Dopo oltre due anni decido di varcare il confine naturale delineato dall’Appennino tosco-emiliano e seguire una partita nel sempre affascinante gelo nordico. Per diverse ragioni quella tra Piacenza e Lecco è una sfida che contrappone due storiche realtà del calcio italiano, che in comune hanno una militanza in Serie A di tutto rispetto. Sebbene in due periodi storici cronologicamente distanti.

Piacenza è il capoluogo di provincia emiliano più distante venendo da Sud e me lo ricordo quando, dopo aver raggiunto Bologna, realizzo di aver ancora un paio d’ore di viaggio davanti a me. Al cospetto di una giornata fredda il sole splende piacevolmente sulla Pianura Padana ed è sempre con un affascinato interesse che osservo quest’operosa gente locale dedicarsi alla propria terra anche in un giorno di festa o rassettare oggetti e piante nei casolari disseminati qua e là.

Dalla stazione allo stadio è una mezz’ora abbondante di camminata tra le strade deserte, fino allo scorgere la sagoma del Garilli.

Le due squadre non hanno finora brillato in un campionato che vede il Sudtirol in fuga e il Padova affannosamente sulla sua scia. Pertanto i biglietti staccati non sono di certo numerosi e questo è il classico caso in cui a salvare capra e cavoli sono gli ultras, onnipresenti sulle gradinate ed unici a creare un minimo di atmosfera. Pertanto credo sia sin troppo superficiale guardare le foto di questa partita e puntare il dito, in particolar modo, sui numeri dei piacentini. Lo zoccolo duro c’è e sosterrà i biancorossi per l’intera partita. Di certo è molto difficile “esibirsi” in uno scenario grande e dispersivo come quello del Garilli e lo è ancor di più quando il tifoso “normale” non risponde all’appello contribuendo a creare un “contorno”.

A questa considerazione ne aggiungo però un’altra: Piacenza, Lecco e molte altre del Nord sono città che per ovvi motivi antropologici non possono godere di un seguito “extra” come può ad esempio succedere nelle realtà meridionali, capaci di portare la massa anche in trasferte lontane grazie ai tanti emigrati. Questo credo influisca anche sul seguito cittadino. Chi ha origini “alloctone” tenderà a tifare la squadra della propria famiglia oltre ad una certa percentuale di “autoctoni” che preferiscono le big della Serie A alla più modesta C. Pertanto quando si parla di numeri bisogna sempre tener conto del contesto. Rammentando infine che non sempre “numeri” significano “qualità”.

Da Lecco giungono un centinaio di supporter che vengono posizionati nell’angolino basso del settore ospiti, una sorta di ritorno alle origini dopo che i tifosi provenienti da fuori, per anni sono stati fatti accomodare sui “nuovi” spalti costruiti ad ampliamento della vecchia Sud, in concomitanza con l’ascesa calcistica della compagine locale. I primi cori sono tutti all’indirizzo dei dirimpettai che, ovviamente, non si fanno attendere confermando la poca simpatia che corre tra le due tifoserie. Una rivalità che in passato è stata anche palcoscenico di incidenti e disordini.

È la prima volta che mi trovo di fronte i lecchesi e ammetto di rimanerne ben impressionato: buona intensità e stilisticamente belli. Sempre piacevole, poi, vedere qualche torcia far capolino nei settori. Una tifoseria che negli anni ha sempre seguito e che in ambito regionale può vantare davvero un’ottima tradizione, rinfrancata dalle ultime soddisfazioni calcistiche (ritorno tra i professionisti e società apparentemente solida e lungimirante alle spalle) e vogliosa di confrontarsi con le piazze più importanti del girone.

In campo la partita non si contraddistingue propriamente per emozioni e bellezza e alla fine sono gli ospiti a spuntarla grazie a un gol di Celjak al 61′. Un successo che rilancia i lombardi a ridosso della zona playoff e che, di contro, provoca fischi e malumori tra i tifosi emiliani.

Simone Meloni