“Venezia è bella ma non ci vivrei mai”. Dice uno dei più noti luoghi comuni italiani. Fondamentalmente un’eresia, perché se è vero che la nomea di “città che vive per il turismo” non si allontana poi molto dalla concezione di chi governa il capoluogo veneto, di contro devo dire di aver scoperto, nelle ultime due volte in cui vi sono transitato, una Venezia ben differente da quella fotografata dai giapponesi e poco rispettata dal turista in generale. È la Venezia dell’Arsenale, quella che parla ancora il dialetto locale e guarda con orgoglio alle proprie calli e alle proprie tradizioni. Quella dei bar frequentati solo da persone “indigene” e dai panni stesi su fili sospesi tra i palazzi. I veneziani si portano dietro una storia millenaria, fatta di scambi e rapporti con il resto del mondo, difficile credere che una città simile – con le sue unicità – possa lasciar scomparire totalmente il proprio bagaglio culturale.

Una bellissima giornata di sole mi accoglie appena sceso dal treno. Non dovevo esser qua oggi, dovevo stare altrove e invece una serie di circostanze mi ha portato ad optare proprio all’ultimo per questo Venezia-Parma. Prima contro secondo al Penzo, lo stadio più vecchio d’Italia ancora in attività. Un luogo dove le tifoserie ospiti arrivano in battello e dove i tifosi, ad aver tempo e voglia, possono arrivarci con una bellissima camminata a piedi tra i ponti, i canali, le calli e un’occhiata gettata nella caotica Piazza San Marco. Venezia sa essere unica anche per una partita di pallone, con l’odore forte delle sue acque che ti entra nei polmoni, le file alle stazioni dei battelli e il movimento smodato e disordinato dei turisti che ti fa andar fuori di testa, almeno fino alla Riva degli Schiavoni, dove con un’ultima falcata è possibile inoltrarsi nel Parco della Biennale e arrivare finalmente allo stadio. Avvertendo persino caldo, dopo un mese di freddo intenso che ha stritolato il Nord Italia e che proprio un paio di mesi fa, in occasione del derby contro il Padova, mi aveva letteralmente massacrato a suon di gelide raffiche di vento.

Il Penzo giace imponente a Sant’Elena, nel Sestiere Castello. Sembra quasi esser ormeggiato al pari delle barche poste nel porticciolo da dove entreranno i tifosi ospiti. Fa un certo effetto pensare che su quel manto di gioco è passata talmente tanta storia del calcio italiano da perderne il conto. Tutto intorno comincia man mano a popolarsi di tifosi e proprio davanti ai miei occhi osservo lo sbarco dei tifosi del Chioggia, storici gemellati dei lagunari.

Tra veneziani e parmigiani non scorre buon sangue, di mezzo c’è il gemellaggio tra i veneti e i modenesi a scaldare gli animi e a farne le spese saranno diversi supporter gialloblu arrivati allo stadio a piedi. Diverse tensioni infatti si registrano in città e quando la notizia di scaramucce tra le tifoserie comincia a circolare, noto un massiccio andirivieni della polizia locale. Un’oretta prima del fischio d’inizio, invece, fa il proprio arrivo il ferry boat con a bordo la tifoseria organizzata del Parma. Un arrivo chiassoso, colorato dalle tante bandiere sventolate e dall’entusiasmo di una tifoseria che ha letteralmente polverizzato i 1.350 biglietti a disposizione, tanto da indurre gli organi preposti a concedere altri duecento tagliandi per il Distinto.

Una mezz’ora prima del fischio d’inizio decido di entrare, valicando uno dei ponticelli presidiati dagli steward e superando la porticina d’accesso. Da queste parti ancora non sono arrivati i tornelli e la cosa non può che farmi piacere, vista la scarsa abitudine e tolleranza nei confronti di questi invasivi strumenti (ma del resto, ormai tutto quello che ruota attorno alle gestione dell’ordine pubblico negli stadi è a dir poco invasivo ed estenuante).

Il Penzo offre un bel colpo d’occhio. Non c’è il tutto esaurito, anche se sono rimasti pochi biglietti a disposizione. Le sue vecchie tribune hanno subito numerosi cambiamenti negli anni. Basti pensare che ai tempi dell’ultima partecipazione in A (a cavallo tra gli anni novanta e i duemila) la curva di casa era il doppio di grandezza, così come il settore ospiti e parte del distinto. Pur con tutte le sue criticità non posso far a meno di ammettere che ne rimango affascinato. Un po’ per la sua particolare ubicazione, proprio su un isolotto, un po’ per quel senso di antico che emana e trasmette. Uno dei rimorsi che ho nella mia vita da tifoso è quello di non aver mai fatto una trasferta qui.

Quando le squadre stanno per fare il loro ingresso sul terreno di gioco, le due curve si preparano ad esibire le rispettive coreografie. Da parte ospite fanno capolino tantissime bandiere e diversi bandieroni con lo striscione “Monti, mari e fiumi attraverserò” mentre su fronte lagunare, il messaggio “Carichiamoli!” ultima una cornice composta da bandierine arancioni e verdi, e da uno stendardo recante l’effige della Curva Sud, il tutto condito anche da qualche torcia. Nel complesso niente male davvero. Soprattutto se si pensa a una categoria che nell’immediato post Raciti, con i divieti e le restrizioni che ne conseguirono, aveva conosciuto una deriva davvero poco edificante. Su questo c’è da dire che la riduzione delle squadre e la creazione di soli tre gironi ha giovato e non poco. Piazze importanti sono tornate ad affrontarsi e gli stadi, seppur non come una decina di anni fa, hanno rivisto finalmente un po’ di pubblico.

La gara ha inizio e decido di rifugiarmi in tribuna per non esser costretto a sostare dietro una delle porte, dovendo così rinunciare a scattare una delle due curve. Non posso evitare di menzionare il simpatico signore affianco a me, che passerà novanta minuti a sbraitare contro tutto e tutti, inveendo e bestemmiando integralmente in dialetto veneziano: che spettacolo!

La partita in campo sembra mettersi subito bene per i ducali che in breve tempo trovano un micidiale 1-2 con Baraye e Nocciolini, mandando in visibilio il settore ospiti. La prima frazione esalta giocoforza gli emiliani che, forti del vantaggio, si mettono in bella mostra con un tifo caratterizzato da cori a rispondere, manate, una bella sciarpata e il costante sventolio dei bandieroni. L’unico appunto che gli posso fare è quello di perdere ogni tanto di intensità: si vede che in molti sono venuti in Laguna con uno spirito vacanziero e farli cantare (inoltre senza megafoni) non deve essere impresa facile. Comunque la prestazione resta di tutto rispetto e calerà sensibilmente nella ripresa, quando l’inerzia della partita volgerà ad appannaggio del Venezia.

A fine primo tempo infatti, viene espulso il parmigiano Canini e pochi minuto dopo l’inizio della ripresa, Moreo accorcia le distanze, dando di fatto il la all’assalto veneziano. La Sud aumenta i decibel e soprattutto nei secondi 45′ offre una bella prova canora, che viene premiata con il pareggio realizzato nel finale da Geijo su calcio di rigore. Un gol che fa esplodere il Penzo e permette ai padroni di casa di restare soli in testa, regalando al campionato un ulteriore sussulto, visto l’avvicinarsi del vittorioso Padova e delle restanti inseguitrici. Sebbene Venezia e Parma appaiano le prime due contendenti per la vittoria finale, il Girone B resta aperto e combattuto.

Nel finale ci sono applausi da ambo le parti, con le tifoserie che non dimenticano di scambiarsi gli ultimi saluti, mettendo nero su bianco un’antipatia malcelata.

Mi concedo gli ultimi scatti, salendo sulla terrazza dello stadio per osservare il deflusso dei tifosi gialloblu ed immortale il panorama offerto dall’imminente tramonto sulla Laguna. È giunto il tempo di andare, destinazione stazione Santa Lucia. Un’altra bella camminata tra i tesori di questa città, che sempre grazie al calcio ho avuto modo di conoscere in un’ottica totalmente differente da quella iper commerciale venduta agli “sfortunati” turisti.

Testo di Simone Meloni
Foto di Simone Meloni, Luca Marchesini e Giovanni Padovani.

Galleria Giovanni Padovani: