L’ottima impressione che i Lariani mi hanno fatto a Meda, mi convince a superare il confine lombardo per seguire lo spareggio contro il Piacenza, per una delle partite a gara secca utile a definire la griglia definitiva dei play-off di Lega Pro.

La collocazione oraria alle ore 18.00 è perfetta per ampliare gli orizzonti ed improvvisare con la famiglia un piccolo tour nella provincia emiliana, tra borghi, castelli ed ottimi affettati. Tutto perfetto, o quasi, perché dimentico il cellulare sul tetto dell’auto e dopo qualche chilometro dallo specchietto retrovisore lo vedo decollare e subito disintegrarsi sull’asfalto della Tangenziale Est. Inutile piangere sul latte versato, mi dico, tiremm innanz e prendiamola come viene.

Poche settimane prima le due squadre si affrontavano in riva al Lario e nel prepartita si sono verificate schermaglie tra gruppi ristretti delle opposte fazioni, arrivate a contatto in numero impari e, paradossalmente, più favorevole agli ospiti. Inutile quindi dire che, oltre all’importanza sportiva, c’è attesa e desiderio di un secondo round, ma la cosa non passa inosservata, tanto più nell’era dei social media, e gli zelanti tutori dell’ordine riusciranno ad adottare le contromisure necessarie ad evitare il ripetersi di certi incontri ravvicinati. Arrivare al “Garilli” con un’ora abbondante di anticipo rispetto al fischio d’inizio si rivela quindi sostanzialmente inutile: le divise blu non sono nemmeno presenti in numero massiccio, ma non sfugge la presenza della Digos di entrambe le Questure a monitorare le adiacenze dello stadio, posizionate nei luoghi nevralgici.

I sostenitori piacentini si attardano a propria volta intorno a qualche chiosco perché, giustamente, la prima regola di un ultras è quella di presidiare, senza se e senza ma, il proprio territorio, pronto a difenderlo se l’avversario di turno tentasse di profanarlo. Effettuando un paio di ricognizioni trovo conferma dell’idea che mi ero fatto al Sinigaglia: spicca tra le fila biancorosse un manipolo all’apparenza piuttosto scomodo, il classico zoccolo duro composto da ultras di lungo corso che non dovrebbe mai mancare a nessuna tifoseria. Non si può fare a meno di notare, però, come il numero di nuove leve sia piuttosto esiguo e questo non è indice di buona salute per una realtà ultras, se si ragiona anche pensando al domani.

Quando manca una quindicina di minuti al via, comunque, rompo gli indugi ed entro nell’impianto piacentino, indeciso se accedere a bordocampo oppure, visto l’avvicinarsi di nuvoloni minacciosi, fermarmi in tribuna centrale. Gioco la carta più rischiosa e si rivelerà la scelta giusta perché, nel volgere di pochi minuti, il meteo migliora sensibilmente.

La tribuna opposta a quella centrale presenta un buon colpo d’occhio e, come è noto, ospita anche gli ultras locali, con il risultato che il loro feudo storico, la Nord, è però nuda e deserta.

Sostanzialmente vuota resta anche la curva ospite fino al momento in cui le squadre fanno ingresso in campo. Proprio la mancanza del telefono non mi consente né mi consentirà di appurarne le ragioni, ma viene spontaneo pensare che si sia trattato di una decisione imposta dalle FdO, vuoi per fare arrivare i Comaschi con gli avversari già sui propri gradoni oppure – e la cosa non ci sorprenderebbe – come forma di punizione per avere anche solo voluto pensare di movimentare la domenica.

I primi cori di incitamento degli ospiti si alzano quando ancora il grosso della gente è nell’antistadio, poi a filtraggio ultimato i biancoblù si riversano nel settore e lo colorano in un amen: drappi appesi, bandieroni e numerose bandierine colorano a dovere uno dei quadrati che compongono la curva sud. L’incitamento vocale comincia con la terza ingranata e prende subito velocità, e non potrebbe essere diversamente visto che per i lariani l’unico risultato buono è la vittoria. Le manate ed i treni non si contano e coinvolgono la stragrande parte dei presenti.

Decisamente meno colorati i locali che, nonostante l’importanza del match ed il campo amico, offrono una prestazione senz’altro al di sotto delle mie attese, ma forse anche di quanto è lecito attendersi da chi sta lottando per salire di categoria: poco generosi dal punto di vista coreografico e ancor meno originali nell’esporre uno striscione offensivo in rima che si è visto almeno già una mezza dozzina di volte in passato.

I Comaschi li stuzzicano intonando a varie riprese il coro “Giochiamo in casa” e per tutto il primo tempo, anche dal punto di vista vocale, mi pare di poter dire che non c’è partita: sarebbe sbagliato dire che la sponda emiliana non stia cantando, ma bensì è evidente che a fronte di una “minoranza rumorosa”, prevalga numericamente una maggioranza silenziosa e poco incline alla partecipazione, come meglio si potrà notare durante la sciarpata biancorossa.

La partita è abbastanza equilibrata e molto nervosa, il Como si cala nel ruolo e propone una manovra offensiva che però solo raramente arriva dalle parti del portiere avversario. Il Piacenza si limita a contenere ed a ripartire in contropiede. Al ventesimo minuto ci sarebbe anche il vantaggio degli ospiti, ma mentre l’autore (Cristiani) è in piena corsa sotto la curva arriva il fischio arbitrale che annulla la rete e recide di netto l’esultanza dei lariani. Poco chiare, in assenza di replay, le ragioni del direttore di gara e quindi piuttosto ingenerosa l’ammonizione aggiuntiva, per non dire della valanga di insulti che il giocatore n° 17 riceve da un paio di avversari quando rimette piede in campo. Passano dieci minuti e, complice anche una leggerezza della difesa lombarda, è il Piacenza a trovare il gol: botta dolorosa per l’undici di mister Fabio Gallo, soprattutto per il morale perché ora il Como deve segnare almeno due goal, senza subirne altri, per poter passare il turno.

Non paiono accusare il colpo i sostenitori ospiti, che restano sugli ottimi livelli di tifo vocale ed a fine tempo, accompagnata dal coro “O comasco dal cuore ubriaco”, si cimentano in una bella sciarpata, protrattasi vari minuti per la gioia dei fotografi che possono così riprenderla dalle più svariate posizioni.

Il tempo si chiude con i locali in vantaggio e si ricomincia con il Como che ci prova ancora, attaccando questa volta verso la curva nord. Il cambio di campo segna il classico turn-over dei fotografi: gli inviati dei mass-media lombardi si spostano sotto la curva di casa e quelli locali arrivano sotto la curva sud, ciascuno di loro nell’attesa di immortalare le azioni di attacco più significative. Fatto strano che, a fronte di tre fotoreporter al seguito del Como, si registra una sola presenza piacentina, segno forse che il calcio a queste latitudini fa audience solo in certe categorie.

Al ritorno in campo delle squadre i lariani propongono la coreografia inizialmente prevista per l’inizio partita, alzando e sventolando bandierine bianche, azzurre e blu. Per il resto il registro della ripresa non varia di molto, se non per la crescita dei piacentini a livello vocale, che appare piuttosto netta pur senza essere travolgente.

Il ricongiungimento familiare mi porta a salutare il Garilli quando mancano dieci minuti al triplice fischio. Vengo raggiunto dall’eco dell’esultanza ospite per la raggiunta parità ma sono già sulla via di casa quando il Piacenza ritorna in vantaggio.

Vanno avanti quindi i biancorossi (che affronteranno in un derby tutto emiliano il redivivo Parma) mentre arriva la parola fine per i biancoblù, i cui sostenitori chiudono il campionato in ottima forma: toccherà ora alla nuova proprietà gettare le basi per una stagione 2017-2018 all’altezza dei propri tifosi.

Testo e foto di Lele Viganò.