“Ma tu sei Simone? Ciao grande! C. mi ha detto che ti avrei conosciuto stasera!”. E via un abbraccio simile a uno stritolamento vero e proprio. La voce di un omone felice come un bambino sotto l’albero di Natale riesce persino a trafiggere il frastuono caotico di una serata particolare. Una di quelle che scioglie lo sterile freddo del gennaio romano. Una notte che per molti ha evocato ricordi magici e mai sbiaditi. Il suo accento marcatamente veneto mi confonde e mi fa sorridere. Mi crogiolo nella mia iniziale ignoranza. Capirò poi. Capirò tutto. Con giubilo e massima riverenza. Quella che si deve sempre avere nei confronti di chi ti ha preceduto ed è stato in grado di aprire pertugi dove la tua curva ha scritto la propria storia.

Capirò che lui è CUCS Veneto.

Lui ha portato il nome della mia città laddove – trent’anni fa – erano davvero in pochi a immaginare di farlo. Quando io ero solo nei pensieri più reconditi dei miei genitori e un mondo che ancora oggi pulsa di simili emozioni muoveva i suoi passi più grandi.

Questo ragazzone ormai cresciuto in realtà non ha mai abbandonato quello in cui ha creduto. Glielo leggi negli occhi. Lo si capisce vedendolo saltare e cantare i cori che evidentemente hanno scandito, come un metronomo, la sua gioventù. Ha voglia di raccontare, ha voglia di dire quanto i ragazzi del Commando lo abbiano portato sempre sul palmo di mano. Spalleggiato e rincuorato nella difficoltà. Ha voglia di raccontarti le sue trasferte e le sue storie.

L’ho saputo in ritardo che Olol se n’è andato. L’ho capito vedendo quella sua foto con la mazzetta del tamburo in mano e la sua postura da ragazzino esuberante stagliarsi sulla balaustra della Sud vicentina. Mi ha fatto male. E non lo dico per retorica. Non siamo certo stati amici di una vita o stretti conoscenti. L’ho visto quella sera e basta. Ma mi è rimasto nel cuore il suo sorriso e il suo totale coinvolgimento emotivo in ogni cosa che riguardasse la Roma e la Curva Sud.

Una passione talmente bella e genuina che andrebbe trasmessa obbligatoriamente a tutte le menti spassionate e prive di trasporto che questa società troppo spesso partorisce.

Con i sentimenti non si gioca. E invece la vita lo fa puntualmente. Spesso, come questa volta, in maniera meschina.

È stato un guerriero. Uno che ci ha messo sempre la faccia. In tutte le battaglie che ha combattuto durante la sua esistenza. E se si possono avere idee politiche o fedi calcistiche opposte si deve sempre riconoscere il valore di chi in una società di retti sa essere l’eccezione.

Ma poi, ditemi, per noi che viviamo di stadio, di calcio e di tifo: la gioventù finisce mai?

“La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio”. Diceva Kafka.

Ci sono state epoche che non abbiamo vissuto ma per cui sin da piccoli abbiamo bramato di sentirne almeno il profumo. Ci sono stati gli anni delle compagnie, delle rivolte, delle trasferte di massa, dello stadio come centro della vita per milioni di ragazzi e della Curva maestra di vita.

Ci sono state stagioni, partite e mesi che si sono susseguiti a suon di canti, cori, fumogeni e al rullio di tamburo. Ci sono stati i ragazzi che non avevano nulla da perdere o che avevano perso tutto in quelle curve. E ci sono stati pure quelli che da perdere avevano tanto ma ma che non sapevano rinunciare a quello spazio incontaminato, frequentato da ogni esponente del proprio contesto sociale.

Non amo immergermi sovente nel passato. È un’opera rischiosamente corrosiva. A volte becera e ruffiana. Figuriamoci se posso voler parlare di quello che non ho mai vissuto. E non lo farò infatti.

Però un pensiero mi ciondola nella mente da qualche giorno: rendergli omaggio. Lo so fare solo in questo modo. Non sono un grande oratore e comunque non saprei a chi rivolgermi. Allora lascio queste parole al vento.

Che si levino al cielo e arrivino a Olol. Sicuramente si starà facendo beffe di tutti cantando e saltellando sui suoi cori. Certo che il suo spirito vivrà ancora in tanti ragazzi. Perché “finché ci sarà solo un bambino che sventolerà una bandiera, ci sarà il Commando!”.

Simone Meloni