Nova Gorica, fondata nel 1948 e posta a ridosso del confine tra Italia e Slovenia, è stata la risposta Jugoslava a Gorizia, comune che dopo il secondo conflitto mondiale rimase entro i confini Italici. L’obiettivo era ridare un baricentro amministrativo, politico ed economico al di là del confine. L’area urbana si sviluppò tra gli anni cinquanta e sessanta, con la costruzione di quartieri di edilizia popolare che hanno seguito, per ovvie ragioni, le logiche architettoniche sovietiche. Fino al 1947 il territorio di Nova Gorica era inglobato nell’area goriziana, non sorprende quindi che il comune sia povero di edifici storici, con tutto ciò che ciò comporta soprattutto sul piano turistico.

Arrivati nel comune sloveno si respira immediatamente l’aria di un paese straniero, il passaggio dall’Italia alla Slovenia è immediato, senza sfumature o gradazioni: le vie, i bar e le insegne ti catapultano in una realtà culturale diversa, che ti rimanda ad un contesto geopolitico ancora diviso per blocchi. Quartieri con casermoni che ti regalano l’impressione di trovarti in un luogo freddo e anonimo.

Il calcio è sempre stato la valvola di sfogo e in questa logica si muove quindi il Nogometno Drustvo Gorica 1947 (abbreviato in ND Gorica) fondato quasi in parallelo alla città: bisognava costruire una nuova realtà urbana, che non avesse nulla in meno di Gorizia, squadra di calcio compresa. Nel 1964 venne quindi edificato l’attuale impianto sportivo Sportni Park, con una capienza di 3.006 spettatori, struttura a poche centinaia di metri dal confine che separa la Slovenia dall’Italia.

Sfogliando l’almanacco scopro che i padroni di casa vantano il record di partecipazioni nella massima categoria Slovena, campionato nato nel 1991, vincendo per 4 volte il titolo nazionale, oltre alla conquista di 3 coppe di Slovenia.  Sulla panchina del ND Gorica si è accomodato anche una vecchia gloria del calcio Italiano, Gigi Apolloni, difensore del primissimo Parma di Nevio Scala.

Il mio viaggio, per forza di cose, mi ha portato a confrontare il “modus vivendi calcistico” sloveno con quello Italiano, con tutte le eccezioni del caso e soprattutto senza avere la pretesa di svelarne la totalità delle sfumature con una sola partita o di scattare una fotografia nitida di ciò che il calcio rappresenta per la gente del posto.

Al mio arrivo colgo una certa apatia che in Italia è difficile trovare, persino per una partita di calcetto tra scapoli e ammogliati. Non ci sono file ai botteghini, tantomeno aree “presidiate” dagli ultras di casa, gli spettatori sono poco meno di 300. Indossata la casacca percorro la pista atletica per cogliere i dettagli dell’impianto sportivo sloveno e ho come l’impressione di vivere un calcio fermo agli anni novanta, dove persino l’arbitro con la sua divisa “vintage” è ancora “l’uomo nero”. Gli spettatori non indossano capi firmati, da queste parti forse non c’è la stessa cura maniacale per l’abbigliamento che invece noi italiani abbiamo: non mi sarei aspettato di trovare casual, ma anche il “dress code” sembra quello disimpegnato dei nostri anni ’90.

Le squadre fanno il loro ingresso e rilevo, almeno fino a quel momento, l’assenza di gruppi ultras, che per fortuna, in prossimità del fischio d’inizio, fanno il loro ingresso posizionandosi nella gradinata scoperta. Si raccolgono dietro lo striscione “Ultras GO” che viene attaccato anche grazie all’aiuto degli steward. Tifo poco costante, cori ripresi dalle curve italiane, ritmati dal rullio di un tamburo, ma soprattutto poco colore: assenza totale di bandiere, bandieroni, due aste o fumogeni. La partita non è avvincente e pur trattandosi di un match della massima categoria slovena, non si segnalano giocate particolari. La squadra ospite sfrutta bene gli spazi e porta a casa l’intera posta in palio, ma vista l’assenza dei propri tifosi dovrà festeggiare la vittoria da sola.

Il Gorica non è di certo la massima espressione calcistica Slovena, tantomeno dell’intera area Balcanica, ma è innegabile che dalle nostre parti il calcio è vissuto con passione in tutte le categorie, e trovarmi di fronte uno stadio semivuoto, ma soprattutto freddo mi ha convinto ancor di più – scusate la scarsa modestia – che l’Italia, almeno per quanto riguarda il tifo, non abbia nulla da imparare.

Michele D’Urso