Continua il mio fine settimana di Coppa Svizzera, e la Domenica non mi lascia alternative: unica partita, nel Cantone, è quella tra il Taverne e l’Aarau, squadra di Super League svizzera che ho già avuto modo di seguire un paio di volte negli anni passati.

La Coppa continua a proporre le sue sfide impossibili tra la sfavorita di casa e la più quotata squadra ospite, fattore evidentissimo quando si gioca il primo turno eliminatorio dove, alla faccia dello snobismo prettamente italico, sono già impegnate tutte le squadre di prima serie.

Taverne si affaccia appena adesso alla finestra del calcio che conta. Nella stagione conclusasi a Maggio, ha vinto il campionato di Seconda Lega Interregionale, quinto gradino del calcio Svizzero ed ultimo prima di piombare nelle leghe cantonali. Al di là di ogni pronostico, il Taverne ha vinto il suo campionato, classificandosi primo e guadagnandosi il diritto, quest’anno, di giocare in 1.Lega Classic, la Serie C2 elvetica dove iniziano già ad esserci squadre di un certo rilievo. Basti pensare che parliamo di un comune di appena 3.000 abitanti a pochi chilometri da Lugano.

Le difficoltà, per il club giallonero, non sono mancate: il campo di Taverne non risponde ai requisiti per giocare la 1.Lega, e ci si è dovuti affidare al Centro Sportivo “Il Quadrifoglio” della pur vicina Rivera; oltre a ciò, il nuovo campionato ha visto il Taverne perdere le prime due partite.

L’Aarau, invece, è alla sua seconda partecipazione di fila in Serie A. Il club vanta una buona tradizione di pubblico ed un discreto seguito ultras, con diversi gruppi che partecipano attivamente alla vita della curva. Per loro, oggi, si prospetta una tranquillissima gita in quello che gli Svizzeri chiamano il “Cantone del sole”, anche se quest’anno di soleggiato c’è ben poco.

Anche le partite di Coppa, per gli ultras confederati, sono un banco di prova per saggiare lo stato di forma della tifoseria; in più, lo stimolo di andare a giocare contro squadre altrimenti impossibili da incontrare.

Un po’ di fortuna non guasta mai, e per la prima volta dal mio rientro dalle vacanze assisto ad una giornata che può definirsi veramente estiva. Caldo e cielo azzurro accompagnano la mia strada verso la vicina Rivera, 35 minuti di macchina tutti in autostrada, condivisa con tante auto di tedeschi e svizzero-tedeschi che tornano dalle ferie.

Il campo Quadrifoglio è quasi impossibile da non vedere, passando per l’autostrada, in quanto piazzato proprio ai suoi bordi. Mi chiedo quanti palloni siano finiti nel bel mezzo delle carreggiate. Dal paese la strada è un po’ più ostica per chi non conosce la zona, ma percorrendo l’unica strada del borgo riesco a trovare il bivio giusto, grazie anche alla presenza di un agente Prosegur (compagnia privata svizzera che, tra l’altro, subappalta uomini che hanno le stesse funzioni dei Vigili Urbani) che sbarra la strada per il campo.

Lascio l’auto davanti ad uno stabilimento deserto e mi incammino, insieme ad altre persone, per la stretta e tranquilla strada immersa nel verde che porta all’impianto. Da dove arrivo io c’è il solo pubblico locale, mentre, scoprirò, gli ospiti sono stati convogliati dalla parte opposta.

Il Quadrifoglio di Rivera ha degli spalti veramente minimi, con giusto una tribunetta scoperta in cemento costituita da appena quattro gradini. Metà tribuna è stata assegnata agli ospiti, e come divisorio è stata improvvisata una specie di transennatura in metallo (in pratica un accrocco). Anche le recinzioni per il settore ospiti sono state innalzate ad hoc, non avendo, il campo, nessuna barriera.

La prima conseguenza è che persino i locali sono troppi rispetto alla capienza, e in molti si devono accomodare sulle abbondanti collinette ai bordi o in una specie di “curva” davanti al bar. Per il resto, classico idillio da campetto di montagna Svizzero, coi suoi barbecue fumanti e le birre ghiacciate.

Il mio accredito non c’è e, fortunatamente, ho con me la lettera del presidente che mi confermava l’accettazione. Preso il pass, esco di nuovo dall’impianto e vado a dare un’occhiata presso il varco ospiti, a mio avviso presidiato in maniera eccessiva: infatti, tra poliziotti e sicurezza privata, lo schieramento di agenti è abbastanza notevole.

Entro definitivamente a bordo campo quando, ad una ventina di minuti dal fischio d’inizio, arrivano i primi ultras dell’Aarau che, dopo aver preso d’assalto la buvette (sicuramente, per i piccoli club, queste partite sono un’ottima occasione per fare cassa anche grazie alla ristorazione), sistemano i loro striscioni.

I gruppi principali ci sono tutti, così come non manca un accompagnatore, dipendente della società argoviese, che intrattiene rapporti coi tifosi e dal campo ne controlla anche le mosse. Tanta sicurezza per una sessantina di ultras, tutti arrivati con le più pacifiche e sane intenzioni, insieme a qualche altra decina di tifosi normali.

La partita comincia, gli ultras ospiti si compattano e iniziano la loro prova, cantando e mettendo in mostra numerose bandiere. Ma, più che alla partita, essi sono attirati dalla presenza della guardalinee donna, posizionata sulla linea laterale davanti a loro, una minuta ragazza bionda che si beccherà, a più riprese durante la partita, non solo svariati epiteti, ma anche un paio di cori dedicati, tra cui anche un “Ciao ciao bella ciao bella ciao”, che come base nulla ha a che vedere col noto canto partigiano.

Inizialmente gli Argoviesi fanno un tifo discreto, anche se, rispetto ad altre occasioni, non sembrano né molto motivati, né tantomeno compatti. La partita non attira assolutamente, ed il Taverne non onora la presenza del numeroso pubblico (piuttosto freddino, per dire la verità), incassando sistematicamente un gol dopo l’altro.

Dopo una mezzoretta è già 0-4 ed è inutile dire che le esultanze sono minime ed anche il tifo tende, gradualmente, a scemare, con diverse pause che mai ho riscontrato nelle occasioni precedenti per quanto riguarda questa tifoseria. Giusto al primo gol è letteralmente crollata l’improvvisata recinzione di metallo dove erano appesi gli striscioni, tra le risate generali di tutti i convenuti. Gli stessi ultras hanno rimesso a posto la loro “gabbia”.

La sorpresa arriva col gol dei padroni di casa, con l’Aarau in stato di black out, il quale rischia la seconda rete ma anche un clamoroso autogol, che sarebbe stato degno della miglior Gialappa’s. Senza altri sussulti termina la prima frazione.

Il secondo tempo va segnalato giusto per qualche fattore. Innanzitutto gli ultras dell’Aarau, almeno fino a dieci minuti dalla fine, scompaiono quasi del tutto dalla scena. Poi, l’Aarau in campo torna a smuovere il pallottoliere, fino al decisivo 1-7.

Da segnalare, sull’1-5, un rigore sbagliato da un attaccante ospite che, tra l’ilarità generale, tira sopra la traversa inciampando sul pallone (anche i suoi, in panchina, non hanno trattenuto abbondanti risate). Infine un po’ di pepe alla partita è stato aggiunto dall’agonismo della squadra ticinese, che ha cominciato a giocar duro ed anche ad apostrofare pesantemente i più forti avversari.

Forse proprio il calcio maschio, negli ultimi minuti, ha risvegliato gli ultras dell’Aarau che, oltre a cantare assiduamente, hanno cominciato a farsi numerose cariche tra di loro, sempre in un clima scherzoso e di festa.

Alla fine l’intera squadra argoviese va sotto al settore dei suoi tifosi per festeggiare la sin troppo facile vittoria. Il collettivo si porta veramente sotto la curva, e i due portieri si intrattengono più a lungo a parlare coi propri sostenitori. È una scena, questa, alla quale non mi abituerò mai veramente, e che mi fa sempre tenere in alta considerazione il calcio svizzero.

Il Taverne, a parte qualche stretta di mano a denti stretti coi propri avversari, abbandona il campo senza salutare, come da consuetudine in Coppa, sia i tifosi ospiti che i propri, i quali, comunque, avrebbero emanato più calore se fossero andati a teatro. È vero che perdere, per queste squadre, è ampiamente preventivabile, ma a volte, lo stesso, proprio non va giù.

Stefano Severi.