Non so, non sono uno che appunta meticolosamente dati e date. Men che meno mi aiuta la mia labile memoria. Non ho ricordo di quanto tempo sia passato dall’ultima volta in cui sono stato a Modena. O da quant’è che non vedo i cosentini all’opera. Proprio per questo, visto che questioni di cuore, come le definiva Patti Pravo, mi portano sotto la Ghirlandina, a rinverdire davanti a un (buon paio, in realtà…) bicchiere(i) di vino una vecchia amicizia, in mezzo alla quale si frappongono troppo tempo e chilometri, ne approfitto per fare anche un salto al “Braglia”.
Dopo aver pagato ulteriore dazio alla memoria e girato tutto l’impianto prima di trovare l’ingresso 9 riservato alla stampa, guadagno fortunatamente posto a ridosso del calcio d’inizio. Entrambe le tifoserie sono già più o meno schierate, anche se i propri effettivi continueranno a ingrossarsi successivamente con i classici ritardatari da bar. O da tornello, va’ a capire!
Non sono così bravo nemmeno con le stime numeriche, mi affido dunque ai dati ufficiali che parlano di 762 ospiti ma chiedo conferme ad amici in loco, perché ad occhio sembrano nettamente meno, seppur poi, a ondate, il gruppone andrà ricompattandosi e rinfoltendosi. Complessivamente ci sono 9.164 spettatori totali, molto buono soprattutto il colpo d’occhio della Curva “Montagnani”, ben piena nella sua parte centrale e con qualche vuoto solo alle due estremità.
Il primo impatto mi sorprende già in positivo, laddove mi aspettavo di trovare un clima ben più dimesso, da ambo le parti: il “Progetto Modena” di patron Rivetti, avviato dopo la vendita a peso d’oro della sua “Stone Island” alla “Moncler”, faceva sognare ben altre prospettive ai tifosi canarini che invece, allo stato attuale, devono accontentarsi di vivacchiare nel limbo di metà classifica, figlio di alcune scelte tecniche rivelatesi infruttuose. Ci può stare, il calcio è molto più difficile da programmare rispetto a una collezione primavera-estate di abbigliamento. Se da questa parte mi prefiguravo una certa delusione, i cosentini li immaginavo sprofondati nella più cupa disperazione: dopo aver cavato il sangue dalle rape negli anni passati, riuscendo a salvarsi con una serie di buoni prestiti, due play out e un ripescaggio, questa volta il presidente Guarascio sembra aver esaurito il suo credito con la fortuna. L’ulteriore addebito di quattro punti di penalizzazione, ha il sapore di una mezza condanna, in attesa che un campo fin qui inclemente emetta il verdetto mortale. Qua più che sul terreno delle metafore, si vira su quello delle previsioni, per un sodalizio che s’è sempre barcamenato sulla linea di galleggiamento, sia dal punto di vista sportivo che economico e per il quale una retrocessione in C potrebbe avere ricadute davvero pesanti, e sarebbe perciò da evitare con tutte le forze.
Non è però ancora tempo per le Cassandre, e quando rimpallo il mio sguardo da una parte e dall’altra, colgo in verità molto più ottimismo del gattaccio nero quale sembro con queste mie considerazioni. I primi cori cosentini sono proprio contro Guarascio. Coreograficamente niente di particolare o elaborato né su questo versante e nemmeno su quello di casa, mentre le due squadre scendono in campo. È però comunque molto gradevole il colpo d’occhio che entrambe le tifoserie offrono con il loro pugno di bandiere, bandieroni e due aste. La bilancia propende maggiormente verso i padroni di casa, che incentivano il colore con una piccola ma bella fumogenata gialla. Anche se i cosentini, nel loro più piccolo fazzoletto di gradoni, riescono a offrire un’altrettanto colorato riscontro con la miriade di pezze di gruppi e compagnie varie al seguito, comprese le tante che richiamano a fuorisede o paesi della provincia. Numeri e dimensioni evocano un’impostazione quasi “british”, anche se temi, fattura e stile hanno un’impronta molto meno inquadrata, più anarchica e creativa. D’altro canto, per quanto se ne celebrino altrove i natali e sia anche pericoloso o persino stucchevole entrare in queste diatribe storiche, Cosenza è stata una delle primissime piazze ad attingere all’immaginario d’Oltremanica.
La contesa è fin da subito viva in questa prima parte di gara, ma se proprio devo dire la verità, preferisco i rossoblù ospiti che cantano con molta più continuità. Anche se è ovvio che i modenesi, quando ricevono manforte dal resto del proprio settore, nei momenti topici della gara, riescano a sovrastare nettamente in potenza i propri dirimpettai. Non ci sono assolutamente cori contro fra le parti che anzi, in alcune loro componenti, intrattengono cordiali rapporti, come “Vecchie Brigate” e “Armata Bruzia” che prima della gara hanno scambiato targhe, brindisi e altri convenevoli.
Anche il rettangolo di gioco sembra in vena di sorprese e smentite alle previsioni iniziali, con un bel goal di Gabriele Artistico, “nipote d’arte”, se possiamo usare questo termine (molti ricorderanno suo zio Ciccio, attaccante fra le altre di Toro e Salernitana), che porta inaspettatamente in vantaggio i calabresi. La rete è benzina per le ugole dei tifosi cosentini, che oltre all’urlo liberatorio continuano a mantenere una invidiabile costanza. I gialli che nel frattempo avevano rincarato la dose di pirotecnica con un’altra densa voluta di fumo nero ed esposto uno striscione di vicinanza dei ragazzi di Vignola al dolore di Callo e Matte (anche qui accendendo un fumogeno), mi piacciono molto per la fermezza con cui affrontano tale evento avverso, risultando forse persino migliori di quanto lo erano stati fin qui.
Anche dalla parte dei cosentini si alza uno striscione pesante per chiedere “Verità per Ilaria”, vicenda tristissima che ha coinvolto Ilaria Mirabelli, trentottenne che frequentava la Nord cosentina morta in un incidente d’auto ad agosto. Per un beffardo scherzo del destino, proprio come accaduto per Denis Bergamini per cui i tifosi tanto hanno combattuto, ci sono davvero troppi punti oscuri in questa storia: pure il movimento femminista locale Fem.in in tal senso, continua a richiamare gli inquirenti ad un maggiore scrupolo sulle incongruenze fra riscontri oggettivi e verità processuale. L’attenzione politica nel senso più militante del termine è sempre stata una peculiarità di questa curva, ulteriormente sottolineata da una bandiera palestinese e da una poco nota bandiera della Seconda Repubblica spagnola, bandiera nazionale nel periodo repubblicano 1931-39, poi divenuta simbolo dell’opposizione al Franchismo e successivamente di vari movimenti sinistrorsi.
Finisce il primo tempo con il Cosenza che, tutto sommato, è riuscito a difendersi bene o, ribaltando il punto di vista, con il Modena che non è riuscito a minacciare mai seriamente la porta avversaria. La seconda frazione riprende al piccolo trotto per quel che concerne il tifo, Cosenza appare sottotono, Modena addirittura in silenzio e si dovrà aspettare fino al dodicesimo per sentire il primo coro convinto e potente che assume le fattezze del classico “Sempre con te sarò Modena facci un goal”. In questo scorcio di gara, nella curva di casa si vede un altro striscione, a firma di tutta la “Montagnani”, per far sentire al proprio fratello di curva “Conco” tutto l’affetto possibile nella settimana in cui è venuto a mancare suo padre.
Intorno al ventesimo, i cosentini si riassestano sui buoni livelli precedenti con un paio di cori potenti e partecipati, anche qui usando come stampella dei motivetti di consolidato successo: “Siamo l’armata rossoblù e mai nessun ci fermerà…” oppure “Che bello è quando vado allo stadio a vedere il Cosenza…”. Tutto questo mentre i modenesi procedono a strappi, molto più discontinui e meno convincenti che nel primo tempo, anche se c’è da dire che tanto gli spalti quanto il campo sono fortemente condizionati dal nervosismo: la squadra non riesce a imbastire una seria controffensiva per recuperare lo svantaggio con il Cosenza che, pur con qualche difficoltà, si difende bene, inevitabile dunque che l’umore dei tifosi non sia proprio alle stelle. Riescono a coalizzare le forze intorno alla mezz’ora con “Segna per noi, vogliamo vincere” che si fa piacere come coro, ma più in generale il tifo non è esaltante, anche se va precisato che il gruppo a cavallo della balconata centrale si sbatte sempre tantissimo e non ha colpe dirette, se non quella (indiretta appunto) di non ricevere degno supporto dal resto del settore. Se perdono in potenza, fanno registrare un buon acuto di colore con una sciarpata gialloblu (in mezzo alla quale si vede anche un po’ di arancioneroverde degli amici veneziani: difficile dire se fossero effettivamente presenti o meno).
Anche i cosentini hanno perso qualcosa in termini di forza anche se tengono viva la situazione con continui battimani, mentre all’ottantesimo circa, realizzano un coro in cui tutti i presenti si siedono sui gradoni per poi alzarsi all’unisono e saltare tutti insieme. Davvero ben riuscito come lo è la sciarpata che si alza cinque minuti più tardi: non si riesce a cogliere distintamente l’accompagnamento canoro, ma in proporzione le sciarpe sono davvero tante e il colpo d’occhio è sicuramente positivo. Peccato solo che scaramanticamente questo slancio coreografico risulti poco propizio, perché di lì a poco il Modena troverà il pareggio con Mendes. Non che i gialli abbiano brillato ma la sconfitta sarebbe stata davvero ingiusta per loro. Se proprio avessi dovuto cercare un cinico motivo affinché questa rete non arrivasse, lo identificherei nell’imbarazzante pantomima che si consuma attraverso gli altoparlanti per celebrare il marcatore. Solito ridicolo circo di ispirazione americana, ma talmente diffuso sui nostri campi da non fare nemmeno più notizia. Di gran lunga più bella, nella sua spontaneità, l’esultanza smodata della curva modenese che ha il sapore di un roboante sospiro di sollievo.
A proposito di omologazione figlia del calcio moderno, in questo periodo storico in cui anche il Serramazzoni o il Praiatortora ripartono dal basso come se avessero Ruben Dias o Marquinhos in difesa, non può che sorprendere vedere rilanciare lungo l’estremo cosentino Micai. Quando ci si deve salvare e pure una manciata di secondi può essere preziosa, c’è poco da andare per il sottile. E non sottilizzano nemmeno i modenesi, che smorzano l’attesa del rilancio dal fondo con un lungo “Ooooooooh” che poi erompe in un “Merda!” dedicato allo stesso portiere. Per un attimo sembra essere tornati davvero indietro nel tempo.
Eppure il tempo scorre e arriva anche il triplice fischio finale che forse accontenta più il Cosenza, anche se potrebbe pure non bastare alla fine del campionato. I tifosi ospiti però non lesinano speranze e incoraggiano ancora i propri ragazzi accorsi sotto il settore, spingendoli a sperare nell’impossibile finché non sarà la matematica a emettere condanne. Un po’ più basso il morale fra i padroni di casa ma la ciclicità del calcio ha sempre un nuovo domani in cui riporre i propri sogni. Chiudo anche io la mia sortita modenese e riguadagno la strada verso la mia macchina e poi verso casa. Nonostante tutto me ne vado via soddisfatto: anche se è stato un confronto tutt’altro che sfavillante ha però messo in mostra due realtà importanti e di tradizione. Sarei bugiardo se non dicessi che ho preferito i cosentini, ma se ripenso ai modenesi riesco a vedere in controluce la filigrana di una signora tifoseria che traspare proprio in questi momenti no, dove il potenziale numerico e qualitativo che cova sotto la cenere è innegabile. Anche se la squadra sta facendo schifo, anche se la curva ha dovuto registrare daccapo tutti i suoi equilibri e trovare una nuova quadratura del cerchio dopo lo scioglimento degli “Avia Pervia”. Nella lunghissima onda sinusoidale del tempo, archivio questo loro punto basso domandandomi curioso come evolveranno nel prossimo futuro gli eredi delle “Brigate Gialloblù”, dell’esuberante “Sezione”, degli originali “Hniti” e di tutti gli altri gruppi che hanno scritto pagine importanti della storia ultras non solo di Modena ma dell’intero movimento nazionale. Se nulla si crea e nulla si distrugge, resta da vedere come il tutto si trasformerà.
Matteo Falcone