Partiamo subito dalla notizia in sé: sta girando un comunicato a firma “Gli ultras di Pagani” che per la tempistica sembrerebbe alludere a Paganese-Casertana. In realtà basterebbe una lettura un po’ più attemta per rendersi conto che è del tutto scollegato a questi ultimi eventi. Difatti è un vecchio comunicato risalente a Lanciano-Paganese del 2009 (qui per leggerlo integralmente), gara dopo la quale una fitta pioggia di diffide colpì gli azzurostellati.

La notizia specifica finisce qua ma vorremmo ora riprendere da principio per fare alcune considerazioni più generali. I fatti di Paganese-Casertana sono ormai noti a tutti, finanche alle massaie e a quelli a cui non interesserebbero proprio. Ma ormai il modo di far notizia è questo, con la ricerca ossessiva del contenuto virale che quasi fa rimpiangere i vecchi scoop a nove colonne dei quotidiani di un tempo, che riportavano nulla più che le veline delle questure. In realtà non si fa nemmeno più notizia ma giusto clamore mediatico, pompato dalle solite formule acchiappaclick come “Follia ultrà”, senza nemmeno lontanamente entrare nei fatti, spiegarli, capirli e farli capire. Strumentalizzando e decontestualizzando eventi, buttandoli addosso alla gente ed usandoli come corpi contundenti. Poverini, tengono famiglia (e scarse capacità), devono campare anche loro, fosse anche con questi mezzucci.

E mettiamoci che in tutto ciò concorre anche il mondo ultras e la sua altrettanto scarsa capacità di comunicare che lascia campo aperto e carta bianca a questi cialtroni. In questi anni di esplosione dei social ogni gruppo, anche il più piccolo, ha inteso occupare la sua nicchia di spazio virtuale all’uopo. Giustissima come teoria. Abbiamo citato sicuramente tante volte Jello Biafra dei Dead Kennedys e il suo “Don’t hate the Media, become the Media”: all’improduttivo odio verso i Media è di gran lunga preferibile farsi Media di sé stessi e attraverso ogni canale possibile, sfruttare la possibilità di far sentire la propria voce, la propria versione dei fatti. I social network hanno sicuramente un’immediatezza e una eco che la fanzine o il volantino distribuito in città o allo stadio non raggiungeranno mai, ma al contempo con il loro ammiccante “A cosa stai pensando?” sulla home, inducono spesso ad una sovraesposizione pericolosa, a cedere alla tentazione della tuttologia.

Giusto comunicare ma oltre a non esagerare, è importante anche saper comunicare. In questi anni abbiamo visto di tutto, da comunicati con cui si comunicava che non si sarebbero più fatti comunicati a quelli in cui si è dato vita a telenovelas via web, con batti e ribatti a dir poco stucchevoli a seguito di scontri, rotture di gemellaggi, tensione interne a gruppi della stessa tifoseria ecc. A parte queste pantomime, alle quali sarebbe di gran lunga preferibile un intelligente silenzio o far parlare le azioni o gli spalti, ci sono poi quei frangenti in cui il canale comunicativo viene aperto con il mondo esterno alle curve e la grande opportunità messa a disposizione da certi mezzi, viene il più delle volte malamente vanificata. Molti comunicati nascono dall’urgenza di rompere un assedio mediatico, come sarebbe potuto capitare verosimilmente in questo caso ai Paganesi, ma in effetti che senso avrebbe cercare di far capire la propria posizione all’opinione pubblica che non capisce e non concepisce il codice non verbale del confronto fisico fra tifoserie? Se proprio si sceglie di parlare, in quei casi avrebbe forse più senso assumersi le proprie responsabilità e mostrarsi pronti a pagare fino all’ultimo, sottolineare insomma l’ovvio a chi parla a vanvera di impunità del tifo, oppure al massimo porre l’accento sul concorso di colpe di un servizio d’ordine lacunoso. Se si vuole usare la comunicazione come arma di difesa verso il mondo esterno, le sue mezze verità o la sua scarsa comprensione del fenomeno, è poi inutile attingere a quella retorica ultras tanto roboante quanto vuota. Gli esterni al mondo del tifo non la capiscono, è come se si parlasse in cinese mandarino con quelle inutili frasi fatte sugli ultras che vincono sempre o i posti della parte del torto che sono ormai più affollati di quelli al cinema alla prima di “Spiderman, no way home”. Non servono motti ma bisogna argomentare, ricordandosi che si sta parlando a degli estranei, altrimenti non si fa altro che parlarsi addosso, ricavandone al massimo qualche consolatoria pacca sulla spalla da altra gente interna al nostro mondo, che già la pensa come noi e che non abbiamo bisogno di convincere, a cui in definitiva non c’è bisogno di comunicare un bel niente. Il comunicato in sé non è uno strumento cattivo e nemmeno buono, a renderlo tale è al massimo l’uso che se ne fa.

Sulle pagine Facebook, Instagram o TikTok che prendono la roba sui profili privati della gente e la ripubblica, senza accertamento dei fatti, senza rispetto delle fonti, senza approfondimento e solo per creare una uguale e contraria “viralità”, grazie alla quale poi vendere magliettine o torce, stendiamo un copricurva pietoso.

Matteo Falcone