Non è rimasto più niente di questa Europa League che alla vigilia era così carica di aspettative e pathos. O quantomeno non è rimasto niente per il tifosotto medio, quello tanto rapido a salire sul carro dei vincitori quanto a scenderne appena incappa nelle prime buche. D’altronde è esattamente il tipo di effetto collaterale che è lecito attendersi da quando hanno trasformato il calcio in prodotto e i tifosi in consumatori, o clienti che dir si voglia. E il cliente, quando non è soddisfatto, ne ha ben donde di eliminare questa merce avariata dal proprio carrello e rivolgere altrove l’appagamento dei propri desideri.
Il disarmante 0-4 dell’andata ha sgombrato il campo, ne ha fatto terra arsa, desolata di gente e di speranze. Gli unici a rimanere, paradossalmente, gli ultras. Proprio l’erba cattiva da estirpare, l’erba cattiva così ostinata all’idea di lasciarsi morire. Con un po’ di sano cerchiobottismo si sarebbe potuto sul serio imitare i modelli esotici a cui piace tanto aspirare, conservare quelle gradinate degli anni ‘80 e ‘90 grondanti gente e passione, da cui le tifoserie tedesche hanno attinto a piene mani. Invece adesso ci ritroviamo a guardare i “muri gialli” del pianto, pensando ad un passato ormai remoto. Chiedere lungimiranza a dei ciechi è impossibile. Oppure “Sciûsciâ e sciorbî no se pêu”, come direbbero a Genova.
Torniamo dunque alla mera attualità: la Genova blucerchiata, nonostante tutto il male di questi tempi narrati, nonostante la squadra di Zenga c’abbia messo del suo per trasformare il male in peggio, rispondono con una prova d’orgoglio veramente commovente. Numerosi, rumorosi, colorati al di là di ogni considerazione razionale su presente amaro o qualificazioni compromesse.
Nella Novi Sad che fu di Vujadin Boskov, non ci si poteva esimere dal dedicare pensieri al compianto mister dello storico scudetto blucerchiato. E proprio Boskov diventa il comune denominatore tra il blucerchiato e il biancorosso: tante le immagini, le bandiere, gli striscioni recanti il volto del tecnico dall’ironia tagliente, spesso proprio con i colori delle due compagini mescolati ed uniti in questo ricordo. La tifoseria di casa, addirittura, rende omaggio al suo figlio e calciatore più illustre con una bellissima coreografia. Tanti per loro anche i cori, bello anche il colpo d’occhio come raramente i campi minori di queste zone sanno offrire, cannibalizzati come sono dalle grandi sorelle del calcio locale.
In campo il goal di Eder, dopo nemmeno 15 minuti, monta gli entusiasmi più insperati, ma alla fine lo scoglio si rivela insormontabile per quel che realmente è. Raddoppia Muriel, ma l’abbondante margine di sicurezza permette al Vojvodina di approdare con tranquillità al turno successivo di questa Europa League. Un’Europa League di cui la Sampdoria non è stata all’altezza, a differenza della sua tifoseria, uscitane splendidamente e con l’orgoglio intatto.
Testo di Matteo Falcone.
Foto di Alberto Cornalba.