A differenza delle grandi tifoserie del movimento nazionale, la storia del tifo in una città piccola come Rotonda è sconosciuta ai più: ci aiutate a ricostruirla e contestualizzarla?

La squadra di calcio a Rotonda nacque nel 1953 e per molti anni, come tutte le piccole realtà dell’epoca, ha militato in categorie minori. Le prime tracce che ci portano a movimenti relativi al tifo, ovviamente non organizzato, risalgono alla fine degli anni settanta e inizio anni ottanta. All’epoca ci fu la scissione della società in ASD e FURIE, due squadre che hanno militato nello stesso campionato per molti anni con conseguente divisione della comunità in sostenitori dell’una o dell’altra parte. La rivalità era fervida, infatti si racconta di derby molto caldi e sentiti in cui partecipava tutta la comunità, a volte con episodi goliardici che, raccontati oggi, ci farebbero sorridere.

Nella metà degli anni ’80 si è formata un’unica società, molto seguita ma priva di un vero gruppo organizzato, sino ad arrivare ai primi anni ’90 in cui molti giovani dell’epoca si cominciarono a radunare, un po’ per uscire dalla monotonia di un piccolo paese, un po’ per la passione del tifo e l’attaccamento ai colori sociali biancoverdi. La domenica scattava il rito dello stadio e del tifo, allorquando ci si approcciava all’attesa partita: in quegli anni la squadra era all’apice, pertanto si ritenne fosse giunto il momento di formare un vero e proprio gruppo organizzato. Da lì fu breve il passo all’apertura di una sede dove incontrarsi e discutere di calcio, stabilire coreografie, tifo, cori, ecc.

Nel Novembre del 1992, in occasione di un derby contro il Castelluccio, per la prima volta apparve uno striscione di 50 metri con i nostri colori, accompagnato da uno stendardo con al centro un teschio. Per identificarsi il gruppo di allora usava una sigla che ancora oggi è visibile su molte mura del paese: B.B.V. Da qui iniziò la storia delle Brigate Bianco Verdi.

E dal 1992 dunque, veniamo più specificatamente alla storia delle “Brigate Biancoverdi”…

Dal 1992 in poi, la storia delle Brigate è andata affermandosi sempre di più in anni in cui il movimento era in continua fermento. Molti ragazzi si avvicinarono al gruppo, un po’ per curiosità un po’ perché la squadra in quegli anni era al culmine della sua storia calcistica più recente e in molti hanno cominciato a seguirla sia in casa che in trasferta, dove si rammentano trasferte memorabili: Melfi, Tricarico, Armento per una finale di Coppa Italia Regionale. Iniziarono a vedersi le prime sciarpe e i primi stendardi, iniziarono le prime coreografie: indimenticabili quelle con i rivali storici del Castelluccio oppure quella con il Bernalda che sancì la vittoria del campionato in uno stadio gremito in ogni ordine di posto. Poi la storia proseguì con l’arrivo e la vittoria degli spareggi Nazionali per salire in Interregionale (attuale Serie D) e da lì iniziarono gli anni d’oro del gruppo.

Ultras nella vita non solo alla partita, dice qualcuno per sottolineare l’impegno quotidiano per la propria comunità ben oltre il solo tifo domenicale. Voi come la vedete?

Per noi essere ultras va al di là dei 90 minuti, per noi essere ultras è uno stile di vita (e non è sicuramente retorica).
Molti di noi sono cresciuti di pari passo al movimento cittadino, lo spirito che ci ha sempre contraddistinto è e sarà sempre lo spirito di aggregazione; con noi nessuno dei ragazzi si sentirà mai inferiore, tutti sono protagonisti senza chiusura per nessuno. Il nostro scopo è stato sempre quello di aprirci a tutti i ragazzi del territorio, cercare di dargli un alternativa alla modernità di oggi.
Non vogliamo certo essere paladini di nessuna giustizia sociale, ma sicuramente in questi anni abbiamo dimostrato che una delle nostre priorità è rivolta a chi è in difficoltà. In questi anni ci siamo prodigati in molte iniziative benefiche sia sul territorio locale che nazionale. Per noi essere ultras non significa esserlo solo la domenica, abbiamo degli ideali che fanno quotidianamente parte del nostro essere.

Per quanto spesso colpisca più duro nelle categorie maggiori, anche nel calcio di provincia la situazione non è poi molto dissimile: come vivete il vostro rapporto con la repressione?

Cosa dire sulla repressione; purtroppo è un fenomeno che negli ultimi anni ha colpito tutto il movimento e ha colpito anche noi duramente. Nel nostro gruppo abbiamo ben 8 diffidati, un numero enorme per la nostra realtà e per il quale il gruppo ha rischiato di sciogliersi, poiché chi è stato colpito era elemento fondamentale per il gruppo stesso.
Questa repressione isterica ha allontanato anche qualche altro elemento giovane che, un po’ per timore e un po’ per ignoranza, ha finito per cedere alla sua forza deterrente.
Con molta fatica comunque abbiamo deciso di continuare, i primi tempi è stata molto dura ma grazie al gruppo storico che ha fatto quadrato intorno a noi siamo riusciti ad andare avanti.
Pensiamo che il calcio sia della gente e reprimere una passione porta soltanto ad allontanare le persone dallo Stadio.
ULTRAS NO CRIMINALI. 

La trasferta, la quintessenza dell’essere ultras: ne avete qualcuna da ricordare, per quanto successo sugli spalti o in campo, per un motivo o per un altro?

La Trasferta rappresenta il momento più coinvolgente, più aggregazionale, più stimolante che ci possa essere nella mante di un ultras e ciò vale anche per noi. Vivere in una piccola realtà Lucana sicuramente toglie tanto nella vita, ma altrettanto sicuramente ti rafforza nei sentimenti verso il tuo amico, compagno, ultras.

Di trasferte memorabili in questi anni ne abbiamo fatte diverse, ma quelle che hanno lasciato una traccia che rimarrà per sempre nei nostri ricordi sono poche, seppur di un significato importantissimo per il movimento ultras nostrano. Tra queste, come dimenticare la trasferta di Battipaglia nel marzo del 1996 in Serie D, contro la Cavese?! Una trasferta epica, al cospetto di una grande realtà che riempì lo stadio con oltre 2.000 tifosi, ma noi nel nostro piccolo non sfigurammo e compatti e colorati come non mai, con la presenza di più di 100 ultras, quasi tutto il gruppo al completo, facemmo un ottimo tifo ricevendo, a fine partita, persino i complimenti di ultras di casa e fu lì che, guardandoci tra di noi, capimmo finalmente che il gruppo era diventato grande.

Ma non ci piace parlare solo del passato, vogliamo anche ricordare una trasferta che per la categoria (parliamo di Promozione Lucana) e per distanza chilometrica ha segnato il nuovo corso del gruppo. Stiamo parlando della trasferta ad Atella (200 km) contro lo Scalera. Tre autobus, auto private e addirittura le sezioni B.B.V. di Milano e Bologna presenti per l’incontro che poteva valere il ritorno in Eccellenza. Più di 200 persone, la maggior parte ultras, in un momento anch’esso memorabile perché dimostrava che Rotonda e la sua gente avevano voglia di calcio, quello vero.

Spinta dall’entusiasmo, in un paio di anni la squadra ha fatto il suo ritorno in serie D dopo quasi vent’anni d’assenza. In tanti anni di attività per noi è stata dura mantenere costantemente dei livelli alti, ci sono stati ovviamente alti e bassi, come succede in tutti i gruppi ultras. I vuoti sono stati frutto un po’ anche delle vicende legate alla squadra: dopo la D dei primi anni 2000 la squadra non si iscrisse a nessun campionato, ripartendo successivamente dal campionato di Seconda Categoria. Dopo aver giocato con realtà come Taranto, Catania, Messina ci ritrovammo in una situazione molto difficile da accettare, ci prendemmo una pausa ma si decise che il gruppo non doveva sciogliersi. La nostra presenza comunque non venne mai meno, per quanto il tifo organizzato non fu garantito, questo finché non si decise di ritornare in pianta stabile su quei gradoni, per aiutare a riportare un entusiasmo che mancava da anni intorno al Calcio Rotonda.

Ieri, oggi e domani, come vedete in generale lo stato di salute del mondo ultras?

Il mondo ultras da quando abbiamo iniziato nel 1992 ad oggi è cambiato totalmente in mentalità, valori, nell’apparire, nell’essere. I tempi sono cambiati è vero, ora molti badano molto più al lato esteriore che all’essenza dell’ultras, per molti sembra quasi più importante avere il cellulare all’ultima moda per mettersi in posa e riprendersi allo stadio invece di viverlo dal vero, viverlo da ultras. Ma su tante altre cose bisogna adeguarsi, è inutile fare del moralismo, è inutile pensare al passato: bisogna adeguarsi e mettere in atto le proprie contromosse se non si vuole scomparire. In questi ultimi anni abbiamo però visto che intorno al movimento qualcosa si sta muovendo, soprattutto intorno alle piccole realtà come la nostra dove, abbiamo notato, in molti si stanno approcciando con curiosità a questo mondo e sicuramente da qui bisogna ripartire, anche se per il nostro modo di pensare ultras si nasce, non lo si diventa.

Guerra e pace sono i due poli opposti attorno ai quali gravita la vita degli ultras: quali sono nel vostro caso amicizie e rivalità?

In tutti questi anni di militanza, abbiamo avuto modo di conoscere molte realtà ultras e con molte di queste è nato un rapporto di rispetto, vedi Sicula Leonzio e Melfi, mentre con molte altre il rapporto è cresciuto ben al di là del semplice rispetto ultras, tra questi sicuramente ci sono quelli con i ragazzi delle Teste Matte 88 di Castrovillari, con i Boys di Moliterno e con gli Ultras di Montescaglioso.

Per quel che riguarda le rivalità, fra queste dobbiamo sicuramente annoverare quella storica con il Castelluccio, ma anche con le squadre delle realtà intorno a noi tipo Lauria e Lagonegro: sono delle rivalità che vanno oltre l’aspetto puramente sportivo, riguardano soprattutto il campanilismo territoriale. Sicuramente il nostro modo di fare, e il nostro comportamento ha portato in questi anni altre antipatie, ma questo poco ci importa, per il resto rispettiamo chi ci rispetta.

In quanto a rapporti, come intendete quelli con la vostra società calcistica?

Noi abbiamo sempre sposato nei confronti della società un rapporto di equidistanza. Vivendo in un piccolo paese a volte è difficile far comprendere a molti questo modo di fare e di intendere i rapporti con la società. Abbiamo voluto portare una mentalità da grande realtà che non tutti sono riusciti a capire. Per noi la società deve fare la società e gli ultras devono fare gli ultras. Questo non toglie il fatto che stiamo apprezzando molto gli sforzi che in questi anni si sono profusi e l’impegno che si è avuto per far ritornare grande e glorioso il Calcio Rotonda.

Fra tutti quelli vissuti, qual è il momento che ha segnato per sempre il vostro immaginario di ultras e tifosi del Rotonda?

Sicuramente in tanti anni di militanza ultras di cose belle ne abbiamo viste e vissute tante, ma nel nostro immaginario sono rimaste però particolarmente impresse sensazioni ed episodi che crediamo rimarranno indelebili per tutti. Come dimenticare la prima volta nel giugno del 1994 lo spareggio contro L’Osimana, che sancì il nostro approdo per la prima volta in assoluto in serie D, in uno stadio gremito in ogni ordine di posto? È qualcosa che solo chi ha vissuto veramente può capire, ma anche il ritorno in Serie D dopo oltre vent’anni non è stato da meno. Ma due partite su tutte vogliamo menzionare fra quelle che hanno segnato sicuramente il nostro cammino, una del passato contro il Catania all’epoca del presidente storico Massimino e la partita di quest’anno contro il Bari. Partite che per una realtà piccola come la nostra sono ricordi che porteremo per sempre con noi.

Dopo questa piacevole chiacchierata fra riflessioni attuali e excursus storici, in chiusura quali sono le vostre speranze per il futuro?

La nostra speranza nei prossimi anni avvenire è quella di continuare a sventolare fiera la nostra bandiera, anche se siamo consapevoli che realtà come le nostre hanno ancora più problemi per riuscire a mantenere un gruppo ultras. Ci siamo proposti all’interno della nostra comunità come un simbolo, un modo di essere, sperando che le nuove generazioni – auspicio che in questi anni abbiamo visto scarsamente realizzato – si possano avvicinare a questo mondo e scoprire cosa significa difendere i colori del proprio paese invece di guardare la serie A sul divano. In ogni modo quello che siamo e che siamo stati sicuramente non morirà mai.

Intervista raccolta da Pier Paolo Sacco.