Trajkovski ha appena segnato la rete del 2-0. Un gol pesantissimo. Un macigno. Uno schiaffo forte e duro che forse spegne tutte le residue chance di salvezza per il Frosinone. Gli uomini di Stellone ci hanno provato per tutta la partita, hanno trovato sulla propria strada un grande Sorrentino e una buona dose di sfortuna. Lo specchio fedele di una stagione che, comunque vada, è stata onorata e vissuta nel migliore dei modi. Qualcuno, in tribuna, comincia a sfollare. Sopra di me sento gridare: “Bravi andatevene, avete tutti visto la Serie A evidentemente, questi ragazzi meritano solo applausi”. È una frase bella, perchè sa di vecchio calcio, di vecchi sentimenti. Rispecchia fedelmente il manto erboso e umidiccio del Matusa. Circondato da quegli spalti che non hanno mai abbandonato i giallazzurri. E che propri qualche istante dopo risuonano in un coro potente e orgoglioso: “Noi siamo il Frosinone”. Lo hanno ribadito per tutto l’anno, sbraitando e difendendo con le unghie e con i denti la propria terra e il proprio innato senso di appartenenza da chi sin dalle prima battute a gli ha detto con presuntuosa spocchia che per loro non c’era posto tra i grandi.

Sì, perchè se qualcuno se ne va per non incontrare traffico, la stragrande maggioranza resta dentro. Non un fischio. C’è delusione, come è giusto che sia, ma c’è la Curva Nord a prendere per mano i ragazzi con la maglia giallazzurra, con le lacrime agli occhi. Li hanno sostenuti per tutta la partita, anche se sapevano che sarebbe stata dura. Anche se sapevano che il gol di Gilardino sarebbe stata una coltellata ardua da medicare. Loro hanno steso le sciarpe al cielo, dal primo minuto, hanno spronato giocatore per giocatore e hanno gridato tutto il disappunto per scelte arbitrali che, obiettivamente, quest’anno non sono state benevole con il club di Stirpe.

Eppure è un qualcosa che in Serie A andrebbe sottolineata e fatta vedere come esempio a tante grandi tifoserie. Quelle che protestano quando arrivano seconde invece che terze, o che fanno le schizzinose per aver vinto 3-0 invece di 4-0, o che contestano dopo tre sconfitte consecutive. Pure se in bacheca hanno due Coppe del Nonno e un cono Sammontana. In loro non c’è più sentimento, non c’è più passione. Ricordo i tifosi doriani, qualche anno fa. Retrocedettero in maniera drammatica. Ma cantando, sventolando le proprie bandiere. “Tu solamente tu, non aver paura, non sarai mai sola” cantavano quella sera allo stadio Olimpico di Roma, quando il declassamento era già matematico.

E i ragazzi della Curva Nord oggi, dopo il raddoppio rosanero, questo hanno detto ai propri giocatori. Non li hanno rimproverati, non hanno capovolto gli striscioni. Li hanno richiamati mentre andavano verso gli spogliatoi e li hanno osannati. Per loro e per i propri colori. Un’immagine molto emozionante, che saprei descrivere con trasporto anche se protagonista fosse il mio peggior nemico calcistico. Perchè il pallone senza questo, senza i suoi tifosi, senza le sue battaglie campaniliste, senza le sciarpe tese e i fumogeni accesi, le mani al cielo e i bandieroni sventolanti…cosa sarebbe? Il nulla cosmico.

Frosinone probabilmente tornerà in cadetteria, questo sta dicendo il campo. Ma Frosinone e la sua gente, hanno portato in Serie A un qualcosa che questa categoria non merita più e fondamentalmente non vuole più. La semplicità nell’interpretazione del calcio. I pochi fronzoli, la ruvidità, l’essere spartani laddove serve e, perchè no, semplicemente attaccati alle proprie origini senza troppi giri di parole. Senza rinnegare nulla. Non è facile per chi vive in una regione come il Lazio, letteralmente fagocitata, a livello sportivo, dalle due squadre della Capitale. Ci parlano di sviluppo, di futuro, di nuovi tifosi. Ma chi li vuole i nuovi tifosi? Chi sarebbero poi? I tifosi sono quelli che tifano, che amano, che esultano, si incazzano, offendono l’arbitro e piangono quando vedono un sogno svanire. Sono quelli che non rinnegano la storia o il proprio passato, e che pure al massimo livello dello sport nazionale ricordano le rivalità di sempre e onorano gli amici di una vita, come dimostra lo striscione per Sly, storica figura del tifo paganese scomparso poco tempo fa.

Non è dato sapere se per il Matusa sarà l’ultimo anno di attività. Non possiamo dirlo. Di certo quelle sue tribunette strette, quelle curve attaccate al campo, quei tifosi che si aggrappano alle recinzioni per mettere pressione ad arbitri e guardalinee, restano tra le poche immagini romantiche di una Serie A versione industria, più intenta a pensare ai colpi di tacco e agli shampoo utilizzati dai calciatori da mandare in prima serata che alla bellezza estrema di questo sport nella sua naturalezza. E la naturalezza è anche il pubblico, unico e vero custode del pallone.

Fanno festa i tifosi siciliani, alla prima uscita ufficiale con la tessera del tifoso, almeno per una parte della tifoseria organizzata. Sono giunti nel Lazio in un manipolo, senza striscioni, cantando soltanto per il Palermo e i diffidati. Per loro non dev’essere un momento facile. Sicuramente uno delle cause dello sfacelo calcistico italiano ce l’hanno in casa. Quello Zamparini fatto oggetto di cori d’insulto da tutto il pubblico giallazzurro, con il bene placito dei palermitani, che si sono uniti ai frusinati con un significativo applauso. Simbolo di come i risultati contino, ma la continuità del club, delle tradizioni e della passione siano alla base di tutto.

Simone Meloni