La corazzata Sudtirol, unica squadra italiana ancora con zero sconfitte dai campionati professionistici fino alla Serie D, arriva a Piacenza con l’intento di continuare il suo ruolino di marcia che la conduca fino alla storica promozione in serie B.

Si gioca alle 17.30 di domenica alla presenza di poco più di 1.500 spettatori con la curva di casa chiusa così come avviene da diversi anni a questa parte. Il tifo dei locali dunque si concentra nella parte alta dei distinti centrali con 5-6 pezze ed un bandierone anche se a tifare è solamente un gruppetto ristretto tra i presenti. Eppure, seppur siano in pochi, la loro potenza è notevole, soprattutto quando si alzano cori contro la Cremonese, nemica storica dei piacentini e protagonista di derby molto sentiti in un passato ormai remoto che ovviamente tutti sperando di rinverdire.

Da Bolzano giungono una ventina di tifosi raggruppati dietro tre pezze. Un numero tutto sommato buono, considerata non tanto la posizione in classifica quanto i chilometri che separano le due città e soprattutto il travagliato rapporto tra il Sudtirol e il processo di creazione di uno zoccolo duro di sostegno attivo sugli spalti. Il calcio in Alto Adige ha una dimensione profondamente locale, con buoni numeri di spettatori anche nelle categorie più “basse”, conseguentemente o forse proprio a causa dell’assenza di un club che faccia da “massimo comun denominatore”. Se a Bolzano gioca infatti da circa 20 anni il Sudtirol, tale sodalizio ha sempre mantenuto la medesima categoria e soprattutto ha origine a Milland, quartiere di Bressanone, cittadina dove fino a poco tempo fa manteneva la sua sede legale. Per chi ha buona memoria, sono invece ancora vivide le immagini di spalti popolati negli ultimi decenni del XX secolo a sostegno del Bolzano Calcio. Ma questa è un’altra storia.

Luigi Bisio