Potrei star qua a fare l’ennesima sfuriata sull’Olimpico, sulla repressione, sulle barriere e su tutto l’abominio che da oltre un anno ormai invade, stupra e umilia quella che un tempo fu la casa di tutti. Ma risulta difficile anche ripetersi a volte. Si tratta di un’opera complicata perché richiede arte nel saper trovare parole e spunti ogni volta diversi. Sapersi districare tra il nulla cosmico che uno scenario del genere ti offre e la voglia però di non far morire quella fiammella di ragione che a tanti fa ancora rodere il fegato e avere un sussulto nell’apprendere determinati provvedimenti nei confronti dei tifosi.

Peraltro, mentre scrivo, siedo in un pullman direzione Plzen, Repubblica Ceca, dove tra qualche ora la Roma scenderà nuovamente in campo. Europa League, lontano da quel lager e dalla Curva Sud ormai ridotta a piccionaia teatrale. Una Curva Sud che paradossalmente stasera sarà più vicina. Con la voce, con il cuore e con la presenza. Notizie strabilianti di questo periodo. Si rischia, dicevamo, di essere ridondanti. Di essere lentamente in mezzo a un processo sibillino che trasforma in vecchio lamentoso e brontolone per ogni cosa, ma mi chiedo: è sbagliato protestare sempre quando una cosa palesemente non va, oppure bisogna tacere e accettare senza batter ciglio l’incedere degli eventi? Si deve tollerare la pretesa di steward e intelligence capitolina, di far togliere uno striscione innocuo e sarcastico in Curva Nord? “Multras” hanno scritto i ragazzi. Con le foto di Alberto Sorti ne “Il Vigile” e di un impeccabile Gigi Proietti in “Febbre da Cavallo”, anche lui travestito da “pizzardone” col fine di riscuotere una multa per un’infrazione mai compiuta a un povero cristo dalle forestiere origini. Sicché l’ironia dev’essere debellata. E francamente ci stanno anche riuscendo.

Mi chiedevo tutto ciò domenica scorsa quando, durante il soporifero match tra giallorossi e blucerchiati, con quei pochi intimi che ancora hanno voglia e pazienza di interagire con le follie di chi gestisce l’ordine pubblico al Foro Italico, il direttore di gare ha mandato, a metà primo tempo, le due squadre verso le panchine. Ho impiegato qualche istante per realizzare cosa stesse succedendo. C’è stato bisogno di vedere i calciatori con le borracce in mano, intenti ad abbeverarsi come canarini nelle focose giornata agostane. Sì che faceva caldo, ma non caldissimo. Sì che c’era afa, ma poi non tanta. Sì che siamo in Italia, paese notoriamente mediterraneo e quindi non dal clima scandinavo. Sì, che il caldo a settembre c’è sempre stato. Sì, che parliamo di sportivi allenati, grandi e vaccinati. Sì, il time out nel calcio mi mancava proprio. E per me, in quella cornice grigia e asettica, è stato l’ennesimo segnale di quanto questo sport sia ormai più adatto a fragili donzelle, attente a non ferirsi un’unghia o a non macchiarsi con il rossetto. E, di conseguenza, impossibilitate a resistere 45′ con una temperatura estiva, come si è sempre fatto da 100 anni a questa parte. Ecco, lo sapevo, ho cercato di non essere polemico ma ho fatto peggio. Mi sono addirittura incartato nel sessista paragone con talune “donzelle”. Perdonatemi se ne avete a male, il senso non è certo quello di colpire il gentil sesso (che a questi “fregnaccioni” avrebbe solo da insegnare cosa vuol dire esser resistenti e stoici).

Ironia della sorte, in questa giornata segnata da un silenzio ancor più profondo e disinteressato dello stadio, dove tra un passaggio, una verticalizzazione e i gol della Samp che ribaltano l’iniziale vantaggio casalingo, le uniche tracce di una presenza umana sono date dai “Ohhh”, “Nooo” e “Daiii” che sporadici si levano al cielo a seconda delle fasi di gioco, Giove Pluvio decide di metterci lo zampino e dare uno spunto in più di cui parlare. Lo ringrazio, perché a questo punto già avrei avuto voglia di chiudere baracca e burattini e conversare con una simpatica signora cilena al mio fianco. Arrivano i tuoni, cadono i fulmini e infine l’acqua possente si trasforma in grandine. Le squadre corrono negli spogliatoi (la loro dose d’acqua l’hanno già bevuta, ora mica possono pure inzupparsi, allora niente recupero e tutti ad asciugarsi i capelli per erigere nuove creste e novelli tagli alla moda), i tifosi cambiano accidentalmente posto, ritirandosi in quelle poche zone dove l’Olimpico non lascia passare l’acqua. Ah, questo stadio a cinque stelle, permette anche di farsi la doccia! Un po’ come quegli autogrill che danno la possibilità ai propri frequentatori di lavarsi. Due piccioni con una fava. Ovviamente dobbiamo stigmatizzare il comportamento del pubblico presente. Questi violenti fautori di guerre e portatori sani di odio, spostando le loro natiche da un fetido seggiolino con feci di piccione a un altro insozzato di piume di gabbiano, hanno trasgredito il regolamento d’uso dello stadio. Sapremo dirvi se il solerte Questore prenderà provvedimenti. Di certo ne va della credibilità e della sicurezza di Roma. Il popolo aspetta, giustizia sia fatta. Ma è palese che anche i trasgressori si costituiranno, ammettendo le proprie colpe e presentandosi negli uffici Equitalia con portafoglio e soldi alla mano. 167 Euro dati per la comunità e per il benessere della propria città, sono soldi ben spesi.

Anche perché mica finisce qui. Lo “sgrullone” dura il tempo di un antipastino di montagna, e il terreno di gioco tiene davvero bene. Un drenaggio che così non si è mai visto in Viale dei Gladiatori. Eppure… le squadre non rientrano. L’arbitro fa avanti e indietro. Che succede? “Mica vorranno rimandare la partita? Sarebbe ridicolo”. Mi dico. Ma poi capisco: il segnale televisivo di Sky e Mediaset è saltato. E finché non sarà ripristinato non si riprenderà. Altro che pallone rimbalzante, campo drenante e “Madonne sante” che volano tra i tifosi contrariati dall’ipotesi di dover tornare a casa nonostante si possa chiaramente giocare. E sapete che c’è? Neanche possiamo sorprenderci. Il calcio è in mano alle televisioni, ai suoi diritti e quindi anche alle sue pretese. Purtroppo è ovvio che ormai l’ago della bilancia sia nettamente spostato a loro favore, così conta più chi sta a casa davanti a un plasma rispetto a chi, dopo aver pagato profumatamente un biglietto, magari per vedere la partita col binocolo, si è recato fisicamente nel luogo dove l’evento si svolge. Non lo dico con rassegnazione, ma con obiettività: non sono sorpreso o scandalizzato dall’ennesima dimostrazione di forza delle pay-tv. Questa è diventata la Serie A, soprattutto quando di mezzo ci sono i grandi club e quindi interessi dal volume gigantesco.

Un’ora. Questa è l’attesa prima di avere l’ufficialità: si continua a giocare. Qualcuno è già uscito, forse scoraggiato da una prestazione sportiva finora non edificante e da un pomeriggio climaticamente burrascoso. E anche questo è il segno dei tempi che cambiano. È finita si dice quando è finita, almeno questa legge è sempre valsa per la maggior parte del pubblico da stadio. Ma d’altro canto la fila, composta esclusivamente da turisti, che attendeva di acquistare un tagliando della gara all’ex Ostello della Gioventù, la dice lunga su quanto ciò possa essere possibile. Per un turista la partita all’Olimpico è un diversivo come un altro. E non li biasimo certo. Ma non mi piace vedere gadget della mia squadra venduti come si vende una cartolina di Piazza di Spagna, e trattati senza sentimento. Perdonatemi l’eloquio sentimentalmente scorretto. Lo so che questo è fondamentale per le casse del mio club, che con il brand può comprare il prossimo talento uruguayano da piazzare in prestito a Carpi o Trapani, ma non riesco ancora a rientrare bene in quest’ottica. Colpa del becero retaggio di una cultura calcistica vetusta. Un po’ come lo sconcerto che mi avvolge nel vedere una terza maglia disegnata probabilmente con gli evidenziatori e apprendere della creazione di un marchio falso “ufficiale”, per contrastare il falso “non ufficiale”. Roba da palati fini.

Ah sì, dovevo finire di descrivere la partita e il frizzantino ambiente che la circonda. Liberatisi dalle falde acquifere ormai parte integrante di varie zone dell’Olimpico, con tanto di vie di fuga ostruite (probabilmente colpa di qualche tifoso-ultras che vi aveva buttato cartacce su cartacce, a causa della sua natura bestiale e incivile), i presenti riescono a riguadagnare le gradinate. La Roma rimonta e vince. Totti decisivo su rigore, al 93′. Totti corre sotto la Sud. Non lo condanno, non penso se ne sia reso conto. Si tratta di un riflesso incondizionato, è un gesto che fa da quasi 30 anni. Stolto crearci polemiche attorno.

Qualcuno mi ha chiesto dei tifosi ospiti? Buono il numero e discreta la prestazione. Ma Utc e Fedelissimi, lasciatemi dire col rispetto di tutti, sono tutt’altra cosa. Anche questo è segno dei tempi che cambiano.

Testo Simone Meloni.

Foto Cinzia Lmrn