dell’Interno, smanioso nell’informarci tutti da Bruxelles del suo ruolo chiave nel disegno di legge che fu Cirinnà ed ora è Bagnasco, dimenticandosi il buon Angelino che il suo dicastero dovrebbe occuparsi d’altro. Ed è culminata nelle dichiarazioni rilasciate ieri mattina da mister Spalletti ai microfoni dell’emittente radiofonica della società capitolina.

Un fulmine a ciel sereno dopo la sesta sinfonia della sua brigata. “Quelli che parlano dell’amore romanista, lo devono dimostrare in questa occasione. La Roma è importante come la famiglia”. Si riferisce alla sfida contro la Fiorentina in programma venerdì sera, presso lo Stadio Olimpico. Un concetto piuttosto discusso nelle ultime settimane quello di “famiglia”, ognuno con la sua verità assoluta in tasca e la smania di far prevalere il proprio pensiero su quello altrui. “Quel messaggio agli ultrà caduto nel vuoto”, tuona La Repubblica attraverso la longa manus di un noto giornalista romano, “Spalletti ne ha anche per la Curva Sud”, la replica de Il Messaggero. Come se questi, i “curvaroli” debbano dimostrare qualcosa a qualcuno, farsi insegnare la romanità da uno che, con tutto il rispetto, è riuscito a vivere anche senza di essa. Loro no. Si sarebbero sicuramente divertiti di più ad assaltare Prefetture e Questure, almeno in base all’interpretazione fantasiosa elaborata dalla maggioranza solitaria e inebetita attraverso la cieca divorazione di stereotipi, sommata alla propensione oramai diffusa del commentare a sproposito.

“Io non parlo di cose che non conosco”, l’insegnamento di Nanni Moretti nel suo Sogni d’oro del 1981 che molti dovrebbero riconsiderare. E invece hanno scelto una via legale e non-violenta. Ma neanche questa non va bene perché devono esserci sempre interessi dietro. “Pilotati, marionette, autoreferenziali, idioti, ribelli, violenti, scostumati, ignoranti, beceri”… Bella famiglia, bel modo di trattare fratelli o figli. Eppure, nonostante tutto questo, la Curva Sud, in quanto entità, perché se la Roma è una fede allora la Messa può svolgersi in ogni luogo in cui i suoi fedeli si riuniscono, è stata presente a: Verona, Frosinone, Genoa, Borisov, Palermo, Leverkusen, Firenze, Milano, Bologna, Barcellona, Torino, purtroppo Napoli no, ancora Verona e Torino, Reggio Emilia, Modena, Empoli. Per ora, ne mancano cinque. Speriamo sei. Sono quelli che hanno seguito la Roma a Salonicco, Tromsoe, Belgrado, Middlesbrough e tante altri impianti sportivi in giro per il Mondo.

Se la ricorda la sua prima esperienza sulla panchina giallorossa mister? Si ricorda il primo momento in cui ha voltato lo sguardo verso destra entrando in campo? Io sì, avevo sette anni e dalla Tribuna Monte Mario quei cori e colori hanno reso quei novanta minuta una sorta di prima estasi. Lei è andato in Russia ad insegnare calcio, loro sono rimasti qui ad essere puniti al primo sbaglio, o al primo cenno di qualcosa di socialmente inaccettabile. Sono rimasti al fianco della Roma nei momenti bui, raccogliendo soddisfazioni (poche) e tante delusioni sportive, ma sopratutto di tifo.

Perché caro signor Luciano, lei che appena tornato nella Capitale ha deciso di riportarci i giocatori sotto il settore, deve sapere che prima questo non si faceva. Nonostante le centinaia di chilometri percorsi, quelle migliaia di persone al seguito non meritavano neanche questo. Perché omaggiare i tifosi non era più di casa. Le siamo grati per questo, non solo per il mero risultato sportivo, ed essendo lei un toscanaccio verace e astuto, sarebbe gradita una preparazione in materia prima di scagliare dardi contro il cuore del tifo. Perché le parole che vengono da vicino sono quelle che più fanno male, essendo inaspettate e gratuite. Basterebbe consultare il sondaggio pubblicato dal sito asromaultras.org, a cui hanno preso parte più di 3mila persone, il cui 51.1% appartenente alla tanto vituperata Curva Sud, per farsi un’idea a tutto tondo della vicenda, per ascoltare anche le motivazioni dell’altra campana, quella bistrattata e ammutolita dallo strapotere statale.

Nella passata stagione il 56% del campione ha assistito ad almeno sedici partite stagionale, ridottosi all’11.1% in quanto la stragrande maggioranza del tifo organizzato ha assistito quest’anno a due incontri: Roma-Siviglia, presentazione militarizzata con controlli degni del miglior penitenziario terrestre (eppure non c’erano tifoserie rivali, essendo una festa) e la sfida contro la Juventus. Da quel giorno lontano, era fine agosto, il settore storico è rimasto semivuoto. Il perché? Basta osservare i numeri, è piuttosto semplice. L’85.5% di questi si reca allo stadio perché apprezza l’utilizzo di torce, fumogeni, bandiere e il fatto di poter sostenere la squadra attraverso cori. Ovvero: due cose punite con Daspo, una per cui bisogna chiedere il permesso (?) o ottenerlo in loco (?), l’altra ad un passo dalla censura.

E indovina un po’ caro mister quali sono le cause che spingono i tifosi a disertare, soffrendo: assenza dell’ambiente tradizionale, barriere, eccessive misure di sicurezza e controlli invasivi della PS e le multe (la prima, dalla seconda scatta il Daspo) per il posto non assegnato. Sarebbe come andare al cinema e mettersi nel posto non assegnato per migliorare la visibilità, oppure lasciare la macchina in doppia fila momentaneamente, per riprenderla 2 minuti dopo. Capita a tutti, penso, vero? E se le vietassero di andare a vedere un film con la sua famiglia, se le togliessero la patente per un’infrazione marginale e, spesso e volentieri, sorvolata in base ad una strana logica, oggigiorno desueta, come il “buon senso”, lei cosa direbbe? Accetterebbe tutto passivamente? “Siamo probabilmente l’unico paese europeo ad avere ancora le barriere negli impianti sportivi”. Parole del numero uno della Federcalcio, che non sarà uno scopritore di onde gravitazionali, ma se ci è arrivato anche lui vorrà pur dire qualcosa.

Ci sono barriere tra un fratello e l’altro, tra un padre e un figlio. Vetri che separano componenti di una famiglia, i quali non sono neanche liberi di passare da una sedia all’altra di questa enorme tavolata conviviale e fraterna, correndo il rischio di passare dei guai seri. Perché per chi non lo sapesse, il Daspo non è una multa da 39 euro non pagata, ma una denuncia penale e soldi spesi per avvocati e tempo perso e permessi di lavoro e stress. Le sembra questo il modo di difendere un componente della famiglia, mister? “Abbiamo ricevuto dalla nostra famiglia le idee di cui viviamo, così come la malattia di cui moriremo”, disse Marcel Proust. E tanti hanno imparato dalla loro seconda famiglia, la Curva, un concetto che dovrebbe essere alla base di ogni spaccato sociale: la solidarietà. Perché è questa che porta cinquemila persone a starsene a casa, soffrendo in silenzio, pur avendo pagato profumatamente un abbonamento stagionale. Perché un giorno potrebbero essere colpiti loro e non il vicino di banco, il quale merita tutto il sostegno possibile, come si addice ad ogni famiglia.

I figli, anche i peggiori, non si lasciano da soli, anzi. Forse moriremo al cospetto di un calcio post-moderno devoto alla massimizzazione dei profitti, in cui il tifoso occasionale (ok:azjo’nale/ agg. [der. di occasione]. – 1. [che dipende da un’occasione: un incontro o.] ≈ accidentale, casuale, fortuito, imprevisto, inaspettato) regna incontrastato a colpi di selfie e fotocamere. Ma almeno lo faremo tutti insieme, senza lasciare che questa famiglia sia spaccata in due, tre, mille parti come vorrebbero in molti. Perché le barriere possono dividere fisicamente, ma le teste possono rifiutare l’omologazione in nome di una libertà d’espressione e pensiero che è sempre più sbiadita e osteggiata. Ci pensi bene mister, ascolti anche le pecore nere della famiglia. Magari potrebbe imparare qualcosa e, chi lo sa, magari appoggiare la loro visione delle cose. Ad maiora, alla Roma.

Gianvittorio De Gennaro.