Quanto è distante il fondo di un barile? Sicuramente tanto. Almeno per la Virtus Roma e i suoi tifosi che, arrivati alla quinta giornata di questo campionato, ancora non lo hanno toccato. L’avversario, le sue origini e le sue tradizioni vanno sempre rispettate, è chiaro. Ma è altrettanto ovvio che per un tifoso abituato a vedere la propria squadra regolarmente, o quasi, ai playoff di A1, con qualche finale scudetto disputata e una metropoli alle spalle, diventa umiliante e difficile da comprendere ciò che si vede attualmente sul parquet del PalaTiziano e non solo.

La Virtus torna a giocare sul terreno amico dopo la sconfitta di Rieti. Ormai anche i maggiori giornali sportivi si rifiutano di dedicare più di un trafiletto alla squadra capitolina, liquidando generalmente il commento del match con qualche riga e un titolo scialbo ed asettico. Logica conseguenza che anche il pubblico abituato a bazzicare abitualmente Viale Tiziano sia tutt’altro che soddisfatto e voglioso di gremire le gradinate. Ciononostante il colpo d’occhio odierno è, per la categoria e il trend della squadra, al limite della decenza, con le Brigate che si presentano nel loro solito spicchio di curva in numero più che buono.

E’ l’unica buona nota di quest’annata finora infausta: la Curva Ancilotto, che non si è fatta scoraggiare dal susseguirsi degli eventi ma, anzi, sembra addirittura aver preso linfa dal crescere delle difficoltà e delle batoste sportive. Dall’oblio che rischia di cadere su 55 anni di storia che la città di Roma non è in grado di preservare. Come il Flaminio. Come i suoi luoghi sacri. Come le due curve dello stadio Olimpico. Un così grande e millenario epicentro storico dovrebbe avere la memoria come pilastro portante delle sue caratterisiche, e invece qua si dimentica tutto e subito. Spesso di proposito. Per vivere meglio e senza responsabilità. In barba a chiunque, pur solo per passione, con tutto ciò è nato e cresciuto.

E’ un po’ tutto ciò la Virtus Roma di quest’anno. Almeno finora. Richiamato il condottiero Caja si spera di raddrizzare la baracca, ma c’è tanta strada da fare. Lo capiscono i ragazzi della curva, che a parte qualche urlaccio più di frustrazione che altro, ancora spronano e applaudono i giocatori. Nonostante tutto. Nonostante la cinquina stampata sulla loro faccia che attualmente vuol dire zero punti in classifica e ultima posizione in compagnia di un’altra nobile decaduta, Biella.

Non bastano i supplementari ai romani per mettere in cascina i primi due punti. Alla fine è Casalpusterlengo a portarsi il bottino pieno a casa, realizzando un’impresa certamente storica, che resterà negli annali del paesino incastonato nel bel mezzo della Pianura Padana, tra Lodi e Milano. Resta il grande interrogativo sulla scelta di autoretrocedersi in cadetteria. Un’opzione che rischia di essere un pericoloso boomerang se non si riuscirà a risalire la china. E sarebbe una botta dolorosa per un movimento cestistico che nelle ultime annate ha visto scomparire sodalizi storici e affermati. Il futuro, prossimo, saprà darci ulteriori risposte.

Simone Meloni