Il colpevole ritardo nella stesura di questo pezzo mi costringe a fare una piccola introduzione off-topic (ma neanche tanto).

Un intero pullman di tifosi salernitani (42 per l’esattezza) è stato diffidato per possesso di artifizi pirotecnici in occasione della trasferta di Palermo, lo scorso dicembre. Un Daspo di gruppo, come è comunemente chiamato. Un provvedimento che da qualche anno è andato ad appesantire l’impianto repressivo già vigente nei confronti dei tifosi e che in più di un’occasione ha incontrato pareri negativi da parte di giudici e avvocati, venendo sonoramente bocciato da diversi Tar.

Un’azione che va contro qualsiasi logica osservata da Paesi, non dico civili, ma quanto meno rispettosi dei basilari diritti umani. Come quello che indica la responsabilità sempre in termini individuali. Ci troviamo così spesso a ripeterlo che ormai sembra addirittura anacronistico. Eppure l’infinito potere che si è dato alle Questure nell’emissione dei Daspo produce ormai una scandalosa corsa a comminarne quanti più possibile, sapendo di poter agire nel silenzio generale.

Ecco, la mia apertura vuole essere proprio per non dimenticare le libertà che il sistema poliziesco di questo Paese si può permettere verso determinate categorie di cittadini. Senza voler entrare nel merito dell’accaduto, è un po’ difficile credere che tutti gli occupanti del pullman possano essere responsabili di torce e fumogeni a bordo, mentre è tristemente facile immaginare come la vita di tutti e 42 verrà rovinata da un procedimento incostituzionale e profondamente ingiusto.

Detto ciò cerchiamo di fare qualche passo indietro e tornare a questa sabato di febbraio.

Sì, è vero: i numeri sono impietosi. Questa partita senza gli ultras si sarebbe giocata praticamente a porte chiuse e vedere uno stadio Adriatico semivuoto con il solo zoccolo duro al centro della Nord protagonista è senza dubbio avvilente.

Le delusioni sportive degli ultimi anni sono state sicuramente letali per una fetta di pubblico pescarese. Il doppio ritorno in A, con tante belle speranze, è stato tradito da pesanti retrocessioni, arrivate praticamente ben prima della fase finale, mentre l’attuale campionato è stato finora contrassegnato da luci e ombre, non trasmettendo molta fiducia agli sportivi adriatici. Un mix di fattori che ha allontanato molta gente dallo stadio e creato, come sempre succede in questi casi, molte spaccature tra chi vede diversamente questioni tecniche e societarie.

Il dato di fatto è che la Pescara ultras – quella che nel bene o nel male c’è sempre dove gioca il Delfino – è rimasta al suo posto, seppure con numeri non strabilianti e un’aperta contestazione nei confronti del patron Sebastiani.

Quest’oggi, prima del calcio d’inizio, il ricordo è tutto per Bruno Pace, storica ala del calcio anni ’60 e successivamente allenatore, che nella città di D’Annunzio era nato. Per lui ci sono striscioni fuori lo stadio e un intenso ricordo all’interno. Le bandiere del calcio in bianco e nero, quelle che i terreni di gioco infangati e sconquassati li hanno vissuti e ne hanno scritto le pagine più belle, rimangono nel cuore della gente e si tramandano di generazione in generazione. Per questo è bello vedere ragazzini impegnati ad affiggere il messaggio in suo ricordo.

Il calcio è una vera e propria cultura, che capisci solo se vivi. Scusate la banalità, ma tanto dovevo.

Pescara-Salernitana è inoltre una partita che non passa inosservata agli occhi di chi ama il mondo del tifo. In molti ricorderanno senza dubbio una sfida tra biancazzurri e campani datata 9 giugno 1996. Scialbo 1-1 in campo e caldissimo clima sulle gradinate, con furiosi incidenti tra polizia e granata.

Mentre il ricordo più amaro, per i supporter del cavalluccio in terra d’Abruzzo, è senza dubbio quello relativo alla stagione 1990/1991, quando all’Adriatico si giocò lo spareggio salvezza tra Salernitana e Cosenza. I calabresi la spuntarono 1-0 (gol del compianto Marulla) rispedendo in C i granata dopo solo un anno di permanenza in cadetteria.

Storie conosciute e ciclicamente raccontate dagli amanti di un certo calcio. Storie che rimarranno per sempre nei cassetti della memoria ma che contribuiscono comunque a dare fascino alla partita odierna. Pur sapendo che quei tempi sono lontani e inimitabili.

I biglietti venduti in Campania sono 504. Tutto sommato un buon numero se si considera il campionato anonimo della Salernitana e quindi lo scarso interesse per i tifosi cosiddetti “occasionali”. La trasferta è stata consentita anche ai non possessori della tessera del tifoso, pertanto ci sono tutte le insegne del tifo salernitano attualmente attive.

Le due fazioni si stuzzicano subito, facendo riaffiorare una rivalità ostruita troppo spesso negli ultimi anni da divieti e limitazioni (basti pensare che i pescaresi sono tornati all’Arechi quest’anno dopo tanti anni di trasferte negate).

Alle 15 in punto le due squadre fanno il loro ingresso in campo e le curve, dopo aver riscaldato i motori, cominciano a incitare le squadre in campo. E, come accennato, la sostanza c’è ed è forse sufficiente se si guarda la giornata con l’unico scopo di giudicare il tifo. Pochi fronzoli ma tanta voce e colore, con sbandierate e sciarpate.

Su fronte pescarese da segnalare anche il gruppo in Curva Sud che si sbraccia cercando sovente di provocare i dirimpettai.

In campo è la squadra di Zeman ad aggiudicarsi i tre punti grazie a un gol di Brugman nel finale. Applausi per i biancazzurri e fischi perla Salernitana, alla seconda sconfitta consecutiva.

C’è ancora spazio per gli ultimi “saluti” tra le tifoserie prima che decida di dare le spalle al manto verde dell’Adriatico per fare ritorno verso casa. C’è un vento freddo che spira dal mare e il gelo sta lentamente calando su Pescara. Mi appresto a lasciare l’Abruzzo ragionando su quanto la mia parte minimalista sia fondamentalmente soddisfatta per quanto visto mentre dall’altra parte, quella più ragionevole, mi spinge comunque a considerare lo scarso afflusso di pubblico come una sconfitta per il nostro movimento calcistico e di tifosi. Ma questa purtroppo non è una novità.

Simone Meloni