Eintracht-Leeds2015Il 19 Febbraio a Roma si verificano i disordini con cui i tifosi olandesi del Feyenoord seminano il panico nella Capitale. Tra gli errori di ordine pubblico, i conseguenti scaricabarile nostrani, la conta dei danni, tra cui quello della Barcaccia, vero o presunto che sia, ciò che desta maggior scalpore e catalizza l’attenzione dei media, per pochi giorni è: il fenomeno hooligan europeo.

Ciò sarebbe un elemento di causa ed effetto abbastanza lineare, così come, abbastanza scontato appare il polverone dei giorni successivi. Tuttavia, una domanda sorge spontanea: ma in quei giorni concitati, dov’è finita l’esterofilia dei media?

Questo episodio, inconsapevolmente, ha squarciato quel velo di Maya, disegnato dalla nostra stampa, che raccontava come, oltre i confini del nostro Stivale, tutto fosse più blu, di come in Europa, il calcio fosse vissuto in uno stato di armonia. Quell’esterofilia che con forza venne utilizzata nel post-Raciti, nel post-Sandri, amabilmente sfruttata per trovare il capro espiatorio nei tifosi italiani, così da soprassedere sulle vere falle del nostro calcio e del Palazzo che lo comanda.

Eppure a raccontarci di un mondo tutt’altro che rose e fiori, fu lo scrittore Bill Emmott in un’intervista del 2007 rilasciata al Corriere della Sera. Nella sua analisi sul calcio inglese e su come fosse stato combattuto il fenomeno degli hooligan, uno stralcio della stessa intervista risulta molto interessante: “La realtà è che l’Inghilterra non ha risolto il problema della violenza tra i tifosi, quel problema esiste ancora. È vero, la violenza è stata ridotta rispetto alla situazione di vent’anni fa. Ma non è sparita. Se un inglese vi assicura che non esiste più, o è vittima di una pia illusione, o non presta attenzione a quanto accade ogni giorno”.

Già un anno prima dell’intervista, a Palermo, si susseguirono scontri tra gli Hammers, i tifosi del West Ham, e i palermitani. Bilancio della calda notte siciliana di fine estate: 200 tifosi coinvolti, 4 feriti, 21 arresti. Ma di lì a qualche anno le parole di Emmott si riveleranno profetiche. Vari sono stati gli episodi in Inghilterra e fuori dal Regno Unito, che hanno visto protagoniste in tafferugli le tifoserie Albioniche: nel 2009, fu celebre la giornata di scintille e tensione vissuta prima durante e dopo la sfida tra West Ham e Millwall all’Upton Park. Due anni dopo, semifinale di ritorno di Carling Cup tra Birmingham City e West Ham con 17 tifosi arrestati fuori dall’impianto di gioco.

In campo internazionale altri episodi non tenderanno a mancare. In un avvenimento non di poco conto, come la Finale di Europa League del 2013 giocata ad Amsterdam, si verificarono scontri tra le tifoserie del Chelsea e del Benfica. Anche qui bilancio piuttosto pesante di 24 arresti.

Un anno dopo, sempre nello scenario dell’Europa League, un’altra sfida, quella tra il Lille e l’Everton, vedrà il contatto violento tra le tifoserie delle rispettive squadre. In questa torrida estate, finisce nell’indifferenza dei media italiani anche la rissa tra i tifosi del Leeds e quelli dell’Eintracht Francoforte, che ha riportato 20 arresti e 2 persone al pronto soccorso, durante un’amichevole disputata a fine luglio, in Austria.

Uno scenario di scontri che dimostra quanto la logica repressiva iniziata nell’epoca thatcheriana non abbia fatto altro che comprimere ancor di più la violenza, per poi farla sfociare con tutta la sua forza alla prima crepa nella diga.

Nel 1991 venne introdotto il Football Offence Act che consentiva alla polizia di arrestare e far processare per direttissima i tifosi anche solo per intemperanze verbali. Una delle leggi che approcciava in pieno la filosofia della “tolleranza zero” della Lady di Ferro, che doveva debellare la violenza dagli stadi. Eppure, sull’onda di questa politica repressiva, si sono avuti ben altri risvolti.

Il calcio inglese effettivamente si trasforma. Stadi sempre più funzionali, più moderni ma sempre più cari; solo in questi ultimi anni, dal 2011, il prezzo medio dei biglietti dei settori più economici è aumentato complessivamente del 13%. Secondo gli stessi dati raccolti dalla BBC in un’indagine sui prezzi del calcio, i tagliandi dei settori popolari della sola Premier League sono aumentati del 15,8% nel periodo considerato. Il prezzo medio del biglietto più economico è salito a quasi il doppio del tasso di crescita del costo della vita. Non a caso, i tifosi di Premier League, Championship e leghe minori, insieme alla Football Supporters Federation, stanno organizzando un’azione di protesta contro il caro-biglietti il primo weekend di Ottobre.

Oltre la questione stadi, c’è poi l’assoluta predominanza dei nuovi magnati, dei nuovi padroni del calcio anglosassone che utilizzano i vari club per spudorati giochi di marketing. Ad esempio, il Cardiff, che per due anni ha dovuto lasciare la sua storica maglia blu per volontà del Presidente malese Vincent Tan, che sostituì i colori sociali con il rosso “più attraente per il mercato asiatico”. Oppure come il tentativo reiterato del patron dell’Hull City, Assem Allam, di cambiare il nome del club in “Hull Tigers”, sempre per gli stessi sgangherati principi. Decisione fortunatamente rigettata questo 11 luglio dalla Football Association.

Ma a questo strapotere di presidenti sempre più legati alle strategie di mercato e sempre più distanti dai tifosi e dalla squadra che rappresentano, c’è chi dice no. Come alcuni tifosi che per ribellarsi allo strapotere di Malcom Glazer, fondarono lo United of Manchester. In un’intervista del 2013 al “Fatto Quotidiano”, Andy Walsh, general manager del “nuovo United”, spiega le ragioni di questa decisione: “Il nostro obiettivo era creare un club sostenibile a lungo termine, democraticamente gestito dai tifosi, che appartenesse per davvero a tutta la comunità di Manchester. E ci siamo riusciti. […] E’ stata l’ultima goccia di un processo cominciato anni fa, che ha trasformato una passione in un business. In cui non ci riconoscevamo più”. Ogni tifoso ha un ruolo determinante nelle decisioni di questo club: dalle elezioni dei dirigenti alla maglia, passando per la scelta del prezzo degli abbonamenti, lo staff e i giocatori. Una Comune Calcistica.

Descrivere la complessità del calcio d’Oltremanica con un semplicistico: “il modello inglese ha vinto”, significa non solo essere superficiali, ma ancor di più, non tener conto della realtà dei fatti.

Il calcio inglese ha subito un mutamento genetico: è passato dall’avere un seguito di tifosi, quelli veri, della classe media e operaia, che vivevano per il loro club e occupavano le gradinate nei decenni scorsi, a prescindere dai risultati; a una clientela fidelizzata, che vive il tutto come puro “entertainment”, che quando non reggerà più i costi pompati o semplicemente vedrà i grandi magnati andare via annoiati dal “giocattolo”, lascerà a sua volta le confortevoli poltroncine di questi nuovi stadi, per dirigersi verso un nuovo spettacolo.

Allora, magari, quell’esterofilia isterica dei media italiani che ha partorito questa mitizzazione di un modello che in fondo non esiste, esploderà come una grossa bolla di sapone: scontrandosi con una realtà che tornerà a galla con tutta la sua verità.

Gian Luca Sapere.