Il cielo si fa sempre più plumbeo mentre il pullman risale la dorsale appenninica incastrandosi in un caotico traffico all’altezza di Firenze. Un incidente ha bloccato questo tratto di A1 e per continuare il mio viaggio in direzione Padova ci sarà da pazientare.

Il derby tra i biancoscudati e il Vicenza ritorna dopo qualche anno, ma soprattutto lo fa senza restrizioni. Non solo ai berici è stato consentito di raggiungere la vicina città antoniana, ma per farlo non avranno neanche bisogno della tanto odiata tessera del tifoso. Il risultato? Oltre duemila tagliandi venduti in poco tempo e settore ospiti sold out. Malgrado il posticipo al lunedì sera i 40 km che dividono i due centri sono troppo pochi per frenare la voglia di calcio.

Questo va detto come promemoria per tutti quelli che in questi anni si sono sperticati nel raccontarci quanto tutti i divieti e le limitazioni fossero propedeutici a riportare gente allo stadio (sic!).

Riesco a raggiungere Padova soltanto poco dopo le 18. Un vento freddo soffia per le vie cittadine e di tanto in tanto Giove Pluvio prova a scaricare la propria rabbia. Fortunatamente ci riuscirà solo in parte e – per di più – nel finale della partita.

Raggiungere l’Euganeo – come sempre – è tutt’altro che un’impresa facile e piacevole. Dal centro un autobus mi porta nelle vicinanze, lasciandomi un altro chilometro a piedi. L’impianto realizzato in occasione di Italia ’90 è tutto fuorché funzionale e facilmente fruibile. Nessuno si offenda se mi permetto di dire che probabilmente si tratta di uno dei peggiori stadi d’Italia. Sotto tutti i punti di vista. Uno stadio che cozza terribilmente con una città bella, ordinata e gradevole come Padova. Uno stadio che – come ricorderanno anche stasera gli ultras di casa con uno striscione esposto al suo esterno – uccide letteralmente la passione dei padovani.

Negli ultimi anni si è spesso parlato di un trasferimento al Plebiscito (lo stadio che ospita il rugby). Ipotesi che attualmente, con il cambio della giunta comunale, sembra però essere tramontata. Così per i biancoscudati continua la maledizione dell’Euganeo, casa sgradita e poco accogliente per quasi tutti i suoi astanti. Nonché ennesima riprova di quanto in quel famoso mondiale disputato su suolo patrio, ormai ventisette anni fa, ci sia stato uno dei più grandi “magna magna” nella storia della nostra Repubblica.

Percorrendo la strada che congiunge il parcheggio agli ingressi mi imbatto in tanti ragazzi della Fattori impegnati a sorseggiare birre ed effettuare un breve spuntino pre gara. Il clima è prettamente nordico, con un tasso di umidità elevatissimo e un freddo che lentamente prende possesso della zona, facendo dimenticare di essere ancora nel mese di settembre.

Ritirato l’accredito posso entrare nella pancia dello stadio. Quaranta minuti prima del fischio d’inizio le gradinate si stanno riempiendo lentamente. Alla fine saranno 9.168 i paganti, con i due settori del tifo che andranno sold out. Un’ottima cornice di pubblico quindi, che riempie il cuore di chi per anni ha visto la Serie C cadere a picco e perdere sempre più il suo antico e verace attaccamento da parte del popolo pallonaro.

Questa sera si percepisce senza dubbio la voglia di questo genere di calcio. Hanno provato in tutti i modi a fiaccare le rivalità, distruggere il giocattolo e farcire questo sport con una stucchevole retorica buonista e benpensante, ma il gene del tifoso è fortunatamente rimasto. E quindi non posso davvero rimproverarvi di esser venuto fin qua per mettere nella mia personalissima lista questa sfida storica per il calcio veneto.

Nella curva dedicata ai vicentini si fanno pian piano spazio i drappi dei gruppi che però verranno ritirati a pochi istanti dal calcio d’inizio. Il motivo? Sembra che la Questura locale non abbia voluto far entrare alcune pezze, così si è optato per toglierle tutte salvo quella in memoria di Moreno, tenuta questa sera come pezza principale al centro del settore.

Di contro la Fattori comincia a prepararsi con i suoi bandieroni di ottima fattura, pungendo i dirimpettai che non si fanno attendere nella risposta. Il derby Padova-Vicenza è ufficialmente iniziato e da lì a poco anche le squadre faranno il proprio ingresso sul terreno di gioco.

I vicentini optano per una coreografia semplice ma sempre d’impatto: duemila sciarpe vengono tese al cielo e condite dall’accensione di qualche torcia e qualche fumogeno. Una scenografia “secca” che richiama verosimilmente al calcio di una volta, quando nei settori esistevano meno elaborazioni creative e la “sostanza” trovava spazio con maggiore frequenza.

Anche i padovani optano per un classico: sciarpata prima e fumogenata poi. Un classico mai da disprezzare, soprattutto in tempi dove tali oggetti sono visti e vissuti dal mondo del calcio come il Diavolo in corpo. L’effetto è di quelli belli e in tutta franchezza sono contento di aver assistito in vita mia a due partite del Padova in casa (la prima contro la Cremonese lo scorso anno) in cui la Fattori ha dato sfoggio della sua vena pirotecnica.

Sul manto verde inizia la sfida. Momento che sancisce anche l’avvio della battaglia corale tra le due fazioni. Cercherò di essere chiaro e sincero nell’analisi.

Comincio proprio dagli ospiti. Un settore lungo e dispersivo come quello dell’Euganeo è tutt’altro che facile da gestire. La loro prova è comunque complessivamente buona, sebbene – soprattutto nel secondo tempo – il blocco centrale troppo volte non riesca a coinvolgere le estremità. I supporter berici si producono comunque in tante belle manate, cori a rispondere davvero possenti, numerose torce accese durante l’incontro  e un’altra bella sciarpata eseguita nella ripresa.

Il tifoso vicentino è passionale, ha fatto spallucce della brutta retrocessione in Serie C e si è rimboccato le maniche sottoscrivendo migliaia di abbonamenti allo stadio Menti e sostenendo sempre e comunque il Lanerossi lontano dalle mura amiche. Su questo davvero tanto di cappello.

Non voglio e non posso entrare troppo nel merito di questa rivalità, non avendone conoscenze così approfondite e venendo da una zona geografica dove molteplici logiche funzionano in modo differente. Posso tuttavia dire tra il contingente ospite mi sembra di notare un po’ di divisione sul come “trattare” i padovani. Le vecchie generazioni non annoverano quella con i biancoscudati tra le rivalità più sentite mentre i più “piccoli”, non avendo vissuto gli storici derby col Verona degli anni ’80 e avendo visto poca (se non nulla) Serie A riconoscono in loro un nemico con cui confrontarsi a tutti gli effetti.

Dal mio canto posso dire che i padovani degli ultimi 10/15 anni sono una tifoseria cresciuta in maniera esponenziale. Sotto tutti gli aspetti. Anzi, mi permetto di dire quella che per molti può essere una bestemmia: al momento non vedo tantissima differenza con altre tifoserie del circondario più incensate e celebrate. Il frequentare per così tanti anni i campi della C e della B li ha sicuramente forgiati. Poi ovvio, se vogliamo giudicare le tifoseria anche per la loro storia (cosa che bisogna fare) è palese che andando a ritroso piazze come Verona o Vicenza siano dei veri e propri colossi e, ancora oggi, dimostrano di avere un seguito e un attaccamento alle proprie squadra da far invidia a molte piazze di Serie A abituate costantemente a stare ad alti livelli.

Tornando all’analisi del tifo e planando sulla Fattori, la prova di oggi è stata più che all’altezza della situazione. Tanta voce, mani in alto e un bel blocco compatto e bello a vedersi e sentirsi. Unica nota: peccato che i bellissimi bandieroni non vengano sventolati costantemente. Avrebbero dato un impatto ancor più bello al settore.

In campo la gara non è certo esaltante e alla fine si trascina su un noioso 0-0. Le tifoserie ringraziano comunque i propri giocatori e si dedicano le ultime “cortesie” vocali.

Assisto e immortalo le ultime scene di questo derby e poi fuggo letteralmente dall’Euganeo per non perdere il pullman che in nottata mi riporterà nella Capitale. Felice di aver messo questo ennesimo tassello al mio mosaico “partitellaro”. Ancora lontano dall’essere completato.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Simone Meloni e Marcello Casarotti.

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