C’è una strofa di una famosa canzone di De Gregori che dice “eccomi qua, sono venuto a vedere lo strano effetto che fa” e mi torna in mente alla stazione di Piscinola, mentre attendo la metro immerso in un fiume azzurro di persone. Sono le 17 di un venerdì di fine maggio per niente ordinario: due squadre si contendono il titolo di campione d’Italia. Giocano a più di 800 km di distanza ma a separarle ci sono appena 90 minuti e un solo punto.
Sono lì, appunto, per vedere che effetto fa tutto questo.
È dal triplice fischio al termine della partita di Parma della domenica precedente, che sei milioni di tifosi vivono con uno strano stato d’animo, un misto di tensione e di speranza, e la città di Napoli, per ovvie ragioni, è l’epicentro di questi sbalzi di umore.
Contro il Cagliari si parrà la nobilitate e nessuno si è fatto trovare impreparato a quello che è diventato, a tutti gli effetti, un appuntamento con la storia.
Le bandiere esposte ai balconi sono relativamente (e giustamente) poche ma il colpo d’occhio è lo stesso impressionante: in ogni angolo della città metropolitana donne e uomini, giovani e meno giovani, hanno tutti qualcosa di azzurro addosso. Il centro storico è attraversato da centinaia di migliaia di persone, con i 25.000 metri quadrati di Piazza Plebiscito (dove vi è uno dei maxischermi predisposti) riempiti fino all’ultimo centimetro disponibile.
Man mano che ci si avvicina a Fuorigrotta, il fiume di passione diventa mare e il pullman che porta i giocatori del Napoli nel ventre del Maradona sembra davvero solcare le acque.
Il piazzale dietro la B comincia a riempirsi fin dalle prime ore del pomeriggio: cori, torce e bandiere, non poche di pregevole fattura. In settimana, d’altronde, i ragazzi delle curve avevano chiesto a tutti di portare con orgoglio i propri colori sociali.
Da quel che si vede, direi messaggio ampiamente recepito.
Molti sono giunti in zona stadio senza biglietto e resteranno lì fuori fino alla fine. La voglia di esserci, nonostante tutto.
Il Maradona si riempie fin dall’apertura dei cancelli. A pochi minuti dalla partita, il colpo d’occhio è impressionante. Ogni settore è strapieno e imbandierato. Come sempre, la B si presenta con tutti gli striscioni dei singoli gruppi mentre nella A compare quello unico. Su di esso, le pezze della Curva Nord Ancona e dei Lauta Army di Plovdiv.
Poco prima del fischio di inizio, quando l’impianto audio dello stadio diffonde le note di Napoli è della gente, al centro della Curva B compare un enorme telo raffigurante due ragazzini che si rincorrono per strada: quello con la maglia azzurra sta strappando via dal petto lo scudetto al ragazzino con la maglia a strisce nerazzurre. Sopra, lungo l’inferriata che delimita il terzo anello, uno striscione su cui si legge “abbiamo dipinto quest’annata, adesso manca solo la firma e l’opera d’arte è completata!” In balaustra un enorme “Avanti scugnizzi!”.
Chi ne sa più di me dice che è stata realizzata con l’intelligenza artificiale ma è davvero di grande impatto. Personalmente ho molto apprezzato l’uso del termine scugnizzi: parola che con ogni probabilità deriva dal verbo latino excuneare (“rompere con forza”, “spaccare”, “portare via”), ben si sposa con l’immagine scelta.
La Curva A, invece, espone un lungo messaggio su tre lunghi lenzuoli: “È la lotta di una città contro un’intera nazione, nessuna paura… nessun timore… conquistate per Napoli un altro tricolore!”.
Entrambe i settori caldi, quindi, ci credono e chiedono alla squadra di fare lo stesso. E la squadra, in effetti, ci mette fin da subito il giusto impegno. Non si disunisce alla notizia del gol dell’Inter a Como e verso la fine del primo tempo trova in acrobazia con McTominay la rete del vantaggio.
Non si disunisce nemmeno lo stadio che, come un sol uomo, segue la regola base del tifo: sostegno ai tuoi, fischi ai loro. La radio non porta buone notizie dal Sinigaglia (viva le gare in contemporanea!) e questo causa una fisiologica flessione ma il sostegno, specie dalla parte centrale delle due curve, non viene mai meno. Al gol del giocatore scozzese, il Maradona diventa una bolgia. Vengono accese torce in ogni settore ma diverse decine vengono accese anche intorno allo stadio e l’effetto è davvero notevole.
Stesso spettacolo al raddoppio di Lukaku, una rete che dà a tutti l’idea che ormai sia fatta.
Le curve continuano incessanti, con bei battimani che coinvolgono tutti. Nella parte finale della gara, i cori vengono seguiti anche dai Distinti e dalla Tribuna Nisida.
A pochi secondi dal triplice fischio, al centro della A compare un enorme 4 accompagnato da una fumogenata verde-bianco-rossa che sa molto di tempi andati, o mi piace pensarlo, mentre vedo tante persone prendere lo smartphone per immortalare quei momenti.
A partita finita, comincia la lunga notte di Napoli. Per strada, tra i tifosi festanti, incrocio diversi gruppi di ragazzi chiaramente non italiani ma con l’aspetto da stadio. Anche loro sono venuti a vedere l’effetto che fa vincere uno scudetto all’ultima giornata in una città che mal sopporta le mezze misure.
Giuseppe Di Monaco


















































































































































































