E’ mio buon costume non parlare mai di quello che non vedo. Perché ritengo di un’inaudita “maleducazione” scrivere su cose che non si ha il potere di appurare. Anche se si conosce l’ambiente, anche se ci si è passato buona parte della propria vita. Anche se a distanza di chilometri tu sai, incosciamente, cosa sta accadendo. Perché è un po’ come quando ti allontani da casa, e magari non vivi più le situazioni di routine familiare ma sai comunque come alcune dinamiche si svolgano e si dipanino quotidianamente. Siamo esseri umani fatti di carne, ma anche sentimenti. E quei sentimenti, quando sono legati profondamente e indissolubilmente a qualcosa/qualcuno, ti sanno anticipare e suggerire anche ciò che non vedi. Ma per correttezza, agli occhi del lettore, non posso raccontare qualcosa in base alle mie sensazioni. Scadrei nel ridicolo e mi sentirei disonesto. Io all’Olimpico, martedi sera, non c’ero.

Non posso blaterare su questa “nouvelle vague” del tifo romanista. Ma posso contraddire chi, nelle vesti di giornale prestigioso e a tiratura nazionale, ha definito la Curva Sud “grande”. Lo posso fare anche guardando soltanto una foto. Quella in cui quel settore un tempo colmo di bandiere e colori, propone migliaia di luci degli smartphone, con persone sedute durante la partita. Mi basta questo per capire che ambiente c’è stato. No, la Curva Sud non è stata “grande” martedi sera. L’Olimpico non lo è stato. Non è stato semplicemente romanista. E sono indeciso se ho provato più dispiacere a rimanere fuori da questo spettacolo mondano o se avessi sofferto di più a veder oltraggiato quel tempio che fino a qualche anno fa mi faceva battere forte il cuore.

No. Non dite che la Curva Sud è stata “grande”. La Curva Sud è stata grande in un Roma-Brescia di tanti anni fa, la stagione dei cinque allenatori, quando la squadra rischiò seriamente di finire in Serie B. E il suo pubblico non la lasciò, anzi, in una delle gare più importanti per la salvezza, l’accolse con una coreografia e con un tifo incessante. E poi, nonostante lo scialbo 0-0, tutti a Bergamo qualche settimana dopo e grossa esultanza al gol di Cassano, che ricacciava definitivamente indietro lo spauracchio cadetteria. Perché allo stadio c’erano i romanisti. Non i turisti o i “calciofili” impegnati a contare i battiti cardiaci di CR7 e a sospirare di fronte alla figura mitologica di Zinedine Zidane. La Sud è stata grande una sera a Trieste, quasi 15 anni fa, quando nessuna televisione trasmise una partita di Coppa Italia. Perché a nessuno interessava. E i ragazzi con striscioni, torce e bandieroni erano là. A sostenere i giocatori con la maglia giallo ocra e rosso pompeiano. No, non dite che la Sud con il Real Madrid è stata grande, perché chi è grande non dura 90′. Chi è grande lo è per sempre, soprattutto quando le luci della ribalta scompaiono.

La propaganda deve andare avanti. Non deve farci sapere della stalla per maiali tramutata in luogo di affluenza per tifosi. I Prefetti, i Questori e i loro accoliti devono ben guardarsi dall’assunzione delle minime responsabilità. Ragazzini, anziani, donne e ragazzi possono anche morire stritolati nel vortice di negligenza e incompetenza materializzatosi nelle infinite file agli accessi dell’Olimpico. Tanto vinceranno sempre loro. Troppo forti. Anche se ci scapperà il morto (e prima o poi ci scapperà), sapranno come sbrogliare la matassa e puntare il dito contro terzi. La colpa è sempre di qualcun’altro. E se non ci sono gli ultas cattivi, il modo per incolparli si trova comunque.

Di pari passo c’è un calcio continenatale che sempre più deve proporsi in una certa maniera. Imbrillantinato, pudico e profumato. Magari permissivo verso le federazioni che foraggiano agenti di pubblica sicurezza intenti a spruzzare spray al peperoncino su tifosi festanti (un po’ come si fa sul malvivente qualsiasi), ma sempre impegnato in prima linea nel sanzionare chi segue la gara in piedi, accende fumogeni o espone striscioni. Il futuro è questo, inutile farsi illusioni. Ci faranno il lavaggio del cervello, ci racconteranno che il clima dell’Olimpico è stato “delizioso”. Poi poco male se quel clima è figlio della più bieca e vigliacca repressione messa in atto in campo calcistico negli ultimi vent’anni. Chissenefrega davvero. Se nessuno se ne prende le responsabilità ma, anzi, con fare arrogante ne rivendica anche la paternità.

Mi tengo i miei Roma-Real Madrid. Quelli con le fumogenate, le torce, gli striscioni e il tifo coordinato dai megafoni. Pure se qualcuno ormai ha deciso che tutto ciò è fuori legge. Anche se lo hanno definito “pericoloso”. L’unico pericolo che corriamo è quello di perdere definitivamente quella cultura di appartenenza calcistica che per anni ha permesso a tutti di sopravvivere con questo sport. E allora, da un certo punto di vista, non mi resta che augurarmelo. Che finisca tutto e che questo sporco indotto, in cui i tifosi primi promotori sono stati relegati a putrida ruota di scorta, chiuda i battenti il prima possibile. Ci eviteremo sfilate di cialtroni che mentono sapendo di mentire e frullati di saccenza serviti da chi non sa neanche coniugare un semplice congiuntivo. Siate buoni, fateci il favore. Risparmiateci tutto questo scempio.

Testo Simone Meloni

Foto www.asromaultras.org