Due mesi dopo la mia prima visita, decido di tornare in Marocco. Il derby di Casablanca è stato un antipasto lussuoso per scoprire gli ultras del regno sceriffiano. Mi son subito innamorato dello spettacolo proposto e della gente, ma una partita, soprattutto quella più importante della stagione, non può essere presa come unico e attendibile banco di prova per giudicare gli ultras marocchini. Per questo decido dunque di tornare e capire meglio cosa succede nelle curve locali. Sarà di nuovo il calendario di calcio la mia bussola. Per aiutarmi, devo essere sincero, c’è anche un amico marocchino che ha dovuto subire il mio stalking via Whatsapp. Fortuna mia vuole che la sua pazienza sia molto maggiore di quella del nostro benamato direttore. E cosi questa volta decido di andare alla scoperta della parte settentrionale del paese dove si giocano tre partite, tra le quali due a Tetouan. Il caro Ismael mi dice che gli ultras locali son una bella realtà e che vale la pena andarci, poi la città è carina secondo lui, per cui lo prendo in parola.

Prima tappa a Tangeri, dove arrivo nella notte. Il freddo è terribile e mi fa capire che il nord del Marocco, a fine marzo, non è molto diverso rispetto al Europa occidentale: ovviamente, la camera che ho prenotato non ha riscaldamento… Ma lo spettacolo che scopro la mattina mi ripaga lasciandomi a bocca aperta: dalla finestra del salone riesco a vedere l’Europa, una visione quasi irreale che mi fa rimanere lì per oltre mezz’ora in silenzio. Il nostro continente visto da sotto non è solo affascinante, ma pensando a queste maledette miglia di mare che hanno visto morire speranze e soprattutto essere umani alla ricerca di dignità, fa sinceramente riflettere ai privilegi che si hanno nel nascere al di qua o al di là di quella cortina di blu. 

La città di Tangeri mi piace molto, devo dire che sembra quasi svizzera, talmente appare pulita e ordinata. Dopo due giorni decido di spostarmi a Tetouan, altra grande città del nord del Marocco, in virtù dell’arrivo di un amico napoletano. Un taxi collettivo ci porta lì in neanche un’ora, ottimo affare visto che, come al solito, sono in ritardo. Il paesaggio che scorre è fantastico con delle colline verdissime che mi ricordano un po’ la zona al confine tra Romagna e Marche. L’autista non ha voglia di parlare e ci va bene cosi.

Da “grande” viaggiatore che non porta mai una guida turistica e altra roba simile, decido di scendere prima perché la stazione di pullman e taxi collettivi è lontana dal centro. La partita è fra un’ora e mezza, penso così di raggiungere prima il mio alloggio con un altro taxi privato che può portarmi a destinazioni differenti da quelle prestabilite dei taxi collettivi. Dopo più di venticinque minuti ancora non ce n’è uno che si possa prendere, così provo a fermarne uno in mezzo alla strada, visto che l’ansia pre-partita comincia a salire e che non ho ancora avuto risposta per l’accredito stampa. Forse sembrerò uno straccione perché anche in questo caso non c’è nessuno che mi voglia prendere a bordo. A questo punto capisco che non c’è altro da fare e vado a piedi. Per mia (s)fortuna, viaggio sempre con un borsone da “paesà”: sembro tornare da una visita al paesello e porto ogni volta come minimo 25 chili di cose, la maggiore parte delle quali ovviamente inutili. Ma la cosa più bella è la salita pazzesca e i tre chilometri che mi separano dalla mia meta

Appena comincio il mio cammino di fede e speranza, noto già il primo murales degli “Ultras Los Matadores” e già tanta gente con la sciarpa al collo o la maglia del MAT, il Mogreb Atletico Tetuan: almeno son sicuro di essere sulla giusta strada. Dopo dieci minuti e avendo perso almeno un litro di sudore, decido di chiedere a una macchina di passaggio qualsiasi di portarci in centro. Ci prende un ragazzo alla guida di un autocarro. Nel bel mezzo del traffico, il suo amico ci cede i due posti nella cabina anteriore e si butta nel vano posteriore con i nostri due bagagli. Non vediamo niente dei nostri borsoni e non sappiamo dove ci stiano portando. Tra due parole di spagnolo che mischio con il mio italiano ed un po’ di francese chiediamo di portarci verso il centro. Ci tocca avere fiducia perché è l’unica soluzione per arrivare allo stadio. Per il pallone queste situazione ci stanno, ma sopratutto per gli ultras questi rischi si possono prendere e dopo una decina di minuti, veniamo premiati ritrovandoci a poche centinaia di metri dal nostro alloggio.

Per fortuna il proprietario della camera ci aspettava e possiamo abbandonare tutto e partire subito con un altro taxi allo stadio, Ovviamente il nostro stomaco è vuoto e alla mia età, con le mie fissazioni per il cibo avrei già fatto una scenata isterica, in un’altra situazione, ma il richiamo dello stadio fa dimenticare ogni altro problema di ordine fisiologico.

Le schiene dell’ultima fila

Mancano venti minuti al fischio d’inizio quando arriviamo allo stadio “Saniat Rmel”. Devo ammettere che nutrivo forti dubbi prima di venire a Tetouan: la squadra locale è penultima e la partita si gioca di martedì alle ore 16. Se faccio duemilaquattrocento chilometri non è per vedere una partita con cinquanta ragazzi dietro uno striscione che contestano la loro squadra, ma secondo Ismael, mio amico marocchino, sottoposto ad una pressione intensa di messaggi stupidi in cui chiedevo dieci volte la stessa cosa, sarà ancora meglio con la squadra messa così male in classifica. Questa logica mi sfugge, conoscendo il contesto europeo, dove il tifo diventa penoso con la squadra quinta o sesta e con contestazioni dopo neanche cinque giornate di campionato per mancanza di risultati. Lo spettacolo allo stadio mi fa capire che Ismael aveva ampiamente ragione. Ci sono code di spettatori fuori con tantissima polizia. E da fuori si nota la curva è pienissima, vedendo centinaia di schiene dell’ultima fila di “curvaioli”.

Cerchiamo il nostro accredito ma nessuno sa dove sia. L’unica soluzione è agganciare l’addetto stampa. Per entrare mostro un vecchio accredito di Casablanca che ci serve da “laisser-passer” per due persone. Passiamo come portoghesi i controlli e siamo dietro la tribuna dello stadio. Dopo pochi minuti troviamo il nostro “messia” e lui, ovviamente, dice di non aver ricevuto la nostra richiesta formale. Ma qua l’elasticità mentale e l’opposto della nostra ingessatura burocratica e in pochissimi minuti si prende la responsabilità e ci butta in campo. Le pettorine si fanno trovare da sole, come per magia: abbiamo addirittura un’altra decina di minuti davanti a noi. Un lusso fenomenale se ripensiamo alla nostra pessima situazione di un’ora e mezzo prima.

Lo stadio è davvero piccolo, conterrà sì e no 15.000 posti, ma è pienissimo ad eccezione del settore ospite, dove trovano posto un centinaio di tifosi e di ultras venuti da El Jadida, che si trova a quattrocentosettanta chilometri: che bellezza… già così devo solo ringraziare Ismael, per il consiglio.

Dopo neanche qualche secondo, il tifo inizia già. Ci sono tre, quattro ragazzi di fronte alla curva stracolma, sono proprio sul campo e capisco essere i lanciacori. Non hanno l’ombra di un megafono o microfono, come si può ancora vedere in alcuni paesi dell’Est Europa: questi strumenti risultano superflui perché la curva conosce tutto il repertorio e subito riprende i canti.

Pirotecnica MAT ad inizio gara

Sono in estasi e spero che questo miracolo duri per tutta la partita. Mi permetto di presentarmi ad uno di loro, per spiegargli che “Sport People” è una rivista di livello internazionale, che neanche il “New York Times” ha le capacità per mandare due persone a Tetouan per questa partita. Ovviamente non menziono tutti questi dettagli, ma essendo gli unici due coglioni (o europei, scegliete voi il termine più giusto) allo stadio, per cui mi permetto questa confidenza per scattare le foto con calma senza destare sospetto. I ragazzi così ci danno subito il benvenuto, non rompendoci i maroni come altri ultras in alcuni paesi che hanno guardato troppo “Football Factory” o fiutato sostanze che fa venir loro la paranoia…

Non ci sono striscioni in curva perché in Marocco vige difatti una repressione fortissima. Le attività degli ultras sono state proibite per quasi due anni e solo da pochissimi giorni il governo, secondo alcune condizioni, ha autorizzato di nuovo il tifo organizzato. Ma sono tante voci e poche certezze e ovviamente bisogna sempre riflettere su questi “dietro front” ricordando che i vari governi hanno sempre interessi e sguardi più lunghi dei tifosi. Non a caso il 13 giugno 2018 si deciderà chi tra il Marocco o la triade Canada-Stati Uniti-Messico organizzerà la prossima Coppa del Mondo. Il Marocco, come avrete dedotto, è un paese affamato di pallone, nella stessa Tangeri non potevo dormire perché dei ragazzi stavano giocando a calcio su un campo sintetico di fronte alla mia camera… fino alle due di notte! E oggi, un giorno lavorativo, con una squadra penultima in classifica, lo stadio è quasi completamente esaurito. 

Ma il “problema” del Marocco è che il pubblico, al contrario degli ultras, è molto volatile: per le partitissime lo stadio si presenta esaurito, per altre ci sono solo i fedeli, cioè gli ultras. Poi, dall’aprile del 2016, quando hanno deciso di proibire le attività degli ultras, a seguito degli scontri che hanno causato due morti e 54 feriti a una partita del Raja, dopo una zuffa interna alla tifoseria verde, i locali si son organizzati in un fronte unico ed hanno deciso per cinque giornate di boicottare gli stadi. Il governo dunque, per dare una bella immagine degli spalti, ha deciso di autorizzarli di nuovo. Perché i semplici tifosi saranno forse più calmi, ma a livello di tifo e di colore sugli spalti è come fossero del tutto assneti. I gruppi non son caduti nella trappola e hanno deciso di mantenere in certo qual modo viva la protesta: solo stendardi, niente striscioni e zero scenografie d’impatto, ma solo tifo massiccio. 

Coristi dirigono il tifo da bordocampo

Oggi sia i “Siempre Palomas” che “Los Matadores” portano diverse pezze. I nomi dei due gruppi sono chiaramente di origini spagnole: non è solo la prossimità geografica (Tetouan è a poche decine di chilometri della Spagna) a spiegare quest’uso della lingua di Cervantes. Il Marocco fu doppiamente vittima della colonizzazione: il 27 novembre del 1912, francesi e spagnoli firmarono un accordo per accaparrarsi questa terra con la scusa di proteggerla. Qualche mese dopo, nel febbraio del 1913, gli spagnoli presero il controllo di Tetouan. Ma serviranno una decina d’anni agli spagnoli per poter controllare le cinque provincie del Nord del Marocco che si erano aggiudicati. Dal 1921 al 1926 ci fu un conflitto terribile, la guerra del Rif. La resistenza fu ad appannaggio dell’emiro Abd el-Krim che fino al 1924 andò di vittoria in vittoria, costretto poi ad un accordo dai militari francesi e spagnoli i quali, per riprendere il controllo della situazione, ricorsero all’ausilio di pesanti incursioni dell’aviazione o armi chimiche come i gas che furono uno dei mezzi preferenziali dei terribili crimini di guerra sul campo da parte delle nazioni europee cosiddette “civilizzate”. 

Bisogna aspettare il 1956 e l’indipendenza del Marocco per vedere il paese riconquistare la sua sovranità e gli spagnoli lasciare Tetouan. Le conseguenze del colonialismo si possono anche notare nel campo sportivo. Le due prime società di calcio locali nascono infatti per volontà di militari spagnoli nel 1922: lo Sporting de Tetouan e l’Hispano-Marroquì. L’anno dopo, le due società si fusero nell’Athletic Club Tetouan. Il logo prescelto ricalcava quello dell’Atletico Madrid perché tra i fondatori c’erano tifosi di questa squadra, così come i colori sociali e la divisa di gioco. Questa società, come le altre delle cinque province del Nord del Marocco, presero addirittura parte al campionato spagnolo di calcio. Ma l’Athletic Club Tetouan diviene il vero simbolo del calcio locale, arrivando a giocare nella “Segunda”, la serie B spagnola e nel 1951 ottiene addirittura la promozione nella Liga. Su questo stesso campo dove mi trovo oggi, son venuti sia il Real (3-3) che il Barça e il fratello maggiore dell’Atletico di Madrid, dove giocava il più grande giocatore marocchino del tempo, Larbi Ben Marbek, ma che dovette cedere all’Atletic di Tetuan che si impose per 4-2, vittoria prestigiosa visto che i madrileni vinsero poi il campionato. Queste gloriose imprese sportive non permisero però ai biancorossi di Tetuan di rimanere nella “Primera”, che invece retrocessero alla fine della stagione, anche se resta questo un piccolo grande miracolo sportivo: fu infatti la prima e l’unica volta in cui una squadra africana giocò nella massima serie di un campionato europeo.

Nel 1956, con l’indipendenza del Marocco, la società mutua il suo nome in uno più arabo, diventando il Moghreb Athletic Tetouan. Maghreb è un termine arabo per indicare il ponente e designa anche tre paesi arabi (Marocco, Algeria e Tunisia). Da lì iniziò un’altra era per questa società, soprattutto in serie B marocchina (per 34 stagioni) con solo 27 apparizioni in “Botola”, la massima espressione del calcio professionistico locale. Ma nel 2012, per la sua prima volta nel post-indipendenza il MAT vince uno scudetto. Un trionfo che si ripropose due anni dopo, con un altro campionato vinto all’ultima giornata. Ma i tempi gloriosi sembrano lontani e oggi l’Athlétic si ritrova a disputare una partita per non retrocedere. Anche per questo il popolo biancorosso si è mobilitato, proprio per spingere i propri beniamini a dare il tutto per tutto.

La curva dei locali è molto giovane. L’eta media è di vent’anni e l’entusiasmo è alle stelle. Ci sono una decina di pezze sulla recinzione con scritte in arabo, in inglese, in spagnolo ma anche in italiano. In quest’ultimo caso con uno slogan diventato famoso su tutto il pianeta ultras: “No al calcio moderno”. Ma quello degli ultras arabi sarà l’ennesimo copia/incolla, come alcuni sostengono? No, perché anche in Marocco il calcio sta cambiando e ovviamente la direzione non è quella che i tifosi auspicherebbero, bensì una via puramente commerciale. Le società di calcio marocchine, secondo una legge di modernizzazione, stanno trasformando il proprio status in vere e proprie S.p.a.

“Gloria a chi ha resistito (alla repressione)”

Gli stendardi con le scritte in arabo mi piacciono di più. Su uno di questo c’è scritto proprio “Siempre Palomas, l’orgoglio del Nord”. Spettacolari con la grafia originale. Non manca la bandiera palestinese, una causa indissolubile della cultura ultras del mondo arabo.  I “Siempre Palomas” son un po’ defilati alla mia destra, invece i “Los Matadores” hanno la loro pezza “ULM” (Ultras Los Matadores) al centro. Il simbolo che usano è quello del “Frente Atletico”, la “signora con la falce” che esce dal simbolo del MAT.  Dietro questo stendardo, c’è “Gate 3”, ovvio riferimento alla porta d’ingresso al loro settore, dove montano anche tre tamburi.

Tre quarti dei curvaioli hanno la maglia della loro squadra e offrono un effetto cromatico molto interessante. Ad un certo punto un personaggio arriva dalla metà campo e comincia a far cantare tutto lo stadio. Intuisco che è un ragazzo dei “Siempre Palomas”. Le squadre fanno ingresso sul prato verde. Nella curva vengono accese una decina di torce e fumogeni verdi, mentre sventolano alcune bandiere biancorosse. I “Los Matadores” issano uno striscione in arabo con scritto in bianco su sfondo nero: “Gloria ai resistenti”; messaggio che fa parte della dialettica ultras per auto-congratularsi di aver sorpassato i due anni di divieti anti-tifoserie organizzate. 

Il tifo è subito una bolgia. I lanciacori di fronte alla curva saranno sempre tre o quattro ragazzi dei due gruppi. Anche se nel passato ci sono state diatribe tra le due anime della tifoseria, oggi per il bene del MAT si cerca di coalizzarsi in una sola voce e la coordinazione del tifo risulta impeccabile. Ci saranno anche attimi di tensione, ma solo per la causa sportiva. La gente qua vive di calcio e non è solo una metafora, visto il tifo, ma lo dimostrano anche alcune piccolissime pause su alcune azioni che rapiscono l’attenzione di tutti. Dopo appena otto minuti il MAT segna: è un’esplosione di gioia e il tifo può proseguire con ancora più grinta. Scopro poi alcuni battimani mai visti in alcuno stadio, con le due braccia che fanno un movimento un po’ strano che non saprei descrivere, ma che danno un tocco di originalità al tifo, sulla base di una canzone molto araba nel ritmo. 

Verso la fine del primo tempo decido di andare a vedere anche gli ospiti, perché mi è impossibile sentirli. Hanno diversi striscioni, il principale indica “007” per l’anno di fondazione degli “Ultras Cap Soleil” (che sarebbe appunto il 2007).  Appaiono divisi in due gruppi, l’altro si raccoglie dietro la sigla “DK XII” per “Dos Kallas XII” e in casa ognuno occupa una curva diversa. Il loro tifo non è spettacolare, ma rimango solo due minuti sotto il loro settore, perché l’arbitro fischia la fine del primo tempo e non posso esprimere un giudizio completo su di loro, visto che per il restante tempo della partita mi porto nuovamente sotto il settore di casa.

Approfitto dell’intervallo per cercare qualcosa da mangiare, ma l’addetto stampa ci invita nella sede della società dove c’è un piccolo buffet molto gradevole. Sui muri tanti gagliardetti di società del mondo intero, ma soprattutto di squadre spagnole, risultato di diverse amichevoli estive. Spiccano anche tutti i trofei della società, tra cui i due scudetti o “Botola”, del 2012 e del 2014.

Panoramica ospite

È tempo di tornare in campo e subito la curva si riscalda con una specie di sciarpata. I canti riprendono alla grande, la motivazione sugli spalti è sempre alta e bisogna dire che il MAT gioca bene. La curva capisce benissimo il suo ruolo e i lanciacori non hanno bisogno di fare troppo, ma sanno dare la giusta motivazione e il ritmo per proseguire sulla via giusta. Devo dire che è come essere in un sogno, son di fronte alla curva e la sua energia la percepisco nettamente dentro di me. 

Al terzo fischio dell’arbitro, lo stadio esplode di gioia: vittoria importante, anche se il MAT è ancora penultimo in classifica, ma la gente riconosce, psicologicamente, l’importanza di questa partita. È la seconda vittoria di seguito e permetterà a fine stagione al MAT di salvarsi. I giocatori ringraziano i tifosi, ma non a distanza come succede da noi, per paura forse di mischiarsi alla “plebaglia”, bensì proprio arrampicandosi sulla recinzione che separa la curva del campo. Per alcuni minuti c’è una comunione di intenti e di emozioni bellissima, poi restano per un po’ tutti in pausa di fronte allo striscione in arabo con la scritta “Gloria ai resistenti”.

La nostra partita finisce qua, non ci resta che riconsegnare le nostre pettorine e ringraziare l’addetto stampa, ma arrivati alla sede del club ci fanno visitare la stanza del presidente e ci presentano l’allenatore. Poi, prima di partire, ci omaggiano entrambi con una maglia ufficiale della squadra. Alcuni cliché su l’ospitalità araba sembrano esagerati, ma devo dire che in termine di trattamento, credo sia la più bella accoglienza mai ricevuta. Quando torniamo in taxi verso il centro storico di Tetouan mi ritrovo a raccogliere dentro di me tutte queste emozioni. Alla fine 2400 chilometri sembrano quasi niente di fronte a ricordi come questi che per forza di cose custodirò sempre dentro di me come piccoli tesori. Chouckran chebab!

Sebastien Louis
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