C’è una tipologia di partite che ancora riesce ad affascinarmi profondamente. Forse perché racchiudono il fulcro di cosa sia nel nostro Paese il calcio e di quanto esso riesca ancora, almeno a volte, a rappresentarne alla perfezione – se non all’ennesima potenza – vizi e virtù. Sto parlando delle sfide nord/sud, quelle dove stereotipi, antipatie, cori politicamente scorretti e scambi d’invettive sono parte integrante del menu, se non le portate principali.
Ecco perché la sfida dell’Euganeo attira la mia attenzione, malgrado il giorno infrasettimanale e malgrado l’impianto patavino non rientri certo tra i miei preferiti. Ma del resto sono in buona compagnia, considerata la lunga battaglia condotta dai tifosi veneti in questi anni, culminata con la diserzione dello scorso anno e il rientro avvenuto da poche settimane, seppure con la pretesa di condizioni chiare e imprescindibili sull’apertura della “nuova” Curva Sud, che dovrebbe avvenire nel febbraio del prossimo anno. Considerato lo storico di questa vicenda, utilizzare il condizionale è a dir poco d’uopo.
Ritorno a Padova dopo la turbolenta sfida con il Catania di due stagioni fa. Una delle serate più “pirotecniche” degli ultimi anni, che ha per forza di cose prodotto un ampio – e a volte fuori luogo – dibattito interno al movimento, nonché grandi spunti di riflessione su ambo i fronti. Ribadendo quanto detto allora – cioè che per quanto mi riguarda il valore delle due piazze rimane invariato e che è sin troppo facile giudicare dalle comode poltrone di casa – penso sia anche giusto notare come all’interno della tifoseria patavina, quei fatti abbiano per certi versi dato l’opportunità di migliorarsi e migliorare un discorso di curva che – già da qualche anno – stava evidenziando un’importante spinta propulsiva grazie all’ottimo ricambio generazionale a disposizione.
Per la gara in oggetto sono stati venduti circa novemila biglietti, vale a dire quasi il massimo della capienza consentita dalla precaria agibilità dell’Euganeo. Numeri importanti, che con un impianto “normale” sarebbero anche superiori e che mettono in evidenza la voglia di calcio nella città di Sant’Antonio. Ma soprattutto la voglia di non vedersi più invischiati nella penuria e nella mestizia del Girone A di Serie C, un raggruppamento che, non me ne voglia nessuno, esula dagli altri due per la scarsa competitività sugli spalti e il grigiore tecnico e ambientale che generalmente lo ammanta. Il biancoscudo ha riconquistato la cadetteria e il suo popolo non vuol salutarla frettolosamente, come avvenuto l’ultima volta. Un popolo che nell’ultima stagione di C si è forgiato ulteriormente grazie alla questione stadio, che ne ha ingrandito le fila in trasferta andando ancor più a forgiare il senso di appartenenza che ora sembra unire fortemente ultras e tifosi “semplici”. Penso di poter dire che il merito di questo percorso sia proprio del tifo organizzato e del suo modus operandi, incentrato, negli ultimi anni, ad aprirsi in modo sano e costruttivo a tutta la comunità, mettendo avanti a tutto il Calcio Padova, i suoi colori e il senso di appartenenza radicato tra città e tifo.
Come detto la sfida di stasera mette di fronte due tifoserie divise dalla classica rivalità tra nord e sud, probabilmente la più canonica della nostra Penisola e anche quella da cui generalmente nascono gli sfottò più cinici e fantasiosi. Per il settore ospiti sono stati venduti 931 biglietti, numero di tutto rispetto se si considera l’infrasettimanale. Se è vero, come è vero, che quando si parla di trasferte settentrionali per le tifoserie del Sud, bisogna sempre tener conto del folto numero di emigrati “facilitati” nel raggiungere il settore ospiti, nel caso degli irpini vanno anche specificate due cose: dal capoluogo partiranno circa duecento ultras – che considerati i 1.500 km a/r in giorni lavorativi non sono affatto un numero irrisorio – e, comunque, anche i “fuori sede” sembrano partecipare attivamente e in modo convinto alle movenze e agli ordini impartiti dal tifo organizzato. Che poi la differenza sta tutta là: la qualità. Spesso è meglio un settore scarno numericamente ma compatto e granitico nel cantare, piuttosto che un esodo in cui, alla fine, a tirare le redini del tifo sono un centinaio scarso di persone. E pure qua la differenza non può che farla la “testa”, ossia chi detta la linea e coordina i presenti.
Poco prima delle 20:45 le curve cominciano a far sentire le proprie voci, scambiandosi il benvenuto e riscaldando l’ambiente al rientro negli spogliatoi delle rispettive squadre, dopo la fase di riscaldamento. Le note di “Ma quando torno a Padova” che si levano al cielo, annunciano l’inizio delle ostilità, accompagnate dal muro di sciarpe biancorosse degli ultras patavini, uno dei pezzi forti della tifoseria veneta, sempre ben riuscita e fitta. In questi anni ho sempre voluto evidenziare quanto le nuove generazioni biancorosse abbiano forse dato più spinta all’aspetto canoro e del sostegno rispetto al passato, dove senza dubbio la tifoseria aveva – ma ce l’ha tutt’oggi – un’immagine scorbutica, tosta e ruvida, che spesso però finiva col mettere in subordine l’aspetto del tifo. Si nota palesemente, oggi, quanto si è voluto lavorare e quanto ancora si stia lavorando su ciò e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non solo per gli importanti numeri portati lontano da casa, ma anche e soprattutto per il tifo, che pure stasera è davvero di ottima fattura: tante manate, cori a rispondere, stendardi e bandiere sempre in alto e una bella intensità, che in un paio di occasioni riesce a coinvolgere anche la tribuna. Molto bravi i ragazzi con i megafoni a disporsi nel mezza e nella parte bassa del settore, riuscendo così a far partecipare tutti i presenti. Qualche fumogeno viene acceso in occasione dei gol che portano provvisoriamente i biancoscudati sul 2-0.
Repetita juvant: in un impianto del genere tutto assume una difficoltà doppia. Spalti e struttura anti-tifo, con un’acustica pessima e la copertura dove è posizionato il tifo organizzato che praticamente non assurge minimamente al compito che in altre parti la rende d’aiuto per gli ultras: il rimbombo, la propagazione del suono. Del resto lo stendardo che paragona questo stadio a un elemento poco piacevole e generalmente maleodorante, coglie perfettamente nel segno! E siccome ripetere un concetto giova, penso che tutta la comunità calcistica padovana posso solo rendere grazie ai suoi ultras, sia per i lavoro fatto all’interno delle gradinate, sia (soprattutto) per ciò che in questi anni è stato lentamente radicato in una città che come nessun’altra ha sofferto mortalmente il passaggio dal vecchio stadio a quello nuovo. Un luogo dove, fino a qualche anno fa, non era nemmeno possibile comprare una birra o un panino e dove l’apertura della “Favelas” e le connesse attività, tra cui il sempre riuscito “Appiani in Festa”, hanno fatto sì che il grigiore e il freddo, almeno in quei pochi metri quadri, venissero meno, riportando in alto il senso di aggregazione che muove qualsiasi tifoseria. Anzi, mi permetto di dire, qualsiasi aspetto che ruoti attorno a questo sport.
Capitolo ospiti: dopo essersi sistemati dietro lo striscione che ormai, da qualche anno, identifica la presenza irpina lontana dal Partenio, i biancoverdi si compattano srotolando bandieroni e due aste, cominciando a sostenere il Lupo con una voce sola: forte e compatta. Malgrado la partenza degli uomini di Biancolino sia traumatica, gli avellinesi sembrano non soffrirne più di tanto e, con un’ottima intensità nei cori e nei battimani, spingono la propria squadra che, prima dell’intervallo, riesce a riequilibrare le sorti del match sul 2-2 (che sarà anche il risultato finale). Cosa possono avere in comune due tifoserie – quella campana e quella veneta – così diverse e distanti, sia da un punto di vista geografico che culturale? La gioventù, mi permetto di dire. Anche tra le fila irpine, infatti, da qualche anno il ricambio generazionale è stato cospicuo, fragoroso e fondamentale per dar linfa nuova a tutto il movimento cittadino. Un vero e proprio patrimonio forgiato negli anni della D e della C, chiamato a confermarsi e crescere ancora in una categoria che ha soprattutto il valore di metterti a confronto con grandi realtà italiane di ogni latitudine (salvo i vomitevoli divieti del caso).
Come detto, in campo le squadre si aggiudicano un punto ciascuna, chiudendo il match sul 2-2. Ci sono applausi per tutti, sebbene su fronte patavino i rimpianti per una vittoria che sembrava alla portata sul 2-0, sono chiaramente tanti. Dopo le ultime, vicendevoli, invettive, anche gli ultras cominciano a ritirare i propri striscioni e abbandonare le fredde gradinate. Un’aria che sembra carica di pioggia e umidità si è abbattuta nel frattempo su Padova e per me è il momento di riprendere la strada per Roma, in uno dei tanti viaggi che scandiscono la mia quotidianità. Mi lascio alle spalle un bel confronto che, per una volta, mi fa rivedere di buon occhio anche una Serie B che troppo spesso risulta fin troppo contigua alla impalpabile e plastificata categoria maggiore. Viene concesso poco al confronto, che è il sale del nostro mondo, ma quel poco ancora val la pena viverlo, perché i protagonisti sono ciò che molti di noi siamo stati e meritano tutta la considerazione e il rispetto possibile, essendo gli unici in grado di poter dare un futuro a un universo che molti nel sistema calcio vorrebbero declinare solo ed esclusivamente al passato!
Simone Meloni




































