Quando si è ragazzi ci sembra tutto più roseo. Persino il più algido dei sogni appare raggiungibile. Senza entrare dalla porta di servizio, ma percorrendo spavaldamente la strada principale. Quelli degli sportivi, poi, da sempre icone della nostra società, devono per forza di cose viaggiare su un’autostrada apposita. Colma di fiori ai lati e baciata sempre e comunque dalla luce del sole. Sono ragazzi, loro, con fortune e doti spesso fuori dal normale per noi comuni mortali. Ragazzi come quelli che lunedì, a Ferentino, si sono letteralmente tuffati sui tifosi della Virtus Roma presenti a Ponte Grande. Simili ma così diversi dai loro colleghi del calcio a cinque stelle o da qualche starletta dell’A1, non in grado neanche di ricevere la minima critica. Si sono abbracciati uno ad uno, come avviene spesso dopo il 40′. Nonostante tutto. Nonostante due anni di numerose umiliazioni. Mesi avari di gioie e interlocutori per tutto il basket capitolino.

Ma ieri, proprio mentre avevo iniziato a scrivere questo pezzo, un altro ragazzo si affacciava a noi con la palla a spicchi in mano e il sorriso dipinto sul volto. Perché era il suo compleanno. E non uso il condizionale appositamente. Dato che Davide Ancilotto, scusate il passaggio retorico, è sempre tra noi. È inevitabile. Lui è presente nei cori delle curve che gli sono stati dedicate (a Roma e a Caserta), negli striscioni e in un ricordo sempre vivo nonostante siano passati ben diciannove anni da quel maledetto pomeriggio di Gubbio che lo ha sottratto per sempre a questo mondo, ai suoi cari, ai tifosi e alla pallacanestro tutta. Ieri Davide avrebbe compiuto quarantatré anni. Lui, mestrino purosangue, che proprio nel club locale aveva mosso i primi passi, transitando poi a Caserta e Pistoia, per approdare a Roma. La Virtus il suo trampolino di lancio. Un trampolino che lo aveva fatto conoscere al grande pubblico, consolidando la presenza in Nazionale conquistata con la casacca dell’Olimpia Pistoia. Un trampolino dal quale ha spiccato il volo per sempre, lasciando l’amaro in bocca a tifosi e compagni e un ricordo indelebile nell’intera comunità cestistica..

Doveroso iniziare così questo resoconto. Giusto omaggiare chi ha legato intere generazioni di tifosi virtussini. Uno dei miei primi ricordi legato al basket capitolino. Triste. Amaro. Ma è bello credere che proprio Ancilotto lunedì sera abbia guidato al successo una Virtus ridimensionata, costretta all’inferno dell’A2 e a vetrine spesso tragicomiche, ma pur sempre “nobile”, seppure decaduta.

Ferentino vale la prima del nuovo anno. Una data insolita quella del 2 gennaio, scelta per ovviare allo slittamento del match in metà dicembre causato dall’assenza di molti nazionali su ambo i fronti. La Virtus è reduce dalla bella vittoria casalinga contro Siena mentre i ciociari, costruiti per un campionato di vertice, ristagnano nel centro della classifica e già nella fase di riscaldamento si intuisce che questa, per il pubblico amaranto, sarà l’ultima chance prima di una contestazione che aleggia palesemente nell’aria.

Dopo lunghe settimane di sole e siccità la pioggia sembra essersi ricordata anche del Lazio e dal tardo pomeriggio comincia a scendere inesorabile. “Annusata” l’aria che si respira attorno al palazzetto, con un discreto viavai e gli ultras di casa impegnati nel più classico degli aperitivi pre partita, ritiro il mio accredito entrando per evitare di inzupparmi letteralmente.

Il palazzetto presenta un pubblico tutto sommato discreto. Del resto tramontato un progetto calcistico che a Ferentino qualche anno fa aveva messo ottime basi, la pallacanestro si è affermata come vero e proprio sport cittadino, anche grazie agli ingenti investimenti di Vittorio Ficchi, magnate nell’area ciociara. Va ricordato come in estate si sia paventata l’opportunità di uno spostamento a Frosinone (dove negli ultimi anni aveva giocato Veroli). Opzione poi non andata in porto. Fortunatamente, aggiungo essendo fermamente convinto che ogni club debba giocare nella propria città e nel proprio palazzetto per mantenere forte il contatto con le proprie radici. Inoltre non so quanto un eventuale trasloco nel capoluogo potesse portare giovamento al club gigliato. Se i due centri sono infatti divisi da una decina di chilometri, il palasport frusinate è abbastanza grande e, di conseguenza, dispersivo. Ergo: soluzioni come quelle adottate con la Sutor Montegranaro, che per anni ha giocato l’A1 tra Ancona e Porto San Giorgio riempiendo di rado le gradinate, sono davvero una trovata intelligente o rischiano di essere un vero e proprio boomerang?

Considerata la giornata semi festiva e l’orario serale da Roma giunge un buon numero di tifosi, con le Brigate che posizionano il proprio striscione alcuni secondi prima della palla a due. Come detto già in occasione del match contro Rieti, le trasferte nel Lazio offrono la minima opportunità di rinfoltire il contingente capitolino. Magari i numeri non saranno mai eccelsi (ma questo è un qualcosa di endemico per i baskettari romani) ma la costanza di chi si è ritrovato a giocare in palestre e prefabbricati, senza aver quasi mai ambiente e tifo organizzato al cospetto e senza esser retrocesso sul campo è una nota di merito forse più grande del fattore quantitativo. Anche stasera l’apporto è di buon livello, seppur subisca un leggero calo fisiologico nell’ultimo quarto, forse a causa della vittoria acquisita e di una rilassatezza che man mano si impossessa dei presenti. Tuttavia molto belle le solite manate e i cori accompagnati dallo sventolio del bandierone, che per l’occasione ha fatto il proprio esordio lontano dal PalaTiziano.

Su fronte casalingo, come già notato in alcune gare dello scorso anno, il gruppo c’è e dal punto di vista del tifo è di ottima fattura. Rispetto al recente passato noto la presenza del tamburo nelle fila ferentinati. Cosa che rinvigorisce ancor più il sostegno canoro aiutando l’intensità del tifo. Tanti battimani, cori a rispondere e un paio di belle sciarpate effettuate dalla Curva Nord, che per l’occasione ospita anche gli amici di Ceprano (abitualmente seguono il calcio). L’ultimo quarto è totalmente dedicato alla contestazione della squadra, con il general manager Bartocci che viene preso di mira numerose volte.

Il finale è la vera e propria cartina al tornasole del match. Con i giocatori di Ferentino impegnati a parlamentare con i propri tifosi e quelli della Virtus euforici sotto al settore ospiti. L’indomani non ci saranno processi sui giornali né per l’uno né per l’altro comportamento, pensate un po’.

Di fuori la pioggia sta ancora battendo forte. Prima di andarmene opto per un giretto sul parquet. Potendo circolare liberamente e senza che qualche steward mi inviti ad uscire. Così come me fanno alcuni bambini, impegnati a centrare il canestro con il pallone appena usato dai propri beniamini. Quando si parla di famiglie in stadi e palazzetti si dovrebbe prendere spunto da questo genere di cose. Ma sarebbe forse un qualcosa di troppo intelligente e ponderato.

Simone Meloni