Devil’s Korps Teramo: Una delle realtà calcistiche più tradizionali del Centro Italia, il Teramo è – come suol dirsi – squadra di categoria e nella sua lunga storia, iniziata nel 1913, può vantare la partecipazione a ben 41 tornei di Terza Serie nazionale (tra vecchia e nuova Serie C unica, C1 e C2).

Emblematica e indimenticabile – in positivo e negativo – rimarrà per sempre la recente stagione agonistica 2014-15, allorquando il club abruzzese – inserito nel raggruppamento B della Serie C/Lega Pro – al termine d’un’esaltante cavalcata, centrerà il primo posto assoluto nel girone approdando, per la prima volta nella sua storia, in Serie B. Promozione in seguito revocata dalla FIGC per una combine, attuata dal presidente biancorosso Campitelli, riguardante l’ultima vittoriosa trasferta del Teramo a Savona in cui gli aprutini conquistarono con un turno d’anticipo la tanto sospirata cadetteria.

Una delusione immensa e una mazzata che avrebbe steso chiunque… vedersi sottrarre un sogno appena conquistato, da una città e la sua squadra, proprio nel momento più esaltante della propria storia è veramente qualcosa di tremendo e inimmaginabile, da non augurare a nessuno, neppure al proprio peggior nemico. Un episodio che – ancora una volta e come purtroppo accade sempre – ha visto pagare il prezzo più alto proprio a coloro che non hanno alcuna colpa: i tifosi.

Il pubblico teramano, al pari della squadra, ha una buona tradizione e reputazione; magari non ha quasi mai avuto numeri sbalorditivi, ma quando s’è presentata l’occasione importante ha sempre risposto presente. Da diversi anni il club del capoluogo di Provincia biancorosso gioca le sue partite interne nello stadio di Piano d’Accio (recentemente intitolato a Gaetano Bonolis che fu lo storico medico sociale del Teramo), un impianto davvero bello e funzionale, pensato appositamente per il Calcio e in cui la partita si segue molto bene, con spalti ampi e capienti e con un’imponente tribuna coperta. Però a Teramo – e anche per tutti gli inguaribili nostalgici come il sottoscritto – è impossibile dimenticare il vecchio stadio Comunale ch’è stato la casa dei biancorossi per ottant’anni (dal 1929 al 2008) e in cui s’è praticamente scritta la storia del Calcio teramano. Un piccolo impianto in centro città, con quel sapore romantico e un po’ sgangherato che soltanto le vetuste gradinate ubicate tra i palazzi sanno offrire, per un’atmosfera unica e che sicuramente s’è perduta – per forza di cose – nel nuovo impianto più periferico.

A differenza d’un pubblico sotto tanti aspetti “normale”, Teramo Ultras ha invece sempre avuto una grossa e consolidata tradizione. Una Curva, la vecchia Est del succitato Comunale, sempre in prima linea, tosta e battagliera. A differenza di tante altre piazze provinciali che, al pari di quella teramana, non hanno conosciuto il Grande Calcio di Serie A e B e che spesso hanno subìto gli accadimenti relativi ai propri club improvvisando o scimmiottando i grandi gruppi metropolitani, gli Ultras teramani hanno di contro sempre mostrato un carattere molto deciso e personale, autoctono azzarderei. Intransigenti, fedeli a una linea di principio e con una spiccata e peculiare mentalità (pienamente riassunta dal vecchio e geniale striscione “Coerenza ad oltranza”) che li ha portati anche a delle insanabili fratture interne – fatto curioso per una realtà non grandissima – proprio in virtù d’una maggiore o minore applicazione di quel “codice non scritto” tra gli elementi più ortodossi e quelli meno della tifoseria stessa. I ragazzi di Teramo possono vantare d’aver avuto, nella propria Curva, uno dei gruppi Ultras più importanti e puri della storia del tifo nel nostro Paese: i Devil’s Korps. Personalmente considero questo gruppo – per come ha vissuto lo stadio e per tutto quello che ha fatto e rappresentato per tanti ragazzi nel modo di porsi e d’intendere il tifo – come una sorta di summa di tutto ciò che dovrebbe significare e al contempo essere la parola Ultras intesa nella sua accezione più vera e pura.

Proprio ai Devil’s è dedicato questo mio disegno. La scelta del teschio munito di corna sulla fronte non è casuale e vuol avere un duplice significato: da un lato – proprio attraverso il teschio vero e proprio – richiamare alla mente quell’attitudine da stadio che fu dei primi e più importanti gruppi italiani figli degli Anni ’60 e ’70; dall’altra parte – attraverso le corna – essere peculiare proprio della tifoseria biancorossa che vede da sempre nel diavolo la propria mascotte. Una fusione dei due elementi, insomma; la tradizione Ultras italiana più genuina, primigenia e passionale, che incontra quella particolare piazza che è Teramo, per un’icona che possa rappresentare appieno l’intera tifoseria che ancor’oggi – privata dei Devil’s Korps e con nuovi gruppi sulla scena – è foriera e portatrice di sani valori e princìpi Ultras, in una città che ha sempre conosciuto, più che altrove, un’odiosa quanto spietata repressione, esagerata e sproporzionata se rapportata alla grandezza della città, volta unicamente a distruggere un fenomeno aggregativo sincero ed esemplare.

Le scritte, superiori e inferiori al teschio, sono in bianco con bordo e “volume” neri. Una particolarità di questo disegno: una doppia dicitura TERAMO (dal basso verso l’alto, a destra; l’inverso a sinistra) in un’insolita posa verticale: il tutto funzionale a dare un miglior amalgama all’insieme. Una doppia riga bianca bordata di nero delimita, una per lato, le parti sinistra e destra del disegno. Immaginerei questa grafica come una bandierina riprodotta in serie e sventolata con entusiasmo da una folla estasiata.

Curva Ovest Giulianova: Dopo aver parlato del Teramo e dei teramani, ci spostiamo di qualche kilometro e ce ne andiamo nella bella cittadina di Giulianova. Deve esserci proprio qualcosa di particolare e speciale, quasi di “magico”, in quel fazzoletto di terra d’Abruzzo se a così poca distanza coabitano, gomito a gomito, due realtà calcistiche provinciali così rinomate e paradigmatiche, peraltro divise da una storica e sentitissima rivalità.

A dispetto della modesta grandezza – intorno ai 25.000 abitanti – Giulianova è una piazza sportiva in cui da sempre si mangia, beve e respira Calcio. La riprova di ciò sta nel fatto che nella sua lunga storia, iniziata nel 1924, il club abruzzese abbia disputato ben 43 campionati di Terza Serie (tra vecchia Serie C, C1 e C2); a ben vedere un numero davvero considerevole per un sodalizio espressione d’una realtà non grandissima. Addirittura in tre occasioni i lupi giallorossi hanno sfiorato la Serie B: nella stagione 1972-73, quando si piazzarono al secondo posto assoluto e a sole quattro lunghezze dalla vincitrice SPAL (in quegli anni, dei tre gironi di Serie C, soltanto la prima di ognuno saliva in cadetteria); nella stagione 1996-97 quando il Giulianova centrò i play-off, uscendo in semifinale contro l’Ancona; e infine nella stagione 1998-99 in cui centrò nuovamente i play-off, uscendo ancora in semifinale, stavolta per mano della Juve Stabia.

Elemento saliente e imprescindibile della storia e delle fortune del club giallorosso è senza dubbio il suo stadio: il Rubens Fadini (intitolato alla memoria d’una delle vittime della famigerata tragedia di Superga in cui trovarono la morte i calciatori del cosiddetto Grande Torino). Un impianto di gioco situato nella parte “alta” di Giulianova, perfettamente calato nel tessuto urbano, che rappresenta una sorta di quintessenza di “stadio romantico” e d’un certo modo d’intendere il Calcio che sempre più va scomparendo ma che – a determinate latitudini, geografiche e mentali – resiste ancora.

Uno stadio, il Fadini, immerso tra le case, ch’ha fatto appassionare e innamorare di sé più d’una generazione di tifosi e Ultras (tra cui, ovviamente, il sottoscritto) per la propria bellezza che rimanda a un football d’altri tempi e a vecchie e infuocate partite quand’era ancora possibile – realmente e tangibilmente – incidere sul risultato per via di spalti praticamente appiccicati al terreno di gioco e da quest’ultimo separati da una rete metallica vecchia maniera che – in un’epoca calcistica attuale fatta di vetrate, cemento, tornelli, telecamere e metal detector – fa salire tanta ma tanta nostalgia.

Sul pubblico giuliese c’è poco da dire: nel corso dei decenni ha sempre mostrato di quale pasta fosse fatto: caloroso, numeroso, sanguigno, appassionato e senza mezze misure, per entusiasmo e partecipazione simile a tifoserie del profondo Sud. Per lunghi anni, guardando le immagini TV o le foto sulle riviste di tifo specializzate, del Fadini non s’è mai riusciti a vedere come fossero fatti gli spalti, tanto erano pieni di gente stipata in ogni ordine di posti. Una vera bombonera lo stadio giallorosso, che per tantissimo tempo ha scritto pagine indelebili del Calcio provinciale italiano. Purtroppo gli anni più recenti sono coincisi col momento più basso dello storico Giulianova Calcio che attualmente (dopo aver patito anche due rovinose mancate iscrizioni ai campionati di spettanza per dissesti economici) disputa i tornei regionali… voglio sperare e credere che si tratti soltanto d’una fase e nulla più: una ruota che gira e oggi dice male, ma che domani potrà ribaltare tutto. A mio avviso, la piazza giallorossa – per tutto ciò che ha sempre dimostrato e fatto vedere al mondo “pallonaro” – merita di diritto la Serie C. E la Serie C sarebbe più degna di questo nome se potesse annoverare, a ogni stagione, il nobile Giulianova nei suoi gironi.

Il discorso Ultras fatto per Teramo, a grosse linee, può tranquillamente essere esteso a Giulianova. Una piazza dove, come visto, storicamente si respira Calcio, non poteva che esprimere una realtà curvaiola non da meno. Una tradizione ricca di gruppi, per una curva, la Ovest, sempre sugli scudi e che non s’è mai tirata indietro, anzi. Un ambiente sempre caldissimo, e non poteva essere altrimenti, tra le mura amiche e un seguito sempre massiccio e colorato in trasferta. Negli anni più ruggenti del calcio giuliese, la side giallorossa non è mai venuta meno e ha sempre onorato appieno la propria città, con numeri spesso e volentieri superiori al proprio ristretto bacino d’utenza e con una mentalità e un atteggiamento fiero e spavaldo che hanno guadagnato a questi ragazzi la fama di  tifoseria temuta e rispettata, da amici e nemici.

Passando al disegno: ho voluto immaginare una sorta di “drappo”, semplice ma ben curato – com’è un po’ nelle corde e nello stile del materiale degli Ultras giuliesi – in cui su uno sfondo rosso e in un font d’impatto e lineare, campeggia una scritta gialla a contorni neri, disposta su tre livelli e indicativa rispettivamente del settore di stadio d’appartenenza e del club/città. Due corpose righe, nel medesimo colore delle scritte, corrono nelle parti superiore e inferiore del “drappo”, restituendo una sensazione più casual e moderna. Nella parte alta del disegno, come poggiato sul “drappo” sottostante, ho posto un elmo medievale mostrato di profilo, con visiera chiusa e pennacchio rosso. Questo simbolo – caro a città e squadra – l’ho ripreso dallo stemma comunale di Giulianova che raffigura il condottiero Acquaviva d’Aragona – che tradizione vuole sia stato il fondatore della città – ricoperto da un’armatura, brandente una spada e montante un baio destriero. Immaginerei questa grafica come murales o adesivo.

Gioventù Brianzola Monza: Una delle storiche società calcistiche provinciali del Nord Italia, il Monza è club antico (nato nel 1912) e che può vantare ben 38 partecipazioni alla Serie B; anzi, tra i sodalizi che hanno disputato campionati in cadetteria senza mai riuscire ad approdare in Serie A, il Monza è quello che può contarne il maggior numero.

Attualmente sono passati più di quindic’anni dall’ultima stagione tra i cadetti (2000-01) e nella sua lunga e movimentata storia, il prestigioso club lombardo ha conosciuto anche due fallimenti (2004 e 2015) da cui i biancorossi si sono prontamente riscattati, segno di un’importante tradizione sportiva e d’una città che comunque – insieme ad altre discipline – ha sempre e fortemente respirato Calcio.

In realtà, pur essendo una città abbastanza grande – è il terzo comune lombardo per numero d’abitanti, dopo Milano e Brescia – Monza ha sempre “sofferto” la vicinanza con Milano (e Torino) e dunque con le sirene rappresentate dagli importanti e stellati club contro cui, una realtà provinciale come quella brianzola, ha sempre avuto vita difficile in termini di seguito popolare. Nonostante ciò, il Monza Calcio ha costantemente potuto contare su un buon numero di spettatori e su uno zoccolo duro di tifosi che non ha mai mollato e mai lasciata sola la squadra che anche grazie a loro ha potuto costruire, nel tempo, la propria tradizione.

Come per le due precedenti presentazioni, anche in questo coso è impossibile parlare del club senza ricordare il suo vecchio stadio. Attualmente il Monza gioca le proprie partite interne nel grandissimo (e per la verità assai bello e funzionale) stadio Brianteo, dove può sempre contare su un pubblico affezionato e caloroso. Fino alla sua inaugurazione, avvenuta nel 1988, i biancorossi disputavano le proprie gare casalinghe nel vecchio impianto, il Sada.

Inaugurato nel 1946, su un’area adiacente alla centrale stazione ferroviaria e nel 1965 intitolato alla memoria del compianto “presidentissimo” Gino Alfonso Sada – patron della Simmenthal, la nota industria di carne in scatola, che guidò anche l’Olimpia Pallacanestro Milano con cui vinse 10 scudetti e una Coppa dei Campioni e sotto la cui presidenza il Monza Calcio conobbe uno dei periodi più floridi della propria parabola calcistica, sfiorando ripetutamente la massima serie – il vecchio impianto monzese credo fosse uno dei più belli e romantici che il nostro sport preferito abbia mai potuto annoverare. Ubicato, come detto, in pieno centro cittadino, dotato d’una tribuna coperta, d’un settore distinti e di due curve, il vecchio stadio aveva spalti praticamente appiccicati al terreno di gioco e personalmente lo considero come l’emblema stesso della Serie B degli Anni ’70 e ’80 quando le partite di pallone – insieme a tutto ciò che vi ruotava intorno – erano autentiche poesie.

Basta andarsi a guardare le vecchie immagini dei servizi televisivi trasmessi all’epoca dalla trasmissione domenicale 90° minuto (e facilmente reperibili in rete) per rendersi conto di quanto fosse affascinante il vecchio Sada in quanto ad atmosfera, con le sue tribunette a ridosso del campo e col pubblico pigiato sulle reti di recinzione, dove 5 o 6.000 spettatori parevano una moltitudine immensa e dove credo si siano scritte le pagine più indimenticabili e trasudanti storia del Calcio monzese.

Ricordo le due Curve stipate di gente, coi vecchi e pionieristici striscioni – dalla fattura ingenua e spartana – che tanto mi affascinavano, portandomi, già da bambino (cosa peraltro rimasta intatta ancor’oggi a oltre trent’anni di distanza) a guardare quasi esclusivamente dietro le porte di gioco, disinteressandomi pressoché totalmente dell’aspetto tecnico delle gare. E se la Curva del Monza era strapiena, spesso accadeva lo stesso anche per la cosiddetta Curva ospiti (anche se questo “concetto”, quello d’un settore ospiti, in Italia è nato soltanto nel post-Heysel, dunque dopo l’’85), letteralmente stipata di pubblico. Ricordo una volta – se la memoria non m’inganna, per una partita di Serie B contro il Bari – a causa della previsione d’un imponente esodo della tifoseria pugliese (forte anche degli “espatriati” al Nord per motivi lavorativi) per cui il vecchio Sada sarebbe risultato inadeguato, il match fu spostato a Milano, nella cosiddetta Scala del Calcio, allo stadio Meazza. Potere e magia degli Anni ’80!

Il disegno: ho scelto di omaggiare la bella tifoseria monzese attraverso uno dei suoi “gruppi di massa” che caratterizzarono gli Anni ’90 ai tempi dell’ultima Serie B in cui il club biancorosso stazionò per quatto campionati dal 1997 al 2001. Parliamo della Gioventù Brianzola che era un gruppo molto originale già dal nome, che univa perfettamente un’indole figlia della spensieratezza del tifo di matrice Anni ’80 (Gioventù, termine iconografico che m’è sempre piaciuto) a una spiccata identità territoriale (Brianzola).

La Curva monzese, ai tempi della GB (questo il suo acronimo) era molto calorosa e colorata, grondante entusiasmo e che poteva avvalersi di numeri cospicui, dati anche dall’importante categoria disputata all’epoca dalla squadra. Uno dei suoi simboli – che fu anche d’un vecchio e rimpianto gruppo del decennio precedente, ai tempi del vecchio Sada, gli Eagles Monza – unitamente alla Corona Ferrea, universale icona della città di Monza, era l’aquila. Il voler perpetuare l’uso dell’aquila come simbolo del gruppo credo sia stata una scelta, oltre che estetica, anche concettuale, di continuità col passato e col precedente gruppo considerato come una sorta di fratello maggiore.

Nel mio disegno ho voluto dare piena e assoluta centralità a quest’animale da sempre presente in araldica e simbolo allegorico di profonde e radicate virtù quali potenza, vittoria e prosperità. Nella mia rappresentazione, quest’aquila, completamente bianca fatta eccezione per gli occhi, il becco e gli artigli, dalle grandi e imponenti ali spiegate è nell’atto di ghermire la sua preda dopo esserle piombata addosso dall’alto, a seguito d’una veloce picchiata. Nella parte bassa, a coprirle parzialmente coda e artigli, ho tirato uno spesso nastro rosso, con la parte in rilievo recante all’interno la “ragione sociale” del gruppo di cui sopra, disposta su un doppio livello e con lettere in bianco bordate di nero per meglio amalgamarsi col contorno, pure nero, dell’animale e del nastro. Il tutto vuol suonare molto “nobile” e insieme d’impatto, cercando di catturare immediatamente la vista. Mi fa pensare, in parte, ai simboli dei bikers americani che scorrazzano con le loro motociclette cromate sulle strade provinciali e sulle grandi highway a stelle e strisce. Immaginerei questa grafica come adesivo, toppa o, meglio ancora, come un grande murales.

AS Roma …eredi di un impero!: Di sovente, ritorna, nei disegni e nel materiale dedicati alla tifoseria romanista, il mito dell’Antica Roma. Non poterebbe essere altrimenti per una gioventù da stadio cresciuta all’ombra dei grandiosi monumenti e delle antiche vestigia disseminate nel tessuto urbano della Capitale, dove antico e moderno si fondono senza soluzione di continuità e dove la Storia entra di prepotenza nella vita delle persone e, come canta De Gregori, “non si ferma davanti a un portone, ma entra dentro le stanze e le brucia”.

Mito e vanto, quello della Roma Imperiale, che si divide anche equamente tra le due anime calcistiche dei due principali club cittadini: difatti anche i laziali – giustamente – hanno spesso rivendicato la millenaria storia romana e l’hanno spesso celebrata nel proprio materiale e nelle proprie coreografie, avendo addirittura nel proprio stemma l’Aquila Imperiale che era il simbolo delle legioni romane in battaglia e all’epoca padrone del mondo.

Nel disegno oggetto di questa presentazione, ho messo in evidenza l’immagine d’un classico centurione romano, in bianco e giallo, con tanto di elmo e mantello. Il fondo del disegno è d’un rosso pompeiano assai carico e denso, ai limiti del saturo, per creare maggior contrasto col giallo ocra delle scritte, contornate di nero – come i tratti della figura di cui sopra – e in un font importante e cubitale. Sotto il centurione, la “ragione sociale” del club giallorosso, mentre nella parte destra e “vuota” del disegno, una frase che riassuma i concetti di cui detto nei paragrafi precedenti. “…eredi di un impero!”, come dire: l’eterno e intramontabile mito dell’antico Impero dei Cesari, continua a vivere oggi in Curva Sud, tra tutti i ragazzi che domenicalmente seguono le gesta del sodalizio capitolino, in casa quanto in trasferta. Football e Storia che s’incontrano, andando a braccetto. Una delle peculiarità più rinomate, storiche, filmiche e immaginifiche che esistano a proposito della Città Eterna, che incontra la parte più “easy” del tifo da stadio… questa – in buona sostanza – è la velleità di questo disegno. Una cornice gialla, bordata di nero, chiude il “quadro” conferendo un ulteriore tocco di eleganza. Immaginerei questa grafica come adesivo o drappo.

Potenza Calcio 1919: Una tifoseria, quella potentina, a cui da tempo desideravo dedicare un disegno, per la sua storia e la sua tradizione.

Il capoluogo di Regione lucano è una città in cui da sempre si respira Calcio e in particolari frangenti storici s’è vissuto quasi esclusivamente per il football (caratteristica comune a molte realtà della Provincia italiana, soprattutto meridionale, in cui il gioco più bello del mondo ha rappresentato e rappresenta una sorta di “rivalsa” nei confronti di problematiche sociali peculiari a certe latitudini).

Nella sua quasi secolare storia – l’anno prossimo, difatti, ricorrono i 100 anni dalla fondazione avvenuta nel 1919 – il Potenza Calcio (fallito e rifondato più volte con differenti “ragioni sociali”) ha disputato – oltre a tanti tornei regionali e di Quarta Serie – 40 campionati di Terza Serie nazionale (tra vecchie Serie C, C1 e C2) e soprattutto può vantare cinque campionati consecutivi in Serie B dalla stagione 1963-64 alla stagione ’67-68. Un lustro in cadetteria che ha segnato profondamente il carattere di questa piazza sportiva che da allora è assurta a “nobile” del Calcio, entrando nel novero di quei club che possono vantare precedenti illustri.

Nel quinquennio passato sui gloriosi campi della Serie B, il Potenza Calcio si mise in evidenza come squadra temibile e sbarazzina – anche per via di talentuosi e promettenti giovani di belle speranze approdati in prestito dai grossi club per farsi, come si dice, “le ossa” –  che stupiva col proprio gioco e la propria mentalità vincente che la portò, nel secondo anno tra i cadetti, stagione 1964-65, addirittura a sfiorare la clamorosa promozione in Serie A, chiudendo il proprio torneo al quinto posto assoluto dietro alle tre vincitrici Brescia, Napoli e SPAL e a un’altra attuale “nobile decaduta”: il Lecco.

Fu un campionato davvero eccezionale quello portato a termine dalla compagine rossoblu che, partita in sordina, fu artefice di un clamoroso exploit di risultati positivi nel girone di ritorno, che soltanto a soli 90 minuti dal termine del torneo vide sfumare il sogno della Serie A. Il Potenza fece registrare il miglior attacco della categoria, con ben 55 reti siglate e il secondo delle categorie professionistiche (soltanto l’Inter, Campione d’Italia, riuscì a far meglio con 68 marcature). Fu anche l’anno dell’attaccante Bercellino che totalizzò 18 reti piazzandosi al terzo posto assoluto nella classifica cadetta dei cannonieri e d’un giovane Boninsegna – che qualche anno dopo sarebbe diventato, grazie ai suoi numeri e alla prestigiosa penna del genio Gianni Brera, Bonimba – che totalizzò uno score di 32 presenze e 9 reti e che in seguito, soprattutto negli anni in cui giocò a Milano sponda nerazzurra, sarebbe diventato uno degli attaccanti più forti di tutti i tempi.

Dopo gli indimenticabili anni della Serie B, un lento declino, seppur il club lucano abbia stabilmente abitato in Terza Serie per tantissimi anni, tra vecchia Serie C, C1 e C2. Nella sua travagliata storia – ahimè comune a tante nobilissime piazze calcistiche della Provincia italiana cadute in disgrazia – il Potenza ha anche conosciuto tre fallimenti societari (1986, 1994 e 2012) oltre a due non iscrizioni ai campionati a cui avrebbe avuto diritto (2004 e 2013) che in buona sostanza sono equiparabili a dei fallimenti. Una storia sfortunata, insomma, che negli ultimissimi anni ha conosciuto i suoi momenti peggiori, col sodalizio rossoblu inchiodato tra tornei regionali e Serie D, categorie indubbiamente indegne del suo blasone e della sua storia sportiva.

Di contro a tanta malasorte, il pubblico potentino s’è sempre dimostrato di ben altre categorie, non mollando mai, anche e soprattutto negli anni più bui del Calcio cittadino e dando prova di sé, con numeri assolutamente eccezionali per i miseri palcoscenici della Quarta Serie. Storicamente la tifoseria lucana è sempre stata numerosa, colorata e calorosa, temuta e rispettata da tutti, attaccata alle proprie casacche e alla propria tradizione in maniera pressoché incondizionata. Numerosissimi in casa, sempre presenti e compatti in trasferta, con veri e propri esodi nei momenti più topici della propria storia, quando il Potenza è riuscito a muovere davvero numeri imponenti. Nel campionato di Serie D 1974-75 i rossoblu chiusero il torneo al primo posto appaiati alla Juve Stabia; per decretare la promozione fu necessario lo spareggio, giocato e vinto dal Potenza sul neutro del vecchio Stadio della Vittoria di Bari… dalla Lucania si mossero in 10.000!… credo sia un record per la categoria. Tutto ciò per dire dell’assoluta validità del popolo rossoblu che in altre centinaia di occasioni ha mostrato i muscoli, sfoderando numeri davvero importanti.

Basta guardare il dato attuale, con un Potenza finalmente protagonista nel suo girone attuale di Serie D che sta tentando di vincere, dove ogni domenica il Viviani (lo stadio cittadino intitolato a colui che fu il fondatore del club un secolo fa) fa registrare numeri superlativi considerando la categoria e il particolare momento storico del nostro Calcio che, in linea generale, conosce purtroppo un’inarrestabile emorragia di pubblico. Fortuna che resistono ancora alcune isole felici – com’è appunto quella oggetto di questa chiacchierata – che fanno ben sperare per il futuro del nostro sport preferito. Nell’ultimo incontro di “cartello” che ha visto difronte Potenza e Cavese – con una trasferta aperta anche ai tifosi metelliani – il vecchio e romantico impianto in centro città ha fatto registrare qualcosa come 8.000 presenze. È tutto dire.

Di pari passo con una tradizione sportiva e di partecipazione popolare, come visto, di assoluto valore, Potenza ha sempre potuto contare su un movimento Ultras di tutto rispetto. Sulla falsariga dei grandi club italiani metropolitani che a partire dalla fine degli Anni ’60 e lungo tutti i ’70 videro nascere i primi gruppi Ultras al seguito, anche nel capoluogo lucano a cavallo tra i ’70 e gli ’80 nacque la prima significativa forma di tifo per come lo intendiamo oggi (seppur tracce di sostegno, sempre meno spontaneistico e maggiormente organizzato, fossero riscontrabili già nel decennio precedente).

Dagli Ultrà Potenza, passando per gli Ultras, fino ad arrivare alle sigle attuali che guidano il tifo in Curva Ovest, la side rossoblu ha sempre espresso un supporto massiccio e costante, con gruppi e seguito di radicata mentalità, fedeli a un vecchio modo d’intendere la cultura da stadio, in termini di coraggio e lealtà. A livello estetico, dopo un periodo più “folkloristico” (nell’accezione più nobile del termine) figlio degli Anni ’80, dai ’90 in poi la parte più Ultras della tifoseria potentina ha abbracciato un’attitudine sicuramente più british, mescolandola alla perfezione con la parte più peculiare e bella del modello italiano, uscendone con un’alchimia accattivante quanto efficace. Una piazza, Potenza, dove ancora si può respirare la vera essenza dell’essere Ultras e dove fenomeni quali moda e omologazione hanno inciso in maniera risicata e minore rispetto ad altre piazze. Un sano e genuino essere Ultras quello potentino, senza taluni eccessi ed estremizzazioni che spesso hanno prodotto, a conti fatti, soltanto risultati negativi.

Qualche rigo lo merita anche l’accesa rivalità calcistica (e non solo) che divide Potenza dall’altro capoluogo lucano, Matera. Una rivalità tra tifoserie che affonda le proprie radici al periodo antecedente la nascita del movimento Ultras. Un profondo odio sportivo che divide le due piazza per la supremazia del Calcio regionale che vede ora l’una, ora l’altra sponda primeggiare in una categoria superiore rispetto ai rivali. Quando invece i due club, espressione dei due capoluoghi, si son trovati difronte nella medesima categoria: sono state scintille. Credo che il derby lucano Potenza-Matera sia (tra i tantissimi che la nostra Penisola offre domenicalmente) uno dei più belli del Calcio provinciale e sarebbe più che doveroso assistervi almeno una volta. Un derby turbolento fuori e talvolta dentro il campo e a suon di striscioni ironici e offensivi sugli spalti, che immancabilmente le due tifoserie si scambiano non appena si trovano gettate insieme nella stessa mischia. Ma anche un derby nel segno della mentalità Ultras: difatti anche i materani (di cui abbiamo già parlato in una precedente puntata, One Step Beyond #27) sono una tifoseria matura e con sani e saldi principi Ultras; senza dimenticare che anche Matera calcistica è una nobile del nostro Calcio e che, al pari dei “cugini” rossoblu, può vantare nel proprio palmarès la partecipazione alla Serie B (seppur per una sola stagione).

Per quanto riguarda il disegno: l’ho impostato come una sorta di bandiera costituita da due riquadri verticali, rosso e blu, di eguale grandezza. In posizione centrale ho posto il più classico e abusato pallone retrò, simbolo d’un certo modo d’intendere il football. A fargli, per così dire, da guardia, ho collocato simmetricamente alla sua destra e sinistra le teste di due leoni. Quest’animale l’ho mutuato dallo stemma sociale del club (a sua volta derivato da quello cittadino) che vede stagliarsi, sopra uno scudo, la figura d’un leone rampante (in araldica: emblema di forza, coraggio e nobiltà). Nello spazio sovrastante i leoni e nell’incavo tra il pallone e le fronti degli stessi, ho inserito la dicitura POTENZA CALCIO, mentre nella parte bassa, nel rimanente incavo tra il pallone e le fluenti criniere delle due fiere, ho invece inserito l’anno di fondazione del club (e non importa se le varie società rossoblu che si sono avvicendate nel corso degli anni siano fallite e abbiano sovente re-iniziato tutto da capo… la data di fondazione – come pure il nome del club – appartengono per sempre alla tifoseria e i tifosi ne sono i veri e indiscussi detentori). Il pallone l’ho lasciato nella sua colorazione naturale, mentre i leoni (fatta eccezione per le rosse lingue e i denti bianchi) e le scritte, bordati di nero, sono in un giallo oro, carico e acceso, che ben contrasta col fondo sottostante. Due sottili righe nel medesimo colore corrono in orizzontale nelle parti superiore e inferiore del disegno, conferendo quel tocco casual che non guasta mai e che, spezzando, dona eleganza e compiutezza. Immaginerei questa grafica come una bandiera di medie dimensioni, ma lo vedrei bene anche come drappo o adesivo.

Gradoni e bastoni Napoli: Grafica dedicata al tifo napoletano e in particolare alla sua frangia, per così dire, più “estrema”. Dai primi Anni ’90 in poi, il tifo per gli azzurri partenopei ha intrapreso una strada decisamente più Ultras e di più radicata mentalità rispetto a un passato che aveva sì visto grandi gruppi di massa che nel bene e nel male avevano scritto pagine importanti del tifo italiano – leggi: Commandò Ultrà Curva B – però rimanevano comunque legate a una cifra di sostegno più scanzonata e folkloristica. Con l’avvento di gruppi quali i Mastiffs o la Masseria Cardone (solo per citare due tra i più celebri) il tifo per il Ciuccio invertì la propria polarità passando dalla Curva B alla A (seppur nella vecchia e storica side di Fuorigrotta rimasero importanti e antiche forme di tifo comunque in sintonia con la “nuova” entità dirimpettaia).

Senza tanti giri di parole: nel corso dei decenni e fino a oggi – con due Curve ormai in piena sintonia e assai simili tra loro – il tifo per il Napoli è diventato sempre più “serio”, ai limiti del fanatismo e i suoi tanti gruppi, più o meno grandi, si sono imposti oltre che per un sostegno come sempre (per tradizione) travolgente e appassionato, anche e soprattutto per un atteggiamento marcatamente spavaldo che ha spesso condotto i ragazzi napoletani a scontrarsi con le altre tifoserie. Una fama e una reputazione maturate e conquistate sul campo e che fanno della tifoseria azzurra una delle più importanti, influenti, imitate, temute e rispettate, da amici e nemici, al netto dei soliti teatrini cosiddetti (dalla stampa più sensazionalista e superficiale) razzisti che si scatenano ogni domenica nei veri stadi dov’è di scena la truppa di mister Sarri e che appaino politicamente scorretti a chi non abbia un minimo di conoscenza delle dinamiche e dei codici Ultras.

Quindi questo mio nuovo disegno è improntato proprio su quella strada. Gradoni e bastoni, una frase che mi pare perfetta per racchiudere questa doppia anima dell’attuale tifo partenopeo (che poi, francamente, potrebbe essere estesa a decine di tifoserie italiane che hanno la stessa attitudine e il medesimo “sentire” di quella napoletana), dove i “gradoni” rappresentano la più classica cultura da stadio da vivere quasi esclusivamente sulle gradinate (amiche e nemiche) e dove i “bastoni” simboleggiano (materialmente e idealmente) tutto ciò che ruota intorno all’ingenua partita di Calcio e che per un gruppo Ultras si traduce nel misurarsi (oltre che col tifo, talvolta anche con le mani) coi nemici, nella difesa del proprio territorio e nella ricerca dello scontro che può tramutarsi in onore o disonore, a seconda delle “vittorie” o degli avversi rovesci del destino.

In posizione centrale ho posto lo scudo sociale del Napoli – tra i più semplici e minimali del nostro Calcio – contornato da quell’alloro ch’è emblema di prestigio e vittoria. In alto e in basso le parole formanti la frase di cui sopra. Il tutto (alloro, scritte e parte del logo) è in bianco, mentre lo sfondo è blu (colore, più che caro, quasi esclusivo per la tifoserie in questione). Una cornice pure bianca racchiude tutti gli elementi di cui poc’anzi. Il tutto sembra quasi una “pezza” che è a sua volta poggiata su un’altra leggermente più grande ma proporzionalmente simile alla sovrastante, recante in obliquo i colori della nostra bandiera nazionale. Più che la rappresentazione di un’attitudine nazionalista da parte del movimento Ultras napoletano (che magari pure c’è stata, specialmente in una fase iniziale, ma che oggi pare esser stata quasi totalmente accantonata) il mio voler inserire il nostro tricolore è un fatto squisitamente stilistico, per dare una maggiore “luce” al disegno che in modo tale ne acquista in dinamismo; e, concettualmente, anche per ricordare a tutti – se mai ve ne fosse bisogno – che Napoli (pur con tutte le sue molteplici contraddizioni) resta uno dei simboli del nostro Paese, conosciuta e rinomata in tutto il mondo per la propria bellezza e unicità.

Luca “Baffo” Gigli.

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LE PUNTATE PRECEDENTI
One Step Beyond #1: Terni, Caserta, Samb, Lamezia, Milan, Parma, Lazio, Udine;
One Step Beyond #2: Palermo, Udine, Catania, Fiorentina, Pescara;
One Step Beyond #3: Verona, Roma, Milan, Inter;
One Step Beyond #4: Brescia, Napoli, Lazio, Palermo;
One Step Beyond #5: Livorno, Lazio, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #6: Lazio, Savona, Cavese, Manfredonia;
One Step Beyond #7: Crotone, Pescara, Catania, Napoli.
One Step Beyond #8: Roma, Lazio, Palermo, Milan;
One Step Beyond #9: Spezia, Arezzo, Virtus Roma, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #10: Lazio, Genoa, Napoli, Roma, Palermo.
One Step Beyond #11: Viterbo, Torino, Savona, Napoli;
One Step Beyond #12: Torino, Castel di Sangro, Livorno, Lazio;
One Step Beyond #13: Hertha BSC, Ancona, Napoli, Roma, Samp;
One Step Beyond #14: Inter, Alessandria, Samb, Roma.
One Step Beyond #15: Lecce, Bari, Cavese, Genoa;
One Step Beyond #16: Campobasso, Napoli, Lazio, Carpi;
One Step Beyond #17: Juve Stabia, Palermo, Perugia, Livorno, Cagliari;
One Step Beyond #18: Taranto, Avellino, Lucca, Cavese;
One Step Beyond #19: Cosenza, Catanzaro, Atalanta, Samp;
One Step Beyond #20: Salerno, Ideale Bari, Campobasso, Napoli;
One Step Beyond #21: Civitanova, Frosinone, Padova, Roma, Lazio;
One Step Beyond #22: Isernia, Padova, Genoa, Como;
One Step Beyond #23: Lazio, VeneziaMestre, Napoli, Gallipoli, Manfredonia;
One Step Beyond #24: Napoli, Vicenza, Milan, Inter, Fiorentina;
One Step Beyond #25: Isernia, Venezia Mestre, Inter, Manchester City;
One Step Beyond #26: Palermo, Paganese, Cavese, Novara, Nocerina, Newcastle;
One Step Beyond #27: Ideale Bari, Isernia, Matera, Manfredonia;
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One Step Beyond #29: Verona, Lucchese, Napoli, Cavese, Lazio;
One Step Beyond #30: Crotone, Foggia, Genoa, Salernitana, Cagliari;
One Step Beyond #31: Fermana, Roma, Lazio, Terracina, Fiorentina;
One Step Beyond #32: Roma, Modena, Foggia, Campobasso, Inter;
One Step Beyond #33: Nocera, Cavese, Verona, Bari, Lazio;
One Step Beyond #34: Lodigiani, Benevento, Samb, Milan, Napoli;
One Step Beyond #35: Roma, Vicenza, Cosenza, Castel di Sangro, Cremonese;
One Step Beyond #36: Isernia, Lazio, Roma, Torino;
One Step Beyond #37: Cavese, Palermo, Catania, Lazio, Atalanta, Arezzo;
One Step Beyond #38: Verona, Piacenza, Genoa, Sampdoria, Campobasso, Nocerina, Vis Pesaro;
One Step Beyond #39: Cesena, Verona, Aberdeen FC, Udinese, Pisa, L’Aquila;
One Step Beyond #40: Spezia, Livorno, Chieti, Lazio, Avellino, Inter;