Per raccontare questo derby veneto occorre partire dal venerdì, quando la macchina organizzativa patavina compie il suo massimo sforzo per lo svolgimento della ventesima edizione di Appiani in Festa. La rassegna – che da qualche anno si svolge presso la sede della Fattori, a pochi metri dallo stadio Euganeo – ci ha visto quest’anno tra le fila degli invitati per partecipare al dibattito “Dai poster ai post – Come i social hanno inciso sul mondo ultras”. Dibattito che ha dato il la a un confronto cui hanno partecipato l’avvocato Giovanni Adami, il sottoscritto e alcuni volti del tifo biancoscudato, scelti su base generazionale e di attitudine (o meno) con il mondo dei social network.

Social: croce e delizia del mondo ultras

Volendo farne un’analisi obiettiva e scevra da qualsiasi pregiudizio, soprattutto generazionale – va sicuramente aperto un focus sull’iper comunicazione. Appare chiaro come il corretto utilizzo dei social abbia dato la possibilità di comunicare con una maggiore tempestività, anche in situazioni critiche. O contrastare l’onda di shitstorming spesso perpetrata dai media nei confronti degli ultras. Attraverso i social, i gruppi – i tifosi in generale – hanno oggi una maggiore arma di difesa nei confronti di abusi e situazioni un tempo “normali”, in cui le autorità si sentivano quasi in dovere di trattare i supporter alla stregua di bestie, privandoli spesso dei più basilari diritti nel giorno della partita. Non che questo oggi non accada più, ma grazie alla possibilità di fotografare, riprendere e condividere, anche gli ultras – “eterni cattivi” – hanno la possibilità di dire esporre le proprie ragioni, le proprie versioni dei fatti.

Il problema si pone – ovviamente – quando l’iper comunicazione prende il sopravvento e quindi si diventa vittime dell’utilizzo improprio dei social. Se, giustamente, il tifo organizzato è sempre stato restio a pubblicare volti in primo piano o, peggio ancora, immagini di incidenti o momenti di tensione, la voglia matta di condividere e pubblicare da qualche anno sta facendo dei danni incommensurabili, andando paradossalmente ad aiutare chi l’ambiente curvaiolo è da sempre incaricato di contrastarlo, limitarlo e reprimerlo. Non è affatto facile utilizzare queste piattaforme in maniera morigerata e attenta, perché il più delle volte ci sono due generazioni a confronto, che possono comportarsi in maniera ugualmente nociva: i più giovani – presi dall’entusiasmo e dall’euforia – non vedono l’ora di condividere con il mondo le proprie gesta, andando a fare qualcosa che per loro è del tutto normale, con cui sono cresciuti e per cui non hanno un confronto con l’epoca precedente, in cui il mondo social non esisteva. Poi ci sono quelli più grandi, che magari essendo nati e cresciuti in un’altra epoca e con altri codici sociali, non percepiscono la delicatezza di tali strumenti e del mondo del web. Per questo sarebbe davvero importante appianare taluni conflitti generazionali, che poi spesso portano a spaccature che lasciano le “nuove leve” orfane di una guida che invece sarebbe fondamentale per porre dei limiti a tale esuberanza e inquadrarla in un contesto curvaiolo.

Quale futuro?

Forse la domanda da porsi è: in quale direzione le Curve debbono puntare da qui ai prossimi anni? Onde evitare che l’iper comunicazione gli si ritorca contro, finendo per sfaldarle ulteriormente il fronte? Saper creare un clima armonioso con il resto della tifoseria resta un’esigenza oggi come oggi, sia per non rimanere con numeri risicati, sia per avere un appoggio esterno nei momenti di criticità, repressione e attacchi esterni.

Oggi esempi comunicativi sani provengano dall’estero, dove tanti movimenti hanno effettuato il percorso inverso rispetto al nostro: crescendo, evolvendosi e sviluppando modi di agire che preservano appieno la loro identità e il loro credo. Il che non vuol dire snaturarsi, ma essere contestuali con il periodo storico che si vive. È un dato di fatto che buona parte dell’Europa veda l’esplosione di gruppi e Curve in grado di convogliare migliaia di persone e coinvolgerle nelle proprie battaglie. Mi viene da fare l’esempio degli ultras dell’Austria Salisburgo che anche grazie a tutti gli strumenti comunicativi a disposizione sono riusciti non solo a rifondare la loro squadra dopo il saccheggio della Red Bull nel 2005, ma anche a tenerla in vita e darle una continuità. Tifosi, anzi ultras, che hanno dato una piccola (grande) spallata al cosiddetto calcio moderno (che francamente preferisco chiamare calcio contemporaneo) e che sono stati presi seriamente non solo dal contesto curvaiolo, ma anche da quello calcistico nazionale e internazionale.  

Se da qui al futuro avremo la lungimiranza di utilizzare al meglio le nuove comunicazioni, mettendo sempre in primo piano il lato umano e della passione, sicuramente avremo l’opportunità di dar linfa nuova al movimento.

Certamente confronti come quello dell’Appiani in Festa costituiscono un importante momento di evoluzione. Se vogliamo anche il luogo giusto dove fare eventuale autocritica, cosa che troppo spesso manca in seno al mondo ultras. Non riuscire a fermarsi e fare il punto della situazione, vedere dove si hanno lacune e dove si può migliorare. Magari anche tralasciare alcuni slogan che di oltranzista ormai hanno solo la loro enunciazione, risultando inattuabili e fuori dai tempi. L’ultras italiano è in alcuni casi rimasto prigioniero dello stereotipo che da solo si è costruito e non riuscendo ad uscirne finisce per autoeliminarsi.

La partita

Il derby è l’essenza per ogni tifoso. È una partita che aspetti tutto l’anno e che ti dà l’opportunità di trovarti di fronte il rivale di sempre. Un confronto, una voglia di prevalere e di sovrastare il dirimpettaio. Per il campanile e per la propria curva. In un Paese territoriale come il nostro, questo genere di partite hanno sempre assunto un significato unico, eventi a cui il mondo esterno ha visto con ammirazione, attingendo e riportando in proprio loco gesta, modus vivendi e preparazione settimanale della sfida.

Padova-Vicenza non esula certo da questo contesto. Due città divise da appena 38 chilometri, con una nobile storia calcistica alle spalle e un futuro complicato, cadute miseramente in terza serie e invischiate ormai da anni in lotte per la sopravvivenza, con la sempiterna speranza di rinverdire i fasti di un tempo. Tra i “gran dottori” e i “magnagatti” (come recita una celebre filastrocca che si diletta ad appioppare soprannomi agli abitanti di ogni capoluogo veneto) è sempre sfida accesa, tanto che per l’occasione sono stati venduti settemila biglietti. Di cui 2.500 ai tifosi ospiti.

Sarebbero stati di più se l’Euganeo non avesse le sue infinite e ormai ataviche carenze strutturali che ne hanno portato alla parziale chiusura. In questa serata di metà settembre la nuova Curva Sud si staglia in tutta la sua imponenza davanti agli occhi dei presenti. Ancora chiusa, sebbene a un passo dalla sua inaugurazione. Sognata, sperata e attesa da tanti anni dagli ultras patavini per abbandonare la scomoda Tribuna Fattori e dare finalmente un senso a uno stadio mai amato, definito spesso la tomba del Padova Calcio. A ragione, aggiungo, considerata la sua posizione ma soprattutto la sua conformazione. Passare dal catino dell’Appiani a una cattedrale nel deserto ha segnato negativamente la storia della tifoseria e del club biancoscudato. Ha allontanato gente, generazioni e tifosi che collocavano la squadra nel cuore della città, a due passi dalle sue bellissime piazze e dal suo centro storico. Il calcio è un fenomeno identitario e sociale, che forse più di ogni altra cosa ancora è in grado di tenere salde le proprie radici. L’Euganeo è un triste tentativo di estirparle. Uno di quei mostri che solo il nostro squinternato Paese è in grado di partorire allorquando si avverte odore di soldi e speculazioni edilizie. Ed in questo siamo davvero uniti da Nord a Sud.

Tornando alla sfida sugli spalti, quando guadagno l’accesso sulla pista d’atletica, le squadre stanno per fare il loro ingresso in campo. Gli ultras di casa si presentano con una sciarpata e alcune torce accese, restituendo un’immagine colorata del proprio settore. Lo dico con sincerità: sui patavini ho sempre avuto un parere contrastante. Ne apprezzo la mentalità, ritenendoli una tifoseria che è sempre stata in grado di ragionare e prendere scelte oculate, per il bene della piazza e contestualizzando il periodo storico. Oltre a essere una realtà mai comoda da affrontare e che difficilmente non si fa trovare pronta in questioni “stradaiole”. Non mi ha fatto però mai impazzire il loro modo di tifare, che negli ultimi anni spesso ho trovato un po’ troppo asciutto e discontinuo. Ma questo è un mio parere personale ovviamente.

Stasera tuttavia posso solo parlar bene della prestazione canora dei patavini. Sarà la bella prova della squadra, sarà la partita di cartello, ma la Fattori per novanta minuti mantiene davvero un’ottima intensità. Dopo diversi anni, tra le fila biancoscudate fa il suo ritorno un tamburo a dettare i ritmi del tifo. Per una realtà che ormai da anni aveva impostato il proprio tifo orientandosi a uno stile british è un’altra prova di intelligenza, che dice abbastanza chiaramente quanto i ragazzi del direttivo mettano in primo piano il bene complessivo, prima ancora delle personali credenze in fatto di ultras. E il risultato è infatti sotto gli occhi di tutti. Chiaro che il tamburo da solo serva a poco e non possa essere strumento risolutivo, ma in questo caso aiuta se dietro c’è un costrutto mentale unitario, volto a far sentire tutti i presenti parte della comunità. E su questo agli UPD si può davvero dir poco.

Alle mie spalle i vicentini sono visivamente davvero molto belli. Con lo striscione Lanerossi Vicenza al centro, i bandieroni disposti su tutta la balaustra e le pezze di ottima fattura ai lati, dimostrano di attraversare davvero un ottimo momento di forma. Non scopro certo io le potenzialità della tifoseria berica, ma il muro di mani che sovente si innalza dal loro settore è davvero qualcosa di molto bello a vedersi. Così come le due sciarpate eseguite durante la partita, uno dei pezzi forti del loro repertorio. La Sud vicentina è l’esempio – tornando all’inizio di questo articolo – di come ci si possa sicuramente evolvere anche all’interno della Penisola. Dopo alcuni anni di oblio post Vigilantes, i biancorossi hanno saputo riorganizzarsi, risalendo lentamente la china e tornando su ottimi livelli. Anche grazie all’ottima comunicazione avuta con la loro comunità, alle iniziative e al voler sfruttare una passione popolare che a Vicenza ruota prepotentemente attorno alla squadra di calcio. Così non è bastata una retrocessione dalla cadetteria per fiaccare gli animi. I numeri sono ancora importanti, la qualità pure. Segno che ponendo basi solide, facendo aggregazione e stando sempre sul pezzo dal punto di vista qualitativo, si può costruire un terreno solido negli anni.

In campo è il Padova a spuntarla per 2-1, mentre in Tribuna Fattori da segnalare uno striscione contro l’ex capitano Ronaldo, passato quest’anno al Vicenza: “Ronaldo: storia di una mosca che ha trovato la sua meRda”, con la R che richiama al simbolo del Lanerossi. Un messaggio che mette pepe al confronto, portando le due tifoserie a beccarsi con una certa intensità.

Finisce con le squadre sotto ai rispettivi settori. Il Padova a festeggiare, il Vicenza a ringraziare la propria gente. È calato nel frattempo un discreto freddo sull’Euganeo, dove ora rimangono solo i patavini a cantare e festeggiare il successo, sbeffeggiando gli avversari che alla chetichella abbandonano il settore ospiti.

Queste categorie sanno ancora riverberare l’essenza dell’essere ultras, facendo assaporare il calcio nella sua genuinità. Sebbene anche qua siano arrivati speaker invadenti che provano a far ripetere il nome dei giocatori al gol (richiesta giustamente ignorata da tutti) e musichette dopo le marcature. Ma da un Paese che ormai è solo capace di copiare e coprirsi di atteggiamenti kitsch, di certo non c’è da aspettarsi altro.

L’unico argine a questa deriva possono rappresentarlo i tifosi, facendo un passo avanti ed uscendo dai loro blocchi mentali e stereotipici. Pena l’assorbimento totale nel baraccone pallonaro, sempre più adibito a circo per scimmiette ammaestrate.

Simone Meloni