Mercoledì sera. Campionato di serie C. Serata che non promette nulla di buono e squadra ospite che non accende troppo entusiasmo tra il pubblico. Le premesse per una gara sugli spalti in tono minore ci sono tutte ed invece resto favorevolmente sorpreso dalla risposta del pubblico. E si badi bene, quando parlo di pubblico non mi riferisco solo ed esclusivamente alla parte ultras, a quello zoccolo duro che bene o male è sempre presente, ma ciò che fa la differenza in occasioni come questa è proprio il contorno, quegli sportivi che seguono diligentemente le direttive degli ultras, ma possono gustarsi al meglio anche una partita seduti sui gradoni di uno stadio.

E qui vien fuori un lavoro meticoloso e che parte da lontano, di una tifoseria che sotto il nome della squadra, ha saputo coalizzare ultras, tifosi e semplici sportivi. In questo lavoro di unione hanno avuto un peso specifico importante alcune decisioni prese dalla curva nel suo insieme, prime fra tutte quelle di sapere e voler coinvolgere l’intera città nelle svariate lotte prima contro una dirigenza piuttosto “allegra” ed in seconda istanza sulla tessera del tifoso e sulle diavolerie seguenti.

Non che il risultato sia stato semplice ed istantaneo ma ormai a Pisa ogni striscione che viene alzato dalla curva, riceve un’approvazione quasi unanime dagli altri settori, segno che il solco è stato tracciato ed il risultato immediato e tangibile è una presenza che sia in casa che in trasferta riesce ad andare oltre il limite sindacale, producendo un tifo che riesce a coinvolgere una gran bella fetta di stadio.

Siamo in una fase dove il mondo ultras rinnega in parte le sue origini aggregative ed inclusive cercando la strada di gruppi elitari o comunque fortemente chiusi al loro interno, ragion per cui nuove leve o semplici tifosi fanno fatica a star dietro alle dinamiche curvaiole o che comunque riguardano il tifo più in generale. Del resto, sempre prendendo spunto dalla ormai famigerata Tessera del Tifoso, si è passati da un diniego netto ad una apertura che magari ha un po’ lasciato perplesse quelle persone che non avevano ben capito con che diavoleria avevano a che fare. Su questo molte tifoserie hanno peccato, tralasciando totalmente o parzialmente quell’informazione che andava fatta per mettere al corrente il tifoso. Poi era il singolo, per quanto singolo, a prendere la decisione sull’argomento ma questa non poteva e non doveva essere imposta.

Fatto questo preambolo, obbligatorio parlare anche di tifo. Ovviamente il settore ospite rimane deserto, del resto il Pro Piacenza non ha grossa tradizione ed è solamente parente di quel Piace che tutti, specialmente i meno giovani, ricordano con Gigi Cagni alla guida imperversare in una seria A con una squadra “Made in Italy”, che raccoglieva consensi e qualche simpatia, malgrado una prima retrocessione in cadetteria dovuta ad una incredibile vittoria all’ultima giornata della Reggiana sul campo di un Milan ormai già in vacanza. Famosa ed emblematica, in termini di “italianità”, la frase del sanguigno Cagni: “Qui parlo in dialetto bresciano e già qualcuno non mi capisce…”.

Curva Nord che si presenta ben piena e particolarmente vivace con bandiere e bandieroni sempre al vento, e con i cori che si alzano senza troppi problemi vista anche l’assenza di un avversario davanti a sé. Qualche torcia riscalda l’ambiente anche se la temperatura, malgrado si giochi in notturna, sia particolarmente gradevole. Da menzionare un paio di striscioni esposti dalla curva, il primo che prende in esame il caso Cucchi mentre il secondo ricorda l’anniversario della morte di Che Guevara. Come ormai da consuetudine anche il primo striscione, che del resto è abbastanza “forte” e tratta un tema piuttosto sensibile, si prende una bella selva di applausi da parte del pubblico, a conferma di quel feeling che ormai è un tratto somatico della tifoseria nerazzurra.

Valerio Poli