Arrivando a Padova con lauto anticipo sul fischio d’inizio posso permettermi un bel tour nel suo magnifico centro storico. Il capoluogo veneto è uno di quei posti che difficilmente riesce a stancare e, infatti, ogni volta che programmo una sortita all’Euganeo mi ritaglio del tempo per una camminata tra le sue bellezze. Non fa neanche troppo freddo e tra Piazza dei Signori, la Basilica di Sant’Antonio e il Prato della Valle mi chiedo insistentemente una cosa: come fa un posto così bello ad avere uno stadio così brutto, scomodo, freddo e anti-tifo? Misteri dell’edilizia speculativa italiana. Un vero e proprio controsenso che ci qualifica per ciò che siamo: un popolo dall’infinito buon gusto nelle sue radici, ma dall’incredibile sciatteria contemporanea!

Il bus numero 11 mi porta in pochi minuti alla fermata di via Montà, da dove con circa un quarto d’ora si arriva ai grandi parcheggi coperti dello stadio (altra cosa davvero inguardabile) e da lì a poco alla Favelas, spazio aggregativo creato dagli ultras padovani nonché unico punto di ristoro dove poter fare pre partita. Incredibile ma vero: l’unica cosa decente attorno a uno stadio pensato male e realizzato peggio l’hanno fatta i tanto vituperati tifosi organizzati. Che poi uno può anche sembrare ripetitivo o esagerato, ma davvero: mi spiegate come fa l’impianto di un capoluogo di provincia – la cui squadra ha disputato per anni in B, da tante stagioni milita in C ed in un passato non così remoto ha disputato anche la massima divisione – a non avere neanche una piazzola o un baretto dove la gente possa anche solo dissetarsi nelle giornate calde e prendere una birra durante tutto il campionato? Poi però guardi e riguardi quella che dovrebbe essere la nuova Curva Sud – che da mesi aspetta la fine dei lavori, attualmente interrotti – e ti dai gran parte delle risposte. Chi non conosce un minimo di calcio e di tifo, potrebbe tranquillamente pensare che Padova sia quanto di più distante dal pallone di cuoio e dalla passione esistente attorno a esso. Noi che “qualcosa” l’abbiamo vista e capita, ci possiamo limitare a dire che sembra quasi esser in atto un tentativo – ultradecennale – per farcela diventare!

In compenso ogni volta che vengo da queste parti rimango ben impressionato dal lavoro della Tribuna Fattori, che malgrado tutto aggrega eccome. Lo vedi dalla varietà di persone presenti, da quanti si interessano all’acquisto del materiale e da come si provi a tutti i costi a trasmettere calore e attitudine da stadio a una tifoseria letteralmente devastata dall’impiantistica cittadina. Pensate voi: questi sono passati dal vedere la sagome della Basilica di Sant’Antonio all’Appiani, a doversi trasferire in una tribuna scomoda e fredda per quanto la Sud dell’Euganeo era vergognosamente distante dal campo. Credo che neanche il peggiore dei nemici avrebbe riservato ai patavini tale, lunga, punizione. Patavini che, tuttavia, da popolo tutt’altro che molle e arrendevole, negli anni sono riusciti quantomeno a trasformare l’impervia tribuna del loro stadio in durezza d’animo e voglia perpetua di confronto. Penso di non dire nulla di esagerato affermando che magari la Fattori non sarà una di quelle curve che ti strappa gli occhi per il tifo, ma nel corso della storia ha dimostrato di reggere pienamente il confronto stradaiolo anche con realtà blasonate e toste. Un vanto per i biancoscudati, che anche nei loro cori rimarcano fieramente ciò. Un modus vivendi che spesso ha rappresentato il vere e proprio opposto rispetto a chi si è ultimamente trovato a indossare la maglia del Padova in campo, disputando campionati deludenti e anonimi.

La sfida di oggi è chiaramente un importante crocevia per il campionato, con il sorprendente Mantova che si trova saldamente al comando e i veneti che provano a rincorrere, sebbene il cammino dei virgiliani sia davvero impeccabile. Ma questa è anche una partita contraddistinta da una rivalità datata, una di quelle sfide in cui al centro spicca l’animo settentrionale del tifoso e dell’ultras italiano. Perché se spesso si sottolinea quanto alcune realtà meridionali siano in grado di offrire in termini di passione, attaccamento e seguito, sovente ci si dimentica della tradizione e del radicamento che in molte città del Nord hanno permesso lo sviluppo di un movimento curvaiolo importante. E poi questo è proprio un bel confronto tra gente dell’entroterra, che nell’immaginario collettivo pensiamo sempre scontrosa e pronta alla zuffa. Ma andiamo con ordine.

Non vedo i mantovani all’opera dalla stagione 2004/2005. “Giusto” diciannove anni, in cui ho un po’ perso di vista la Curva Te e le sue vicissitudini. Parliamo di un’altra era geologica e sono cosciente che il ricordo di quella tifoseria numerosa, colorata e davvero notevole dal punto di vista canoro rischia di rimanere tale. E comunque secondo il vecchio assioma secondo cui tutto si trasforma, di certo nel 2024 li rivedrò sotto un’altra luce. Sebbene Mantova abbia di fondo una grande potenzialità, anche dovuta ai diversi anni di Serie B e a quella Serie A lontana ormai mezzo secolo, ma importante nel formare anche una memoria storica in riva al Mincio. Del resto è inutile negarlo: il football è anche e soprattutto una questione di tradizione e per quanto il concetto sia abusato, il motto “da padre in figlio” dice spesso la verità. Anche se ovviamente non mi riferisco tanto a un discorso di curva, quanto al tramandare storia, aneddoti e attaccamento a ciò che la squadra cittadina rappresenta.

Nel capoluogo lombardo sono stati venduti oltre mille biglietti, mentre in totale saranno 8.157 gli spettatori. Numeri importanti, che con uno stadio omologato al cento per cento sarebbero sicuramente potuti crescere. Non è un caso che, anche grazie alla spinta della Fattori, alla fine il club abbia aperto la Tribuna Est, favorendo l’afflusso di altri tifosi. Ma tant’è, su questo tema in Italia siamo all’avanguardia: è praticamente l’intero sport nazionale a non essere omologato. E il bello è che le leghe, le federazioni, gli Osservatori, le Questure e le Prefetture fanno di tutto per porre sempre più cavilli burocratici e restrittivi affinché per aprire totalmente un impianto occorra fornire le analisi del sangue di tutti gli abbonati più il certificato di carichi pendenti immacolato (cosa che non va tanto distante dalla realtà se ci pensate!).

Quando metto piede sul tartan della pista d’atletica (un giorno qualcuno ci spiegherà a cosa serve) la Fattori sta riscaldando i motori incitando la squadra di rientro negli spogliatoi, mentre nel settore ospiti ancora devono far il loro ingresso gli ultras. Nel momento in cui le squadre entrano in campo i patavini si mettono in mostra con una belle e fitta sciarpata sulle note di “Ma quando torno a Padova”, canzone popolare scritta e interpretata (parzialmente in dialetto) da Umberto Mercato nel 1960. Binomio musica/calcio più che azzeccato direi, tornando sul legame tra questo sport e le radici popolari. Dopodiché i padroni di casa sfoderano diversi battimani potenti, aprendo le danze del tifo. Come ho avuto già modo di constatare lo scorso anno col Vicenza, la novità tra i biancoscudati è la presenza del tamburo. Strumento che sembra dar ritmo e aiutare davvero molto i ragazzi della Fattori, senza però averne snaturato il modo d’essere (della serie: si può fare tutto, ma con parsimonia). Proprio mentre sono impegnato a scattare le prime foto ecco sbucare dalla porticina del settore ospiti il contingente della Curva Te. Al grido di “Odio il Veneto” i mantovani fanno il loro ingresso, accendendo definitivamente la contesa ma soprattutto accendendo (nel vero senso della parola) gli spalti con un’ottima quantità di torce e qualche bomba carta. L’ispettore della Lega segna meticolosamente, le casse hanno bisogno di esser rimpinguate, evidentemente c’è bisogno di progettare qualche altra cervellotica riforma di campionati divenuti spesso e volentieri patetici.

I miei punti interrogativi sul tifo virgiliano vengono presto fugati, anche grazie alla sontuosa prestazione della squadra di Possanzini, che alla fine asfalterà l’avversaria con un clamoroso 0-5. Il settore ospiti ribolle di gioia e passione, offrendo una prova davvero di ottima fattura, in cui peraltro spiccano due sciarpate notevoli e il colore di bandiere e bandieroni sempre presente. Peccato che i ragazzi della Te portino poche pezze e di piccole dimensioni (tanto è vero che i gemellati pratesi con il loro Wild Kaos prenderanno buona parte della vetrata centrale), per la natura “caciarona” di questa tifoseria sarebbe sicuramente più adatto un ritorno alla vecchia maniera. Ma a parte queste osservazioni, si vede che di base c’è un bel coinvolgimento (ovvio, in tempi bui i numeri erano ben altri) e l’eventuale salto in cadetteria riaccenderebbe definitivamente l’interesse in una città che conta poco meno di cinquantamila abitanti, non essendo dunque di certo il centro più grande della sua regione, ma avendo sempre mantenuto una grande identità, anche grazie al suo particolare posizionamento: tra Lombardia, Veneto ed Emilia.

Venendo ai patavini, che dire? In serate come queste, dove la partita finisce dopo una manciata di minuti, o si tira fuori l’orgoglio e si canta per se stessi, o si lascia perdere tutto. Loro optano per la prima scelta, con lo zoccolo duro che canta per tutta la partita. Ovviamente a un certo punto diventa quasi impossibile portarsi dietro i tifosi che generalmente sono al di fuori delle logiche di curva, ma devo dire che dopo aver visto i biancorossi in varie annate, questa generazione ha il merito di aver quantomeno dato più importanza all’aspetto canoro e del colore, tanto che durante l’incontro verranno effettuate altre due belle sciarpate, un paio di bandieroni rimarranno sempre al vento e il tifo sarà comunque buono. Magari non ottimo e devastante, ma provateci voi a far cantare uno stadio già di suo glaciale mentre la squadra in campo viene presa a sberle dalla capolista e implicitamente dice addio, per l’ennesima volta, al sono della promozione diretta. Siamo italiani e risentiamo anche degli umori del pubblico circostante, nonché dell’esito del campo. Altrimenti saremmo robot simil polacchi e staremmo parlando di altro. Tuttavia da sottolineare i tanti cori offensivi ricevuti dai virgiliani a cui i veneti rispondono per le rime, non lasciandosi praticamente sfuggire nulla. Se devo ammettere una cosa, quello che più mi piace di loro generalmente è quel senso di ostilità e “minaccia” che i loro atteggiamenti curvaioli sembrano trasmettere.

Al triplice fischio bagno di gioia per il Mantova, che corre sotto ai propri tifosi per festeggiare l’impresa e suggellare un primato che ora vanta ben sette punti sui dirimpettai odierni. Applausi anche per il Padova da parte di un pubblico che probabilmente non sa più a quali santi votarsi (malgrado la presenza dell’effige di Sant’Antonio in Fattori) per uscire dall’en passe della terza divisioni e soprattutto, in ambito ultras, da un girone che offre davvero poche gioie in termini di confronto e trasferte “interessanti”. Personalmente posso solo riporre l’attrezzatura dopo aver effettuato gli ultimi scatti e incamminarmi verso la fermata dell’immancabile Itabus. Quantomeno il ritorno non sarà funestato dal torpedone verde della Flixbus, male che affligge i viaggiatori contemporanei e che tutti dovremmo un po’ imparare a combattere!

Simone Meloni