Calzamaglia, due paia di jeans, maglia termica, due maglioncini, cappello peruviano, scaldacollo e guanti in lana. Questo è lo scenario che si presenta a chi mi guarda mentre sto per uscire dall’ostello direzione stadio. Non che non ci fossi preparato, ma devo ammettere che il freddo provato a Mosca in quattro giorni, nonostante le adeguate coperture, proprio non riesco a paragonarlo a nient’altro. Il gelo che ti entra nelle ossa e la costante percezione che il termometro è sotto lo zero. La Russia, così diversa da noi. Forse anche un po’ stereotipata e decantata dai nostri libri e dalla televisione. Arrivare a Mosca è come mettere piede in un grande bazar, un mercato delle pulci che può metterti a disposizione di tutto, dalla magnifica Piazza Rossa alle fabbriche e i palazzoni in pieno stile sovietico posti a poca distanza.

La Moscova la taglia in due baciando la Cattedrale del Cristo Salvatore ma facendo da specchio anche alle costruzioni decadenti e fatiscenti in grado di ospitare più di duemila persone. Girarla è un qualcosa di impegnativo. Se poi questa impresa si compie in novembre allora vale doppio. La metropolitana ne è un po’ il simbolo, stazioni immense e stupendamente arredate, treni che passano ogni 30 secondi nel vano tentativo di decongestionare il perenne traffico che attanaglia le strade della capitale russa anche in piena notte. Non vengo certo da un piccolo centro sperduto in montagna, ma persino per me il caos di questa città è un qualcosa di esagerato e dispersivo.

Assieme a un altro ragazzo che mi ha accompagnato in questo viaggio, dobbiamo raggiungere l’Arena Khimki entro le 19, un’ora prima del fischio d’inizio. L’impianto, che attualmente sostituisce lo “Stadio Dinamo” chiuso per i lavori di ristrutturazione in vista dei Mondiali 2018, si trova un po’ fuori città e per raggiungerlo prendiamo la metropolitana fino al capolinea di Rechnoy Vokzal e da là un autobus. In tutto ciò orientarsi non è affatto facile. La quasi totalità delle indicazioni sono riportate in cirillico e noi cerchiamo di barcamenarci traslitterando qualche parola e rinunciando a chiedere informazioni ai passanti, l’esito è quasi sempre lo stesso: indifferenza o sguardi spauriti. Manco fossimo due agenti del KGB. Con un po’ di fortuna riusciamo a trovare il pullman che dopo qualche fermata ci scarica su uno dei tanti, immensi, stradoni di Mosca. Da là ci aspettano una decina di minuti a piedi prima di trovarci di fronte allo stadio. Sulle mail che la gentile società moscovita ci ha mandato è indicato il Gate 9 come l’entrata per la stampa. Lo troviamo pure abbastanza semplicemente e senza battere ciglio ci consegnano una pettorina “griffata” Uefa Europa League e un biglietto.

Mi spiace essere ripetitivo, ma in questi casi la mente va sempre a quelle magnifiche società italiane di Lega Pro e Serie D che spesso sono solite rifiutare accrediti o limitare il lavoro degli operatori in base a cavilli burocratici che nascondono un vero e proprio classismo, oltre al baronaggio, di questa professione. Si parla tanto della burocrazia russa, ma io rimango alquanto perplesso. Richieste di accredito accettate senza problemi, nonostante l’assenza di tessere stampa, qualche ora dopo l’invio. Informazioni fornite per arrivare allo stadio e tanta cordialità. Se ogni volta, nel paragone con l’Italia, mi trovo a ripetere le stesse cose, forse il problema non sarà degli altri, ma il nostro. Di una certa classe di giornalismo “straccione”, incravattato di fronte ai più piccoli e supino nei confronti di chi conta un po’ di più all’interno dei confini nazionali. Tutto molto triste, tutto molto provinciale.

Nel fare il nostro ingresso in campo non posso non menzionare l’incontro con un fotografo greco che subito ci prende di mira e tenta di fraternizzare. Le sue parole chiave fondamentalmente sono due: “Fa freddo e le donne russe sono stupende”. Ecco, riconoscendo l’appiglio mediterraneo alla faccenda non possiamo che prenderlo in simpatia e lasciarci andare ad una divertente chiacchierata. E pure sui due concetti espressi in effetti abbiamo poco da controbattere.

L’Arena Khimki, devo dirlo subito, non mi piace affatto. Innanzitutto mi accorgo che scattare foto ad ambo le tifoserie sarà assai complicato, visto gli alti teloni pubblicitari sotto le curve che impediscono di fotografare la gradinata alle spalle delle porte. Ma anche in merito a questo, ragiono troppo all’italiana. Eh si perché qua ultimamente sembra esser scattata la gara a chi ti dice di più “stai dietro le porte, non si scatta da centrocampo”. Ovviamente parliamo di situazioni che accadono su ameni campo della Lega Pro, dove altrettanto ameni personaggi che oltralpe conterebbero quanto il due di Picche quando regna Bastoni, si prendono la briga di riservarti un trattamento in stile Gestapo. Mi viene fatto notare infatti, a partita iniziata, che posso anche stazionare tranquillamente sulla linea laterale del campo, basta che non si superi l’altezza dell’area di rigore. Una prospettiva comunque buona per scattare alle due curve. Dicevamo dello stadio, mi ha dato l’impressione di un freddo e moderno impianto gettato nell’area nord di Mosca. Ma comunque bisogna accontentarsi.

Ciò di cui rimango un po’ perplesso invece è la situazione del tifo. Nel settore ospiti ci sono una cinquantina di tifosi ellenici, tra cui spicca la presenza di qualche romanista. Numericamente mi aspettavo qualcosa di più, anche se conosciamo tutti la situazione economica della Grecia e raggiungere la Russia non è proprio la cosa più semplice ed economica. Però speravo almeno in un centinaio di supporters provenienti da Atene. Per quanto riguarda i supporters della Dinamo invece rimango abbastanza colpito dalla totale assenza di pezze e dalla loro giovane età. Mi aspettavo più facce brutte  e più “cazzimma” come direbbe l’amico Celotto. Per carità, il loro tifo lo fanno onestamente, aiutati da un tamburo e da qualche torcia accesa qua e là. Ma c’è un qualcosa che continua a non convincermi. Da sottolineare l’amicizia con i “cugini” del Cska, una fratellanza sancita anche dai diversi murales all’esterno dello stadio in cui i nomi delle due squadre vengono avvicinati.

Sul fronte greco il tifo non manca, anche se un po’ più di compattezza non guasterebbe. Belli i cori a rispondere e le manate. Anche se la ciliegina sulla torta rimangono i petti nudi esibiti nella seconda frazione di gioco quando la temperatura era ormai scesa a 13 gradi sotto lo zero. Molti i cori contro, va ricordato infatti che nel match di andata gli ateniesi hanno sottratto una pezza ai rivali russi.

In campo la partita è abbastanza godibile con il Panathinaikos che passa in vantaggio nel primo tempo venendo ripreso e superato nella ripresa. Un risultato che qualifica di diritto la Dinamo e sancisce l’uscita dall’Europa League del Pao. Mentre riflettiamo su tutto ciò devo dire che stare a bordo campo si trasforma minuto dopo minuto in un vero e proprio supplizio. E’ come se ci arrivassero in faccia intere stalattiti di ghiaccio. Non sono un tipo freddoloso, ma qua è davvero troppo. E onestamente neanche resisterei a dover indossare tutti i giorni guanti, cappelli e maglioni. Vestiari che detesto letteralmente.

Arriva così il triplice fischio e in men che non si dica, assieme ai giocatori, guadagniamo la via degli spogliatoi per riprendere i nostri documenti e fare ritorno in ostello. L’autobus per la metro non si fa attendere, ma prima di riscendere nella città sotterranea ci concediamo una birra in uno dei tanti centri commerciali aperti anche di sera. Mosca è una realtà ben diversa da quello che ci fanno credere.

Simone Meloni