La giornata è di quelle che invoglia alla scampagnata. Così per unire due mie vecchie e inossidabili passioni trovo un buon compromesso: treno fino a Viterbo con bicicletta al seguito, giretto sulle due ruote con percorso ad anello Viterbo-Montefiascone-Lago di Bolsena-Viterbo e partitella allo stadio Rocchi. Mi accontento di poco eppure quel poco mi basta a mantenere un lieve sentore di soddisfazione per almeno ventiquattro ore. Per quanto la voglia di tornare domenicalmente sui campi non mi sia passata (anzi, lentamente si sta insinuando di nuovo prepotente) faccio ancora fatica a riprendere la routine, più che altro da un punto di vista mentale.

Monterosi è un paesino situato a metà strada tra Roma e Viterbo che conta poco più di quattromila anime. Conosciuto più che altro per l’omonimo lago (il più piccolo tra quelli della Tuscia, formati in seguito all’eruzione del Vulcano Sabatino) è salito alla ribalta delle cronache nazionali per la relativamente veloce ascesa della sua squadra calcistica. Basterebbe pensare che il club è stato fondato nel 2004 come SS Monterosi, partendo dalla Seconda Categoria e mutando denominazione in ASD Nuova Monterosi nel 2015. Il recente cambio denominativo in Monterosi Tuscia Football Club rispecchia – secondo le parole del patron Capponi – la volontà di divenire il polo calcistico più importante della provincia di Viterbo. Obiettivo non celato è quello di raggiungere la massima divisione.

Con il rispetto per il lavoro e le idee di tutti voglio fare una mia personale considerazione: forse in nessun altro sport come nel calcio il senso di appartenenza e territorialità contano in maniera netta, quasi ancestrale. Soprattutto quando si parla di tifo. Non penso di bestemmiare dicendo che la Tuscia dal 1908 ha la sua massima rappresentazione calcistica nella Viterbese. Vero, non è mai andata oltre i playoff di C1, ha subito diversi fallimenti e passato momenti bui, ma era e resta il club che porta il nome del capoluogo di provincia e attorno cui – giocoforza – si rifà tutto l’aspetto tradizionalistico e identitario di questa elegante e paciosa zona del Lazio. Del resto abbiamo un lampante esempio in Serie A di quanto si possa lavorare bene a livello calcistico e provare ad esportare il proprio verbo presso altre città e altri stadi senza però avere il minimo successo in termini di proselitismo e passione. Ne abbiamo avuti altri, invece, nati addirittura con l’intento di unire colori e simpatie dei due club capitolini (Lupa Roma docet) e un po’ tutti sappiamo che fine abbiano fatto. Sia chiaro: non voglio “tirare i piedi” a nessuno (anche perché è palpabile quanto a Monterosi si stia facendo bene calcio in questo momento), ma alla lunga fa sempre un effetto strano ascoltare le parole di questi presidenti e conoscere la “mission” dei propri club per poi trovarsi di fronte a stadi vuoti e speaker che al gol si interfacciano con una folla immaginaria credendo di annunciare una rete di Immobile o Pellegrini all’Olimpico o – peggio ancora – lanciano cori non seguiti da nessuno. Mi si permetta di dire che sembra un po’ tutto plastificato, soprattutto al cospetto (come in questa occasione) di una squadra e una tifoseria che possono vantare una grande tradizione, maturata anno dopo anno sui campi regionali prima e nazionali poi.

Dopo un ottimo inizio la Paganese è reduce da due sconfitte consecutive e anche quest’oggi dimostrerà tutti i suoi limiti andando a perdere 1-0. Un risultato contenuto soltanto grazie ai numerosi errori sotto porta dei suoi avversari. Dalla Campania giungono circa centocinquanta supporter che entrano a partita iniziata schierandosi dietro lo striscione Resistere per continuare ad esistere. Per una delle trasferte più lontane del girone la presenza è quasi esclusivamente ultras. La Nord versione trasferta è sempre un bel vedere e per tutta la durata dell’incontro alternerà cori secchi a canti prolungati e belle manate. Gli azzurrostellati hanno un loro stile. Un vero e proprio marchio di fabbrica che dalla riunificazione di tutte le insegne del tifo in Curva Nord rappresenta probabilmente la sintesi di un grande lavoro fatto dietro le quinte. Il ritorno in trasferta li ha senz’altro aiutati a trovare l’amalgama e penso che gioverebbe moltissimo disputare almeno una volta un campionato di vertice, quanto meno per aggregare un maggior numero di tifosi e dare una bella iniezione di fiducia a una piazza che sì, da tanti anni ormai stazione in Serie C, ma arrivando sempre a fine campionato con il fiatone o dovendo in alcuni casi ricorrere al ripescaggio per evitare il declassamento.

Al termine della gara la la Paganese si porta sotto al settore per ricevere la contestazione dei propri tifosi. All’orizzonte ci sono due partite – con Potenza e Avellino – che si prospettano fondamentali quanto difficili. Come sempre sarà il campo a dare il proprio responso.

Simone Meloni