Non è mio costume ragionare per contrapposizioni, né tanto meno dare giudizi o avere pareri in base alla simpatia/antipatia per questa o quell’altra tifoseria. Piuttosto ritengo importante analizzare ciò che ci si trova di fronte. Soprattutto quando incontrovertibile. 

Succede che a Milano – sponda rossonera – si organizzi una festa per i cinquantanni del movimento ultras (ricorrenza su cui forse ci sarebbe da ragionare, considerando che il 1968 è l’anno di fondazione dell’unico gruppo che di questa celebrazione e delle sue sfaccettature ne avrebbe fatto probabilmente a meno). Una festa per cui esiste un biglietto in vendita sui circuiti ufficiali e in occasione della quale è stata anche creata l’app della Curva Sud Milano. Aspetti di fronte cui tanti hanno storto il naso ma che, in fondo, possono essere confinati nel buon gusto e nella concezione di curva di chi li ha scelti.

Succede però che a questa festa spunti, come nulla fosse, il Ministro degli Interni: Matteo Salvini. Una presenza che ha suscitato scalpore, sia nel mondo delle curve che in quello politico/istituzionale. Ecco, al netto della propaganda e delle speculazioni politiche che poco ci debbono interessare, la domanda che viene spontanea è: il detentore del Viminale, colui il quale direttamente o indirettamente è responsabile di leggi e balzelli che sovente tendono a limitare la libertà dei tifosi, nonché il primo firmatario di centinaia di Daspo ingiusti e anti-costituzionali, è normale partecipi a una kermesse teoricamente ultras?

Mi faccio questa domanda mentre stamattina apprendo dell’ennesima multa recapitata a un ragazzo della Curva Sud di Roma. Il reato? L’aver sostato troppo a lungo su un ballatoio del settore popolare giallorosso. Ancora una volta la Questura di Roma – che al Viminale fa logicamente capo – si dimostra integerrima e prepotente su aspetti risibili. Sfruttando i tifosi come cavie da laboratorio e appesantendoli dell’ennesimo provvedimento ai limiti del ridicolo. 

Un esempio, che potrebbe fungere da apripista ad altre centinaia. Episodi che hanno come protagonisti divieti per striscioni, bandieroni con volti “scomodi”, tamburi e megafoni. Atti spesso figli di rappresaglie o ripicche. Magari per un messaggio “poco gradito” propagato nel match precedente, magari per qualche problema di ordine pubblico passato a cui le Questure preferiscono rispondere con il proibizionismo anziché con il normale corso delle indagini e la punizione per chi se ne rende protagonista.


Il verbale recapito a un tifoso romanista

Eppure qualcuno pensa bene di abbattere pericolosamente un muro già alquanto instabile: quello di un movimento che ai fatti dovrebbe preservare un minimo di antagonismo. E che sicuramente può/deve intavolare un dialogo con il mondo esterno – anche fosse quello politico – per migliorare la propria condizione. Ma di certo non può strizzare l’occhiolino a chi non perde tempo per affondare il colpo e dar luogo a giri di vite sulla libertà personale e di movimento con la scusa della “follia ultras” o del tifo violento.

Peraltro appare alquanto curioso il fatto che proprio la Sud milanese abbia a più riprese provato a farsi portavoce di battaglie per i diritti dei tifosi. La cosa poi diventa tragicomica se si pensa a chi queste battaglie le porta avanti da anni e oggi deve ritrovarsi dei potenziali “commilitoni” a braccetto col “nemico”. Mi vengono in mente vittime mai riconosciute dell’ordine pubblico all’italiana come Paolo Scaroni, Celestino Colombi, Gabriele Sandri e Stefano Furlan. E poi ho di fronte quell’immagine del Matteone nazionale che scorrazza tra fumogeni e bandieroni. Tutto talmente surreale da sembrare finto. 

Ma peggio ancora, mi metto dall’altra parte della barricata: può un Ministro dell’Interno, che ogni giorno solfeggia sull’illegalità e sull’ordine pubblico, vestire gli ambigui panni di Dottor Jekyll e Mister Hyde giustificando il tutto con la discutibile espressione “Sono un indagato tra gli indagati”? Quali reazioni può suscitare proprio in seno alle forze dell’ordine? Se provassi a vestire i loro panni, di certo mi sentirei screditato e quasi schernito da quello che dovrebbe rappresentare la mia guida istituzionale del momento.

Quello stesso Ministro che già da tempi non sospetti si è espresso sempre e comunque in favore delle forze dell’ordine, anche quando le stesse si sono macchiate di palesi e riconosciuti errori. Quel Ministro che non ha esitato a offendere e infangare le vittime cadute o menomate dalla mano di chi dovrebbe fare l’interesse del cittadino. Quello stesso Ministro contro le cui idee – indirettamente – i milanisti stessi hanno realizzato una coreografia (ve lo ricordate il “Vergogna” per l’applauso dei sindacalisti del SAP agli aguzzini di Federico Aldrovandi?).

Non vesto certo i panni della educanda. Conosco bene le nostre piazze, così come so quanto di torbido ci possa essere anche tra i curvaioli dello Stivale. Ma generalmente ho sempre percepito un certo equilibrio tra il “bene e il male”. La presenza di chi a certi valori ci crede davvero è tangibile praticamente ovunque, anche oggi, in tempi di annacquamento culturale e cerebrale. Così non posso accettare e vedere di buon occhio baci e abbracci tra una delle curve più grandi e storiche d’Italia e chi – mettetevelo in testa – se domani potrà utilizzare i tifosi per racimolare 500 voti in più lo farà senza alcun problema.

Vedo che è bastato poco per dimenticare tutto quello che la politica italiana – e in particolar modo i vari Ministri dell’Interno –  ha fatto negli ultimi venti anni. Su tutto l’arco costituzionale, i più scaltri “geni” si sono avvicendati per distruggere le curve o manipolarne la repressione in luogo di un tornaconto personale. 

Credo e spero che chi continua a ricevere multe per aver lanciato un coro o aver appeso uno striscione non autorizzato comprenda il mio discorso. Così come sono cosciente di conferire sin troppa credibilità a un movimento che in alcune occasioni ha totalmente perso il lume della ragione. L’importante è che si decida da che parte stare. Giocare a “guardia e ladri” è un esercizio che giova davvero a pochi.

Simone Meloni