Per una questione di totale onestà verso i nostri lettori, premetto loro che conosco Pierluigi Spagnolo e con lui è nato, nel corso di questi ultimi anni, un rapporto di reciproca (spero) simpatia e rispetto. Questo per chi possa dubitare della mia onestà o per chi voglia coltivare legittimamente il sospetto sulla mia recensione ed approfondire oltre.

D’altronde però, e non dico nemmeno niente di nuovo per l’autore con il quale ho lungamente parlato in merito, ho personalmente delle fortissime riserve verso un certo tipo di libri. Sono riserve figlie del mio percorso letterario e di studio sull’argomento ultras: la saggistica storica sul mondo del tifo mi ha francamente estenuato per la sua ripetitività ed ogni qual volta ho davanti un libro che traccia un quadro appunto storico degli ultras, lo evito a priori. Avrei fatto altrettanto con “I ribelli degli stadi. Una storia del movimento ultras italiano” se non fosse stato per il debito d’amicizia verso Pierluigi, perdendomi così un signor libro.

Restando sulla questione storica, per chiudere il cerchio prima di andare oltre, ci sono un pregio ed un difetto da questo punto di vista: il pregio è, vista la fresca pubblicazione, nella assoluta contemporaneità dei fatti narrati con cui, in pratica, si racconta tutto quel che ruota intorno agli stadi fino praticamente a oggi, alla strettissima attualità.

Il punto di partenza, invece, è fissato da ben prima della nascita del movimento ultras: snocciolando le prime turbative dell’ordine pubblico, le prime reazioni allarmistiche della società borghese e delle forze di polizia a loro tutela, si evince che il problema è connaturato in qualsiasi assembramento di folle, che un probabile focolaio cova e può scatenare virulenza a prescindere dalla presenza del tifo organizzato. A parte gli inflazionatissimi scontri citati negli Annales di Tacito fra pompeiani e nocerini, raccoglie ed offre sapiente testimonianza di scontri già nei primissimi anni del 900, della prima morte allo stadio nel 1920 in quel di Sporting Viareggio-Lucchese (per mano di un esponente delle Forze dell’Ordine: triste consuetudine degli anni a venire, per quanto il luogo comune ribalterà spesso l’oggettività) e dei primi tentativi di arginare queste derive attraverso forme embrionali di repressione.

Il difetto, in tal senso, è che non c’è ricerca storica vera e propria, ma la ricostruzione è soprattutto bibliografica: l’impianto complessivamente regge benissimo, ma ci sono dei particolari che da sempre risultano fortemente controversi e dibattuti, come la paternità del primo gruppo ultras che qualcuno rivendica attorno all’uso primigenio del termine “ultras”, altri sostengono la tesi del tifo espresso per la prima volta in modalità turbolente e distanti da quelle dei club, gettando il primo vero seme ultras. Sarebbe stato bello raccogliere qualche elemento probante e risolutivo, ma si capisce anche che un lavoro di tal forma sarebbe stato molto complicato e lungo. Questo approccio, in definitiva, nella parte storico-cronologica, restituisce agli habitué del tema quella sgradevole sensazione di ripetitività di cui sopra.

Questo “I ribelli degli stadi” è però, per fortuna del lettore e per bravura dell’autore, molto più che pedissequa lista di accadimenti storici: è un collage in cui alla storia si intreccia anche la sociologia, persino una sorta di antropologia del tifoso, la letteratura, il cinema, la musica, la moda, le sottoculture giovanili  in un tentativo ambizioso e onestamente riuscito di raccontare il mondo degli ultras in tutta la sua complessità, in tutte le sue molteplici sfumature, in tutta la sua interezza. Nel bene e nel male, senza tentare la via amorale dell’assoluzionismo, ma al contempo senza pregiudizi.

Se, come in uno di quegli improbabili giochi psicologici, dovessi pensare ad un solo termine per descrivere questo libro, direi: credibile. Pierluigi Spagnolo e il suo lavoro risultano assolutamente credibili, anche grazie all’aderenza che l’autore ha con l’argomento, che ha lambito e vissuto personalmente nella sua più giovane età, sia perché è e dimostra di essere un giornalista di razza, che approccia l’argomento con rigore, rifuggendo il sensazionalismo sciatto, se non peggio strumentale, che tanti suoi colleghi sono soliti usare quando parlano di ultras. Facendolo poi solo in maniera epidermica e senza conoscenza reale del fenomeno.

Se in virtù di questa ambivalenza c’è un augurio che mi faccio – da giornalista “embedded” e che con la realtà che racconta ha un rapporto di amore carnale – è che questo libro possa rompere davvero, come mi sembra stia facendo, la cortina che dal mondo ultras porta all’esterno. Senza limitarsi al rango di vecchi racconti nostalgici fra amici davanti al camino, ma riuscendo anche a far breccia in chi ultras non è. Far capir loro che, in questa longeva realtà aggregativa arrivata all’altisonante traguardo dei 50 anni, c’è qualcosa di più profondo e positivo delle superficiali analisi dell’opinione pubblica. In Italia non c’è un solo partito, nessuna sezione giovanile degli stessi, nessun moto extraparlamentare, nessuna sottocultura giovanile, niente di niente che abbia messo assieme lo stesso numero di persone, per lo stesso lungo lasso di tempo e al di sopra di ogni differenza di classe.

Persino da un punto di vista tecnico il libro è praticamente perfetto. Pure con l’occhio clinico del correttore di bozze, ho trovato un solo refuso in quasi 300 pagine. Oltre allo scrupolo, anche dal punto di vista grafico la casa editrice “Odoya” ha fatto un gran lavoro: l’impaginazione ha uno stile moderno, fresco e gradevole, improntato su caratteri tipografici ben selezionati ed una serie di immagini a corredo che, seppur in bianco e nero, coadiuvano e rinforzano visivamente i vari argomenti e alleggeriscono la lettura. Bella la copertina, buona la carta, anche a livello “materiale”, insomma, è un libro piacevole da sfogliare.

Il registro narrativo scelto da Spagnolo è neutro e professionale. Il ritmo lineare ma mai noioso, riesce a tenere sempre alta la soglia di attenzione di chi legge. Non si abbandona in nessun caso all’enfasi, in certi frangenti pende ovviamente più dalla parte degli ultras, ma non – come detto – per un qualche tentativo di riabilitazione forzata, quanto per una sorta di contrappasso mediatico al fine di bilanciare lo squilibrio e il pregiudizio che da sempre accompagna qualsiasi descrizione del fenomeno, sia in termini narrativi che di cronaca giornalistica.

Oltre la forma, non meno interessante è la sostanza del libro e anche il lettore più avvezzo a questo genere può arrivare a carpire e immagazzinare qualche elemento nuovo o intrigante. A parte la “blasonata” prefazione di Enrico Brizzi, anche lui con un certo pedigree ultras, foltissima e nobilissima la schiera dei “teorici” del mondo ultras ivi citati, da quelli di provenienza prettamente accademica come Elias e Dunning ad altri che la scena l’hanno vissuta per strada, dal vivo, come il mai dimenticato e fondamentale Valerio Marchi (a cui è anche dedicato il libro, insieme a Roberto Stracca, altra firma ultras venuta a mancare anzitempo).

Tanti altri i nomi che hanno, nel vero senso della parola, scritto la storia del mondo ultras: c’è Maurizio Martucci, Antonio Roversi, Balestri, Mungo, il nostro fondatore Lele Viganò e ci finisco anche io, con un certo imbarazzo, in mezzo a tutti questi giganti. Non avrei invece mai pensato di trovare il giornalista Nicola Porro in un tale contesto, ma devo ammettere che anche le sue citazioni hanno una loro valenza nella costruzione d’insieme. Ho trovato fuoriluogo invece certe pagine o gruppi facebook citati nella “sitografia” perché personalmente ritengo irrilevante (se non spesso ridicolo) il loro contributo al dibattito ultras; avrei invece inserito alcune altre che, nel loro piccolo, apportano tanto alla causa, ma alla fine – nel quadro globale di un lavoro così ampio per temi, per arco temporale coperto, per mole complessiva – sono piccoli nei che non intaccano il risultato finale.

Per chiosare, è un libro che consiglierei moltissimo a chi è completamente digiuno del mondo ultras e vuole averne una testimonianza aderente alla realtà, sia dal punto di vista storico che ideologico. Forse un po’ meno a chi ha già raggiunto un certo livello di saturazione da questo tipo di letture, eppure, se hanno un posto libero sul loro comodino o nella loro libreria, direi loro di spendersi per l’ennesima volta perché potrebbero rimanerne piacevolmente sorpresi come è capitato a me.

Chi volesse acquistarlo può richiederlo al proprio libraio di fiducia (l’ISBN è 978-88-6288-398-6, prezzo di copertina 16 €), direttamente dalla casa editrice Odoya oppure sui principali canali di vendita online quali Feltrinelli online, IBS, Hoepli, ecc.

Matteo Falcone.