Il cancro del calcio sono gli ultras, bisogna eliminarli per riportare le famiglie allo stadio, poi leggi come vengono accolte certe calcio-padovanotizie, quasi sepolte tra una dimissione di Conte e una trattativa di calciomercato, e capisci che deve esserci qualcosa di profondamente malato e sbagliato in questo calcio, così come nel giornalismo che ne è asservito. Qualcosa di riconducibile solo a sé e alla recalcitranza con cui rifiuta la cura, perché una cura in fondo non c’è, se il male è lui stesso e il suo irrimediabile vizio di eccessi nel quale si crogiola e a cui non vuol rinunciare.

Con grande rammarico dei propri tifosi, Siena e Padova falliscono. La morte sportiva del Siena era ormai annunciata da tempo, figlia della lunga agonia del polo bancario “Monte dei Paschi di Siena”, che ha affossato anche la gloriosa Mens Sana, compagine cittadina di pallacanestro. Si potrebbero spendere fiumi di inchiostro anche sulla dinastia Mezzaroma, da tempo usa a fare del calcio il volano del proprio tornaconto personale o, in alternativa, il paravento dei propri problemi politico-istituzionali. Meglio però glissare con eleganza, tanto il defunto non resuscita con la crocefissione del suo carnefice e per elaborare il lutto non vale alcuna vendetta, almeno non senza servirla come piatto freddo, come tradizione imporrebbe.

Per Padova l’epilogo è stato più immediato e forse per questo ancora più doloroso: passato dalle mani di Cestaro a quelle del contestatissimo Penocchio, la compagine biancoscudata è riuscita in pochissimo tempo a passare da sfiorare la Serie A ad arrendersi ad una retrocessione nell’ex Serie C mesta e senza appelli. Da qui alla mancata iscrizione in Lega Pro unica il passo è stato altrettanto breve quanto convulso, fatto di colpi di scena annunciati e mai materializzatisi.

L’inutile senno di poi dimostra che la Curva Fattori aveva ben più che ragione nel criticare aspramente la dirigenza societaria, all’inizio per sole questioni tecnico-organizzative che il tempo ha invece dimostrato fondarsi su ben altri problemi più strutturati e gravi. Quello che dispiace è che tale malcontento giustificatissimo è diventato pretesto, anche tra le righe del comunicato con cui sul sito del Calcio Padova si annunciava la mancata iscrizione, per scaricarsi facilmente la coscienza da colpe evidentissime. Un grande classico del calcio nostrano, quello di non riuscire a fare mai autocritica ed imparare dai propri errori affinché la storia non si ripeta nel futuro, gettando discredito verso gli altri e tenendosi libere le mani per le future malefatte. Paradossalmente sembra che la colpa sia sempre dei tifosi, ancor più degli ultras, a prescindere se si stia parlando di ordine pubblico o di manovre economiche del club, nel quale non hanno ovviamente mai avuto peso.

Restando al citato comunicato del Calcio Padova, non è ancora chiaro cosa riserverà il futuro. Da qualche parte si parlava di ripartire dalla D con il nome di San Paolo Padova, ma i dubbi sono legati proprio alle parole con cui l’attuale sodalizio ha annunciato la mancata iscrizione: “la società Calcio Padova, consapevole del suo nome glorioso, per salvaguardare il patrimonio del settore giovanile provvederà a far sì che tale patrimonio non vada disperso e pertanto, almeno per il momento, proseguirà l’attività sportiva concentrandosi sul settore giovanile”. Salvare il patrimonio del settore giovanile? Certo avrebbero potuto cominciare a farlo partendo dal salvare il patrimonio sportivo tutto. Non è piuttosto pura strategia per tenere in scacco nome e marchio, a scapito della comunità locale che da sempre ne è la prima proprietaria morale? Sarebbe l’ennesimo sfregio alla tifoseria, l’ennesima dimostrazione che qualcosa va cambiato sulla questione e un po’ tutti farebbero bene ad attivarsi e tutelarsi, come fatto a Lucca o Trieste, affinché il simbolo e il nome restino di sola appartenenza della sua stessa tifoseria, della sua stessa città, lasciandoli al massimo in comodato d’uso gratuito alle dirigenze che di volta in volta si avvicendano alla guida della squadra, giusto per evitare accuse di speculazione. Il concetto che un amore sportivo, un gioco possa essere passibile di fallimento è quantomeno bizzarro, per non dire grottesco: falliscono i manager e dovrebbero mandare in galera loro, specie in casi fraudolenti, non dovrebbero giammai fallire o essere sottoposti a sequestro giudiziario i nomi delle città che sono piuttosto parte lesa e andrebbero risarciti o tutelati.

Nonostante le grandissime criticità dell’ultimo periodo, invece, salve per il momento Brescia, Reggina, Varese e Grosseto, ma anche qui resta da capire se siamo di fronte a dei palliativi e ad una agonia imperitura o se davvero queste squadre potranno dirsi salve dai venti di crisi che spirano sul calcio, a tutti i livelli.

In Serie D, infine, la prima scadenza è il 18 luglio. Per ora hanno già rinunciato all’iscrizione  Chiavari Caperana, Mariano Keller, Trissino Valdagno e Castel Rigone. La Covisod esaminerà poi il 25 luglio gli eventuali ricorsi e si avrà un quadro più preciso e definitivo della situazione, ma la sensazione, allo stato attuale, è che anche nella massima serie del dilettantismo ci saranno parecchie defezioni, alcune delle quali potrebbero interessare persino nomi eccellenti dal passato glorioso.

Speriamo che le cose, in un modo o nell’altro, vadano per il verso giusto, non tanto per questi delinquenti prestati al calcio (quelli veri, non i tifosi che eccedono solo accecati – anche a torto se volete – dalla passione), quanto per gli stessi tifosi che alla fine sono quelli a cui tocca raccogliere i cocci di queste barbare distruzioni. Poi se si stancano e decidono di dire basta allo schifo che il calcio è diventato, la colpa è degli ultras: che bella faccia tosta…

Solidarietà a tutti, a prescindere da amicizie e rivalità, anche perché un rivale dovrebbe sempre far piacere affrontarlo sugli spalti e godere nel batterlo in campo e fuori, non vederlo morire, a maggior ragione che le infamie del calcio moderno sono una ruota che gira e sputare contro vento potrebbe essere molto pericoloso.

Matteo Falcone.