Ultrà Lecce: Disegno dedicato al tifo per il Lecce, squadra del profondo Sud rappresentativa d’un’intera zona, il Salento, e relativo popolo di cui abbiamo già avuto modo di parlare in una vecchia puntata di One Step Beyond (#15).

Un Lecce che quest’anno è finalmente tornato in Serie B dopo vari tentativi andati a vuoto, una categoria certamente più degna d’una piazza che ha sempre espresso numeri importanti, talvolta imponenti.

Protagonista di questa grafica giallorossa è il personaggio di Andy Capp, col tempo divenuto universale icona del mondo Ultras italiano (e non solo). Il suo uso su vasta scala da nord a sud, lo ha reso un personaggio fin troppo inflazionato e tifoserie grandi e piccole l’hanno eletto a propria bandiera. Anch’io, più di qualche volta l’ho utilizzato per i miei disegni (pubblicati e non) e seppur tenda, in linea di principio, a sperimentare strade diverse dai soliti e risaputi cliché, talvolta, fatalmente, m’imbatto nel vecchio buon Andy rimanendone anch’io “fregato”.

La storia editoriale di Andy Capp è una delle più sensazionali e felici del fumetto satirico mondiale. Partito inizialmente come vignette autoconclusive e ben presto passato al formato a striscia a quattro, il personaggio in questione – ch’è una “rilettura” allegorica in chiave ironica e sarcastica della società proletaria inglese degli Anni ’50 – è il frutto mentale del genio del disegnatore e autore inglese Reg Smythe (scomparso vent’anni fa) che dopo aver servito la Corona di Sua Maestà nell’esercito inglese durante la Seconda Guerra Mondiale, si dedicò, nel tempo libero, all’arte del fumetto che ben presto divenne la sua vera e unica professione.

Andy Capp fece la propria comparsa, su un quotidiano distribuito nel nord dell’Inghilterra, nel 1957 e rappresenta un vero e proprio “caso” editoriale: diffuso in tutto il mondo, tradotto in 17 lingue, pare che abbia raggiunto gli oltre 250.000.000 di lettori!… In Italia approdò per la prima volta nel 1960 grazie alla storica e mitica rivista La settimana enigmistica che pubblicava – e credo lo faccia ancora – le sue strisce sotto il titolo: Le vicende di Carlo e Alice.

Nell’indole burbera e attaccabrighe di Andy, nel suo congenito ribellismo alle regole, nell’uso smodato di alcool e nell’amore per il football praticato senza troppi riguardi, con annesse risse in barba a qualsiasi fair-play, molti ragazzi delle nostre Curve – com’era inevitabile – hanno visto, nel personaggio partorito dalla matita di Smythe, una “naturale” icona su carta e a livello simbolico del mondo Ultras (condita con una spiccata dose d’ironia) e lo hanno adottato a propria mascotte.

Ultras Messina: Da tempo immemore avevo intenzione di fare un disegno per la tifoseria del Messina, una delle “grandi” che mancavano al mio personale “appello”.

Società calcistica storica del Sud Italia – che nel corso dei decenni ha più volte cambiato denominazione – il Messina è un club tra i più antichi del nostro Paese: si fa risalire infatti al 1900 la nascita del primo sodalizio peloritano.

Nella sua ultra-centenaria storia, il club giallorosso siciliano ha disputato – oltre a decine di tornei di Serie C – ben 32 campionati di Serie B e 5 di Serie A (2 nei primi Anni ’60 , i rimanenti 3 nei primi 2000).

Straordinario il suo pubblico, tra i più caldi e focosi dello Stivale. Data l’età, ho la fortuna di ricordare il vecchio Messina degli Anni ’80, quando tra le fila giallorosse militò il grande bomber palermitano Totò Schillaci – che tutta l’Italia avrebbe imparato ad amare nelle indimenticate notti magiche del Mondiale nostrano del 1990 – che prima di approdare sul più grande palcoscenico del Calcio italiano (la Serie A con la maglia della Juventus) disputò sette campionati (tra Serie B e C) nel Messina, divenendone uno dei marcatori più prolifici nonché una delle indiscusse bandiere, totalizzando l’invidiabile score di 77 reti.

Anni davvero magici per il Messina, quando il vecchio impianto sito nel quartiere Gazzi, il Giovanni Celeste, si riempiva come un uovo fino al limite delle 30.000 presenze. Impianto d’un fascino vintage davvero impareggiabile, in mezzo ai palazzi e alle strade della zona Sud della popolosa città siciliana. Un impianto che ha fatto la storia di Messina ed è stato l’indiscusso protagonista delle domeniche cittadine per circa settant’anni: un catino ribollente entusiasmo, in stile sudamericano, un’autentica bombonera spauracchio dei nemici. Credo che il vecchio Celeste rappresenti una delle pagine più poetiche ed emblematiche del Calcio italiano meridionale che fu e del tifo da stadio.

Anche nel nuovo mastodontico impianto, sito nell’omonimo quartiere, il San Filippo – la cui costruzione si rese necessaria per venire incontro alle esigenze d’un popolo sportivo sempre più numeroso – la passione dei supporters giallorossi non è mai venuta meno, seppur quell’atmosfera che si respirava, per forza di cose, nel vecchio Celeste, sia impossibile da replicare.

Comunque sia: nei fine Anni ’80, nei ’90 e nei 2000 (quindi per circa un quarto di secolo e a cavallo dei due stadi di cui sopra) la tifoseria messinese è stata, a mio avviso, una delle migliori in Italia. Numeri importanti in trasferta (anche grazie ai tanti tifosi peloritani sparsi in giro per la Penisola causa lavoro o studio), semplicemente stratosferici in casa. Negli anni d’oro delle riviste di tifo specializzate (precedenti l’avvento di internet) ricordo che rimanevo praticamente basito quando vedevo le immagini dei messinesi, dei loro numeri e delle loro performances. Una squadra, il Messina, che manca dalla Serie B da dieci anni e che vedere relegata in categorie come l’attuale Serie D è veramente penoso e mortificante per i suoi tanti tifosi. Al di là d’ogni retorica e frase fatta o di circostanza: Messina non può fare queste categorie; non lo merita la città, non lo merita la sua storia sportiva, non lo merita il suo grandissimo pubblico e i suoi Ultras che hanno scritto pagine bellissime della storia del tifo italiano.

Cosenza Calcio: Grafica dal formato inusuale dedicata al Calcio cosentino (della cui storia abbiamo abbondantemente trattato in One Step Beyond #19) finalmente tornato in serie cadetta proprio quest’anno, al termine d’un esaltante cammino in Serie C/Lega Pro che ha visto l’undici rossoblu partire dalle retrovie, scalare pian piano la classifica per poi accedere ai play-off. Conseguente fase a spareggi che ha visto il Cosenza trionfare, avendo ragione dapprima di super-corazzate che avevano a lungo dominato in campionato (Sambenedettese e Trapani) e infine piegando in finale unica a Pescara il forte Siena (che a detta di molti esperti aveva mostrato per l’intero torneo 2017-18 il più bel Calcio dell’intera Terza Serie).

Questo disegno ha come tema centrale il lupo. Storico simbolo del Cosenza Calcio, quest’animale è stato mutuato dall’Altopiano Silano (che si estende per oltre 150.000 ettari in una vasta zona della Calabria) di cui appunto il lupo della Sila ne è l’universale icona. Icona declinata nei più svariati modi sia dal club che dalla tifoseria cosentina che lo ha sempre riprodotto su striscioni, drappi e materiale vario. Anche la mia è una caratterizzazione molto classica di quest’animale, in una variante gialla che fa pendant con le scritte e la cornice e restituisce un forte sapore (non a caso) Anni ’80 (come l’omonimo gruppo della Tribuna A, vedi One Step Beyond #35 e che rappresenta un po’ la “nuova frontiera” del tifo cosentino).

Casertana FC: Società calcistica storica del Sud Italia, fondata nel 1908, la Casertana è uno dei club più antichi della Campania. Nella sua storia ultra-centenaria, ha disputato – oltre a 40 campionati di Terza Serie (tra vecchia e nuova Serie C, vecchie C1 e C2 e Lega Pro Prima e Seconda Divisione) – anche due tornei di Serie B. La prima volta nel 1970-71, campionato conquistato l’anno precedente (centrando il primo posto in Serie C unica) ma malamente perso classificandosi al penultimo posto. La seconda volta nel 1991-92, campionato conquistato l’anno prima, insieme al Palermo, sempre centrando il primo posto in Serie C1. Anche in questa seconda occasione, i campani non riuscirono a mantenere la categoria, pur disputando un buon torneo ricco d’entusiasmo e pubblico, piazzandosi al terz’ultimo posto a pari merito con altri 4 club e che necessitò dello spareggio-salvezza contro il Taranto, disputato in gara unica al Del Duca di Ascoli e perso dalla Casertana 1-2 dopo i tempi supplementari e davanti a migliaia di tifosi giunti dalla Campania.

Dal 1993 (anno del fallimento) al 2013, quindi per vent’anni, la Casertana ha conosciuto il periodo più buio della sua storia con tanta, tantissima Serie D e addirittura qualche torneo regionale, mettendo in evidenza ancora una volta tutte le falle di questo maledetto Calcio moderno che mortifica la passione dei tifosi in nome del dio denaro e che vede sempre le tifoserie stesse (e gli Ultras in particolare) pagare il prezzo più alto a causa di presidenti lestofanti e gestioni societarie a dir poco approssimative, quando non del tutto truffaldine.

E quella passione che animava i tifosi e gli Ultras rossoblu casertani (con una tradizione ricca di gruppi e sigle: i Fedayn Bronx su tutti) ai tempi della gloriosa C1 e nei due tornei di Serie B (ricordo il Pinto degli anni d’oro, con gente incoscientemente arrampicata a metri d’altezza e seduta sul muro di recinzione dello stadio in foto spettacolari e sintomatiche di quali livelli di temperatura avesse raggiunto la febbre Calcio a Caserta), non è mai venuta meno – anzi – anche nei tornei di Quarta Serie dove la città intera s’è spesso stretta intorno al proprio club esprimendo numeri di assoluto risalto se confrontati con le misere categorie e con la tradizione d’una Casertana abituata a tutt’altri palcoscenici e che certamente non meritava tanti anni di umiliazioni in campionati troppo miseri per il suo nome e pubblico.

Da qualche anno il sodalizio rossoblu è tornato in Serie C, categoria che – per potenziale, bacino d’utenza, tradizione e blasone – mi sembra il livello minimo in cui veder giocare i falchetti rossoblu.

Proprio a quest’animale, il falco, simbolo della squadra sin dagli Anni ’50 (pare grazie a un concorso indetto da un giornale locale che scelse il disegno di quest’animale in mezzo a tante altre proposte) è dedicata questa mia grafica insolita nel formato e per certi versi “nuova”, ma con un forte debito nei confronti del passato.

S.S. Calcio Napoli 1926: Grafica d’ispirazione sportiva più che Ultras, che potrebbe far mostra di sé – in forma di bandierina – anche su una delle tante bancarelle attigue allo stadio San Paolo che domenicalmente fanno da pittoresco e allegro corollario alle partite degli azzurri partenopei.

Protagonista di questo insolito disegno è il famigerato ciuccio napoletano, qui declinato – la sola testa – secondo una posa ragliante e invasata (con tanto di pupille ribaltate). Il ciuccio, universale simbolo della Napoli calcistica (Figurine Panini docet), in realtà, quando fu posto in essere la prima volta, era un cavallo rampante (simile, nella posa, non nei colori) a quello della scuderia automobilistica Ferrari. Col trascorrere degli anni e “grazie” ai risultati sempre più negativi della compagine azzurra (che se oggi può fregiarsi d’essere uno dei club italiani più prestigiosi, in anni remoti non se la passava altrettanto bene), molti dei suoi stessi tifosi cominciarono a dire che il Napoli, più che un cavallo, sembrava un asino, un “ciuccio” appunto (nell’accezione dialettale più irridente e negativa, per un popolo che ha fatto dell’ironia una delle armi con cui affrontare i mille problemi d’una città travagliata e bellissima insieme).

Però, come spesso accade nel mondo del Calcio, gli epiteti creati per sbeffeggiare una tifoseria (anche se, in questo caso, erano stati gli stessi tifosi napoletani ad auto-affibbiarsi l’espressione) divengono poi elementi usati e addirittura rivendicati dalla tifoseria cui sono destinati. Così il ciuccio entrò a far parte della simbologia del club di Fuorigrotta, tanto che nella stagione 1982-83 comparve anche – in forma stilizzata: una testa d’asino sulla sommità d’una lettera “N” – sulle casacche di gioco. Oggi, in un’epoca di forsennata ricerca grafica che spesso mortifica la parte più easy della tradizione d’ogni squadra, giudicandola cinicamente “fuori mercato”, il simpatico animale è scomparso dai simboli “ufficiali”, ma continua a essere comunque usato dalla tifoseria, soprattutto dalle frange più popolari e meno Ultras (che, di contro, fanno spesso riferimento a simboli decisamente più aggressivi e accattivanti).

A chiudere il “cerchio”, anziché il classico pallone da Calcio a spicchi o quello retrò, ho posto il famoso soccerball della Champions League (di cui ne è anche il simbolo), senz’altro inviso alla parte più Ultras della tifoseria che lo identifica senza mezzi termini col cosiddetto Calcio moderno, ma che nello specifico vuol sottolineare la ormai acquisita appartenenza del Napoli Calcio alla elite del football nazionale e internazionale, per un sodalizio che da qualche anno accede stabilmente alla fase a gironi del nostro trofeo continentale per club più ambito e importante.

Genoa CFC: Nuovo disegno dedicato al tifo per il Genoa, il club più antico d’Italia (nato infatti nel 1893) e che per storia, tradizione e aneddotica è senza dubbio uno dei più affascinanti. Una città magica, Genova, che vive di e per il Calcio che qui, come e più di altrove, non è solo uno sport ma una ragione di vita. Città che dà luogo, due volte all’anno (quando uno dei due club non cade in disgrazia, ruzzolando in Serie B) al derby più affascinante del nostro Paese (a pari merito, secondo chi scrive, con quello capitolino): quello cosiddetto della Lanterna tra Genoa e Sampdoria.

Quando si va a realizzare un disegno per il Genoa, credo sia impossibile prescindere dai suoi simboli tradizionali che si legano indissolubilmente alla vita della città e alla sua importante e millenaria storia. Così è stato anche questa volta dove ho voluto inserire i due elementi più classici del tifo per i rossoblu: il grifone e la bandiera crociata genovese.

Il grifone, animale mitologico (metà aquila e metà leone) è l’indiscusso e universale simbolo del Genoa CFC. Riprodotto sugli stemmi sociali che nel tempo si sono susseguiti cuciti sulle maglie a quarti rossoblu, il grifone è indistintamente raffigurato in molteplici pose su tutto il materiale del tifo genoano e ha dato anche il nome a uno dei gruppi Ultras più importanti al seguito del Vecchio Balordo: l’indimenticata Fossa dei Grifoni, che per vent’anni ha guidato le danze in Gradinata Nord. In araldica, il grifone è simbolo di ferocia congiunta a prontezza e diligenza, oltre che di vigilanza guerriera. Pare che il suo uso per rappresentare la città ligure – che nello stemma cittadino lo vede doppio e simmetrico a guardia dello scudo crociato – sia stato introdotto a partire dall’anno 1139, quando ai genovesi fu consentito di coniar moneta e il grifone (oltre a tutti i significati di cui sopra) è ritenuto animale fantastico per antonomasia posto a guardia delle ricchezze.

L’altro elemento presente in questa grafica – qui posto come una bandiera su cui idealmente è adagiato il disegno vero e proprio – è la cosiddetta Croce di San Giorgio. Antico simbolo di cristianità (uno dei suoi utilizzi più conosciuti e leggendari è quello che ne fecero i Crociati impegnati nella liberazione del Santo Sepolcroin hoc signo vinces!) fu adottato da Genova e dalla sua Repubblica Marinara (che insieme a quella di Venezia fu la più potente e formidabile del mondo) e da quel momento la famosa bandiera bianca con croce rossa sventolò su tutti i mari in cui i genovesi portarono le proprie navi e fino agli angoli più reconditi del mondo allora conosciuto.

Una curiosità che forse non tutti sanno: la bandiera inglese, del tutto simile a quella genovese di cui è una spudorata copia, non è frutto d’una coincidenza: infatti nel 1190, l’Inghilterra chiese e ottenne dalla Repubblica di Genova (che all’epoca incuteva una fortissima soggezione in tutto il mondo ed era altamente rispettata al pari delle super-potenze nucleari odierne) la possibilità di issare, sulle proprie navi, la Croce di San Giorgio come protezione dalle incursioni dei pirati che infestavano le acque del Mar Mediterraneo e del Mar Nero. Dopo d’allora la croce rossa in campo bianco è divenuto universale simbolo inglese e britannico… ma si sappia che la sua reale primogenitura è, in tutto e per tutto, genovese.

Luca “Baffo” Gigli.

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LE PUNTATE PRECEDENTI
One Step Beyond #1: Terni, Caserta, Samb, Lamezia, Milan, Parma, Lazio, Udine;
One Step Beyond #2: Palermo, Udine, Catania, Fiorentina, Pescara;
One Step Beyond #3: Verona, Roma, Milan, Inter;
One Step Beyond #4: Brescia, Napoli, Lazio, Palermo;
One Step Beyond #5: Livorno, Lazio, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #6: Lazio, Savona, Cavese, Manfredonia;
One Step Beyond #7: Crotone, Pescara, Catania, Napoli.
One Step Beyond #8: Roma, Lazio, Palermo, Milan;
One Step Beyond #9: Spezia, Arezzo, Virtus Roma, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #10: Lazio, Genoa, Napoli, Roma, Palermo.
One Step Beyond #11: Viterbo, Torino, Savona, Napoli;
One Step Beyond #12: Torino, Castel di Sangro, Livorno, Lazio;
One Step Beyond #13: Hertha BSC, Ancona, Napoli, Roma, Samp;
One Step Beyond #14: Inter, Alessandria, Samb, Roma.
One Step Beyond #15: Lecce, Bari, Cavese, Genoa;
One Step Beyond #16: Campobasso, Napoli, Lazio, Carpi;
One Step Beyond #17: Juve Stabia, Palermo, Perugia, Livorno, Cagliari;
One Step Beyond #18: Taranto, Avellino, Lucca, Cavese;
One Step Beyond #19: Cosenza, Catanzaro, Atalanta, Samp;
One Step Beyond #20: Salerno, Ideale Bari, Campobasso, Napoli;
One Step Beyond #21: Civitanova, Frosinone, Padova, Roma, Lazio;
One Step Beyond #22: Isernia, Padova, Genoa, Como;
One Step Beyond #23: Lazio, VeneziaMestre, Napoli, Gallipoli, Manfredonia;
One Step Beyond #24: Napoli, Vicenza, Milan, Inter, Fiorentina;
One Step Beyond #25: Isernia, Venezia Mestre, Inter, Manchester City;
One Step Beyond #26: Palermo, Paganese, Cavese, Novara, Nocerina, Newcastle;
One Step Beyond #27: Ideale Bari, Isernia, Matera, Manfredonia;
One Step Beyond #28: Lazio, Livorno, Ascoli, Pescara;
One Step Beyond #29: Verona, Lucchese, Napoli, Cavese, Lazio;
One Step Beyond #30: Crotone, Foggia, Genoa, Salernitana, Cagliari;
One Step Beyond #31: Fermana, Roma, Lazio, Terracina, Fiorentina;
One Step Beyond #32: Roma, Modena, Foggia, Campobasso, Inter;
One Step Beyond #33: Nocera, Cavese, Verona, Bari, Lazio;
One Step Beyond #34: Lodigiani, Benevento, Samb, Milan, Napoli;
One Step Beyond #35: Roma, Vicenza, Cosenza, Castel di Sangro, Cremonese;
One Step Beyond #36: Isernia, Lazio, Roma, Torino;
One Step Beyond #37: Cavese, Palermo, Catania, Lazio, Atalanta, Arezzo;
One Step Beyond #38: Verona, Piacenza, Genoa, Sampdoria, Campobasso, Nocerina, Vis Pesaro;
One Step Beyond #39: Cesena, Verona, Aberdeen FC, Udinese, Pisa, L’Aquila;
One Step Beyond #40: Spezia, Livorno, Chieti, Lazio, Avellino, Inter;
One Step Beyond #41: Teramo, Giulianova, Monza, Roma, Potenza, Napoli;
One Step Beyond #42: Lazio, Taranto, Bologna, Terracina, Monopoli;
One Step Beyond #43: Bari, Roma, Ascoli, Reggina, Trani;
One Step Beyond #44: Arezzo, Milan, Manfredonia, Campobasso;
One Step Beyond #45: Latina, Casarano, Frosinone, Isernia, Spal;
One Step Beyond #46: Sciacca, Ideale Bari, Torre del Greco, Brescia, Inter;