Ho un lontano e bel ricordo legato a Palma Campania. Un ricordo distante ormai ben venti anni: Palmese-Lodigiani, campionato di Serie C2, stagione 2003/2004. Uno stadio all’epoca interamente in cemento armato e una squadra che, grazie alla presidenza di un magnate asiatico (il cinese Zichai Song), sembrava fosse partita per disintegrare il campionato. In realtà la storia successiva ci racconta della fuga di quest’ultimo e di un girone di ritorno che vide i campani perdere la testa della classifica e concludere il torneo all’ottavo posto. Configurando una delle tante bufale che sovente riguardano il calcio “minore”, che finiscono non di rado per cancellare e umiliare antichi sodalizi sportivi e fedeli tifoserie. In questi ricordi, un po’ sfocati, di adolescente alle prese con una delle prime trasferte in Serie C, ricordo abbastanza bene l’ubicazione dello stadio: incastonato tra i palazzi e praticamente “custodito” nel centro cittadino. Così come, questo in modo alquanto nitido, ricordo un curioso personaggio dalle sembianze di Al Capone circolare sul terreno di gioco prima del fischio d’inizio. Una specifica che faccio per evidenziare quanto dirò successivamente sulla variegata e tignosa tribuna locale.
Rispetto a quella giornata alcune cose sono inesorabilmente cambiate: innanzitutto tre quarti delle gradinate sono state abbattute e ricostruite in ferro, mentre uguale – fortunatamente – è rimasta la curva che ospita il tifo organizzato palmese. Tanto è vero che quando faccio il mio ingresso in campo, nel vederla, ho un flashback che ripercorre due decenni della mia vita. Mi fa quasi impressione realizzare che all’epoca avevo quindici anni: innanzitutto perché, passatemelo, il tempo trascorre davvero in fretta. In secondo luogo perché, a debita distanza di tempo, non solo non ho abbandonato questa passione, ma l’ho trasformata in vera malattia ossessivo compulsiva. Sta di fatto che nel mio percorso di visite a stadi mai visti, penso di poter inserire ugualmente anche il Comunale di Palma, considerato che all’epoca il tutto si limitò ai novanta minuti nel settore ospiti, senza avere contezza di come fosse tutto l’ambiente circostante. Approfittando dell’anticipo al sabato per permettere i preparativi del Carnevale Palmese (vero e proprio appuntamento dell’anno a queste latitudini) non ci penso due volte e mi fiondo verso la Campania. Ancora una volta è il treno il mio fedele compagno di viaggio. E già dalla rotaia cominciano le prime novità: per arrivare a destinazione, infatti, devo prima cambiare a Napoli per Cancello e poi, da là, attendere il treno che da Caserta è diretto a Salerno. Una tratta sinora mai sperimentata, che in realtà si riconduce a una linea ferroviaria ancor più complicata e problematica: la Cancello-Avellino, chiusa da Mercato San Severino al capoluogo irpino da qualche anno per permetterne l’elettrificazione.
Quando scendo dal convoglio la prima cosa che mi si palesa davanti è il piccolo Museo del Carnevale, installato proprio dentro la stazione. Sintomatico di quanto questo evento sia sentito e partecipato da tutta la comunità palmese. Ci troviamo nell’agro nocerino/sarnese, nell’estremità meridionale di quella che fu la provincia di Terra di Lavoro. Attualmente Palma conta circa sedicimila abitanti e affonda le proprie radici tra i primordiali insediamenti di quest’area. In realtà l’attuale centro abitato dovrebbe essere figlio del trasferimento “forzoso” degli abitanti di Ad Teglanum, fiorente stazione romana e medievale, totalmente distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 512 d.C. Un evento che costrinse la popolazione a riversarsi in una zona collinare, contraddistinta da una fitta vegetazione, motivo da cui deriverebbe il nome di Palma (che solo nel 1803 tramutò da Palma di Nola in Palma Campania). Da allora le vicende locali furono legate alle diverse famiglie che si avvicendarono, nonché dalla vicinanza con Nola e Napoli, centri che ovviamente hanno contraddistinto la storia culturale ed economica anche della città. Oggi del suo passato restano in piedi numerose chiese e palazzi storici, oltre a costruzioni e pavimentazioni in pietra lavica. Il Vesuvio veglia imperioso, peraltro visibilissimo proprio dalle gradinate del Comunale. nella centralissima Piazza De Martino si staglia il Palazzo Aragonese, utilizzato dal Re Alfonso d’Aragona e dai suoi discendenti come residenza per la caccia al falco, molto in voga nella zona del Piano di Palma. Una specie che da queste parti è resistita per secoli, anche grazie alle alture che vegliano la città, colline su cui ancora resistono i resti del castello di origine longobarda, divenuto oggi simbolo di Palma Campania ed effige della sua squadra di calcio. Una curiosità: nel Borgo Castello oggi risiedono solo duecentocinquanta persone, ma negli anni quaranta erano oltre mille gli abitanti. Da questa zona si ha una vista strategica del Golfo di Castellammare e di buona parte dell’area napoletana, cosa che provocò varie incursioni tedesche. Storia condivisa e tramandata vuole che solo l’intervento del letterato palmese Pietro Salvatore Caliendo, grazie alla sua conoscenza del tedesco, scongiurò la volontà dell’esercito teutonico di radere al suolo l’intera area, sebbene in molti vennero fatti prigionieri e uccisi da questi ultimi.
Trovo che l’aspetto davvero irrinunciabile di questi “viaggi” sia quello di potersi documentare su luoghi e zone che altrimenti difficilmente si avrebbe bisogno di visitare. La partita, gli ultras e le foto sono una parte fondamentale della giornata, ma altrettanto lo è capire dove ci si trova e collegare tutti gli aspetti di luoghi, che spesso riescono a sorprenderti per quanta storia hanno celata in loro stessi e quanti spunti di conoscenza possano offrire. A proposito, nel girovagare per la piazza centrale non posso fare a meno di imbattermi nella sede storica della US Palmese 1914. Non mi prendete per scemo: ma constatare quanto essa, la piazza e lo stadio siano racchiusi nella stessa area mi emoziona. Sembra di tornare indietro di un secolo, quando quasi tutti i club disputavano le proprie gare interne nella Piazza d’Armi, generalmente situata nel cuore abitato, dove pulsava continuamente la vita cittadina. Mi viene in mente il vecchio stadio della vicina Nola, purtroppo gettato nell’abbandono da tanti anni, o lo storico Piazza d’Armi di Avellino, costruito sotto al carcere borbonico, tanto da permettere ai detenuti di assistere alle sfide dei biancoverdi. Ecco, questo per sottolineare quanto il calcio, le tradizioni e la storia siano elementi in grado di marciare di pari passo. Molto più di quanto si possa pensare. Molto più di quel teatrino plastificato a cui è stato ridotto in talune categorie. Questi sono gli stadi che il calcio moderno e gli ipocondriaci dell’ordine pubblico vorrebbero eliminare. Questi sono gli impianti che i nerd, quelli dal Fantacalcio facile, delle statistiche ponderate e, perché no, della dogmatica costruzione dal basso (spero che un giorno i portieri si ribellino e comincino a rinviare sui piedi degli avversari!), vorrebbero distrutti in luogo di qualche bel salottino con poltrone comode e riscaldate. E anche un bel Deliveroo o Glovo a portata di mano!
Tornando al motivo della mia visita (e anche di questo articolo): dopo aver realizzato alcuni scatti alla sede – purtroppo chiusa – comincio ad avviarmi verso lo stadio, oltrepassando transenne, palco e luci su cui stanno lavorando alcuni tecnici con lo scopo di renderle pienamente efficienti per le festività carnascialesche. Guadagno in breve tempo l’accesso al campo e comincio a studiare i cambiamenti a cui facevo cenno in precedenza. Cerco di essere sincero: il rinnovamento del Comunale è stato giustamente pubblicizzato dalla giunta palmese e ha reso fruibile un impianto attempato e con qualche problema di troppo per la Serie D, ma a livello di fascino l’aver tirato giù gli spalti in cemento armato non ha trovato la mia personale – quanto inutile, ovviamente – approvazione. Nota di merito, però, per l’abbattimento di tutte le barriere, cosa che è sempre bella in un Paese che spesso gestisce gli stadi come dei grandi pollai dove “allevare” tifosi in batteria. Palma vanta una discreta tradizione calcistica (nonché ultracentenaria), con i rossoneri che hanno disputato diversi campionati di C2 e che vantano da sempre un bel seguito popolare fra le mura amiche, cosa che verrà confermata anche oggi. Permettetemi di dire che questo è reso possibile anche dalla posizione centralissima dello stadio, praticamente chiunque ci “cade” letteralmente dentro. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: donne, bambini, anziani, ultras e tifosi storici. Tutti ripartiti nei settori di curva e tribuna e ben amalgamati per un ambiente spartano, senza fronzoli e rognoso al punto giusto. Del resto la storia dice anche che questa, da rivale, non è mai stata una passeggiata. A prescindere da quello che si possa pensare sulla curva di casa, il Comunale è il classico “campaccio”, reso possibile anche dall’estrazione tutt’altro che tenera del palmese medio. Insomma, proprio come piace a noi!
La partita con l’Angri è uno dei tanti derby campani che caratterizzano il massimo campionato dilettantistico. L’assenza di rivalità fa sì che gli organi (in)competenti non prendano particolari provvedimenti (vabbè che per questi fenomeni a volte sono meritevoli di limitazioni anche partite con gemellaggi ultratrentennali!) e ai tifosi grigiorossi vengono inviati duecentoquaranta biglietti, che finiscono in prevendita. Lo stadio si preannuncia, dunque, con un bel colpo d’occhio ed effettivamente alla fine si registreranno circa 2.500 spettatori, questo a conferma di quanto i rossoneri rappresentino un’istituzione tra la popolazione locale. Alla spicciolata, quando manca poco al fischio d’inizio, entrano anche gli ultras di casa, che vanno a occupare la parte centrale del loro settore posizionandosi dietro le classiche insegne del tifo palmese. Qualcuna più attempata, qualcun’altra di recente creazione, ma di sicuro tutte con una discreta tradizione. Non so dire, sinceramente, se i ragazzi della Est hanno seguito sempre e senza sosta dall’ultimo fallimento (2005), che li ha costretti a diciassette anni di calcio regionale tra Promozione ed Eccellenza, ma per quel che ho visto una base ultras ha sempre resistito sugli spalti del Comunale, cosa tutt’altro che facile. Sia per le sfortune sportive, che per la vicinanza con Napoli. Altro segno di quanto la Palmese sia legata alla propria comunità.
A ridosso del fischio d’inizio arriva anche il contingente ultras angrese, che “prende possesso” del settore e si fa notare con lo striscione “Fino alla morte”, subito dopo seguito dal goliardico sfoggio di mascherine raffiguranti un teschio che ben si confanno al clima carnevalesco. Su di loro mi sono già parzialmente espresso un paio di anni fa, quando ebbi l’occasione di vederli all’opera tra le mura amiche, per gli spareggi nazionali d’Eccellenza: una tifoseria che ha tenuto botta al crollo sportivo del proprio club e che negli anni si è ritirata su contando solo ed esclusivamente sulle proprie forze. Malgrado il cambio generazionale e malgrado tutte le difficoltà connesse ai nostri anni. La scelta, maturata lo scorso anno, di riunire quasi tutti i gruppi sotto un’unica sigla ha sicuramente rafforzato questo percorso e oggi i grigiorossi hanno riconquistato di forza il loro posto in una delle zone con la maggiore concentrazione ultras di tutta Italia. La cosa può fare solo piacere, soprattutto quando si comprende che dietro a pezze, striscioni e cori ci sono persone valide, che hanno voglia di dare il proprio contributo al movimento e non rimanere fossilizzati in loro stessi. In tal senso faccio ovvio riferimento al bel dibattito da loro organizzato all’inizio dello scorso dicembre. Un momento di confronto, con la volontà di rianimare determinate tematiche che – ahinoi – a volte sembrano esser state dimenticate anche dallo stesso movimento. Senza voler sembrare una captatio benevolentiae, credo che quando si incontrano realtà con la testa, vada loro riconosciuto il merito e, anzi, ove possibile vadano anche incentivate. A dire il vero – e sempre per dare a Cesare quel che è di Cesare – in questa zona sono diverse le tifoserie che negli anni si sono contraddistinte per linee di pensiero e azioni finalizzate a dare un’impronta unitaria a determinate battaglie o anche “solo” a difendere alcuni diritti che dovrebbero esser basilari anche per chi milita con una sciarpa al collo. La Campania ultras resta una terra fertile, che a volte può esser ostaggio dei propri eccessi, ma che senza dubbio rappresenta un punto di riferimento per l’humus giovanile del panorama curvaiolo.
Tornando con gli occhi al campo, anzi agli spalti, quando la gara ha inizio le due fazioni cominciano a macinare tifo. Salgono subito sugli scudi i palmesi, che si producono in una torciata d’altri tempi: sempre bello vedere quella luce rossa seguita dal fumo e dal suo odore acre, così come osservare sparire dietro la coltre, per qualche minuto, i ragazzi intenti nel tifo e nello sventolio dei proprio bandieroni (nota di merito per quello a scacchi rossonero con un buco in alto, davvero vissuto e affascinante!). Ai palmesi devo senza dubbio riconoscere una crescita rispetto a quella tifoseria che vent’anni fa, pur presenziando, sembrava spesso essere più “grezza”. Intendiamoci, questa natura a mio avviso è in parte rimasta nel loro modo di vivere la curva, ma si è trasformata in una virtù, un modo di essere. Sicuramente molto più apprezzabile rispetto al preconfezionato total black o a quelle curve che stilano una propria lista di comportamenti da attuare minuto dopo minuto durante le partite. Una spontaneità organizzata, se così vogliamo definirla. E posso dire? Sarà perché la Palmese trova quasi subito due gol, sarà perché galvanizzati dalla giornata, sarà per l’utilizzo smodato della pirotecnica, ma gli ultras di casa sfoderano una prestazione di tutto rispetto, non rimanendo praticamente mai in silenzio e mettendosi in mostra con un tifo continuo e compatto. Forse gli amanti dello stile a tutti i costi non apprezzeranno poi molto il loro modo a tratti retrò di sostenere la squadra, ma io ci ho rivisto appieno quelle tifoserie fine anni novanta/inizio duemila che con i loro mezzi e la loro “cultura” da stadio, alla fine la sapevano davvero più lunga rispetto a chi si cominciava a perdersi dietro esagerate fisime mentali sull’estetica o la teoria.
Tuttavia, oltre alla curva, per me è considerevole anche la tribuna: oltre a essere stracolma, spesso inveisce e sbraita contro le decisioni arbitrali, oltre a sostenere a gran voce i propri giocatori. Immagino quanto debba essere bello assistere a una sfida con rivalità. Da segnalare la presenza di uno di quei personaggi in stile Al Capone, come dicevo all’esordio: un signore che armato di stampelle e accompagnato dal suo cane, sfodera un vero e proprio show per tutti i novanta minuti, percorrendo avanti e indietro il rettilineo della tribuna e finendo praticamente la voce a forza di urla e insulti in dialetto. Per quanto mi riguarda una delle cose più belle di questo pomeriggio. A chiudere il quadro non possono mancare tifosi e spettatori appollaiati sui balconi dei palazzi attigui, un’icona del calcio italiano che fu!
Volgendo lo sguardo al settore ospiti, invece, va dato merito anche ai ragazzi di Angri. Una prestazione, la loro, non facile da realizzare, considerato l’immediato svantaggio, la vittoria che manca ormai da tempo immemore e lo spettro della zona playout che si concretizza sempre più. Bello vederli rimboccarsi le maniche e tifare per difendere l’onore dei propri colori e della propria tifoseria. Tante manate, bandiere sempre al vento e una sciarpata finale che suggella la prova d’amore, venuta peraltro in un momento tutt’altro che semplice da un punto di vista della militanza. Gli incidenti col Matera e le scorie repressive seguenti non sono affatto cosa facile da gestire per una tifoseria che non può contare sui numeri e sul ricambio di piazze metropolitane e che deve, quindi, farsi forza e riuscire comunque ad andare avanti per continuare a dar linfa alla propria tradizione curvaiola.
Il match finisce 2-0 per i padroni di casa, con i rossoneri che vanno sotto la curva a ricevere l’applauso e l’incitamento del proprio popolo, mentre anche dalla tribuna partono cori e pacche sulle spalle. Umore ovviamente opposto tra le fila grigiorosse, con il coro “Meritiamo di più” che la dice lunga sullo stato d’animo dei supporter angresi. Prima di riconsegnare la pettorina mi diletto ancora in qualche scatto, giusto per avere altri ricordi di un bel pomeriggio, dall’aria tranquilla e non oppressiva, ma dal sapore molto italico e, ovviamente, molto campano. Un pomeriggio così non può che finire con un viaggio in Circumvesuviana, grazie al generoso passaggio che il buon Davide mi offre fino alla stazione di Torre Annunziata. Da lì uno dei classici treni carichi di umanità, storie, particolari da raccontare, rattusi, vrenzole e cuozzi, mi porta fino a Napoli, dove salgo sul primo treno per Roma, rincasando tutto sommato a un orario decente e cominciando a prepararmi per la sfida dell’indomani, quel Giulianova-Teramo che chiuderà alla grande un bel weekend di vero calcio e vero tifo.
Testo di Simone Meloni
Foto di Simone Meloni e Imma Borrelli
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