Il Vesuvio innevato alla mia sinistra. Il mare grigio e increspato alla mia destra, prima che la ferrovia si porti nell’entroterra e continui a solcare questa lingua di terra tra vulcano e Tirreno. Il mio vagone straborda di turisti, pronti – manco a dirlo – a scendere in quel di Pompei. Delle migliaia di persone che ogni giorno affollano questi convogli della Napoli-Salerno, sono forse il primo (e unico) a metter piede nella città del celebre Santuario per una partita di calcio.

“Per gli scavi trovate un desk appena usciti, per andare sul Vesuvio ci sono i pullman appena fuori la stazione” grida una ragazza coperta da una pettorina blu e impegnata ad accogliere i turisti. Le vorrei chiedere dove si trovi lo stadio Bellucci, ma soprassiedo per non sembrare sin troppo sarcastico. Sicuro, inoltre, che non avrebbe capito la mia ironia.

Eppure ne vado quasi fiero di riuscire a distinguermi anche in questa situazione, sfuggendo alla massa per seguire una gara di Eccellenza Campana e conoscere due realtà ultras sinora mai viste. Pompei non è certo nota per il calcio, malgrado dagli anni venti a oggi ci siano stati vari tentativi per far rotolare il pallone con un certa continuità. In origine fu l’US Pompeiana, fondata nel 1922 e vera e propria capostipite del calcio cittadino. Secondo quanto si legge su Campania Football: “Tra le curiosità da segnalare quando la Pompeiana 1950/1951 del tecnico Venditto, ex goleador del Napoli dell’ante seconda guerra mondiale, disputa lo spareggio per il 1° posto del girone B di Semifinale di 1° Divisione allo stadio Ilva a Bagnoli, avversaria l’Aversana. In quell’occasione, per la prima volta nella storia del calcio campano avvennero le riprese tv della Rai per una gara di calcio”. 

Successivamente in città si sono avvicendati vari club, tra cui ricordiamo Civiltà Italica Pompei, Rondinella, Virtus e Città di Pompei. Tutti tentativi che non sono mai riusciti a dare continuità storica alla Pompeiana e, di conseguenza, ad avere un seguito fedele e identitario. Di football all’ombra del Santuario si è tornato a parlare quest’anno, grazie all’imprenditore Mango (già impegnato a Barra e San Giorgio a Cremano) che trasferendo il titolo del club sangiorgese ha ridato vita al sodalizio rossoblu, iscrivendolo in Eccellenza e allestendo una buona squadra, con l’obiettivo di giocarsi il campionato.

La città famosa nel mondo per gli scavi è un universo a parte rispetto al resto del circondario vesuviano. Sicuramente un luogo che grazie al turismo di massa ha conosciuto molto più benessere e manutenzione e che oggigiorno si astrae vistosamente agli annosi problemi che affliggono i confini attigui. Forse anche per questo il pallone è sempre rimasto accantonato in un angolo, non meritevole di palcoscenici importanti e di un seguito popolare che invece attecchisce un po’ ovunque in Campania e soprattutto nelle zone circostanti Napoli.

Del resto lo scheletro dello stadio Fossavalle, oltre a raccontare una delle tante italiche storie di sperpero e degrado, la dice lunga su quanto l’interesse nel fare di Pompei un polo calcistico non sia mai stato preponderante. Inaugurato negli anni novanta e mai ultimato, sopravvisse appena qualche tempo, prima di essere oggetto di sequestri e indagini, venendo poi definitivamente abbandonato e ridotto a discarica a cielo aperto. Oggi, per l’appunto, restano in piedi gli spalti eretti all’epoca (della sua breve vita si ricorda un’amichevole disputata dalla Salernitana appena promossa in A nel 1998 contro la Virtus) e l’erbaccia a coprire una situazione di evidente degrado. Con la ripartenza del calcio cittadino la questione stadio è tornata ovviamente alla luce, tanto che le prime partite sono state disputate in campo neutro, mentre attualmente i vesuviani giocano al Bellucci, impianto funzionale e accogliente, quasi completamente restaurato (nuove tribune installate e campo passato dalla terra battuta al sintetico di ultima generazione). Più di qualcuno, ovviamente, vorrebbe riaprire la vicenda Fossavalle, bonificando la zona e restituendo alla città un’area fruibile e sistemata. Le promesse ci sono ma tutti sappiamo come sono le dinamiche della politica in questo Paese e anche dovessero iniziare fantomatici lavori di recupero, non si avrebbe la certezza di una sua riapertura fino all’ultimo filo d’erba sistemato.

Dispiace pensare che uno stadio in prospettiva davvero bello e avveniristico giaccia così, lasciato morire. Una contraddizione tipicamente italiana: in una città celebre anche per il suo anfiteatro romano, ben tenuto e completamente fruibile duemila anni dopo la disastrosa eruzione del 79 d.C., non si riesce a utilizzare un impianto costruito neanche trent’anni fa!

Il ritorno della dea Eupalla ha fatto sì che per la primissima volta Pompei avesse un seguito ultras vero e proprio. Se in passato qualche tentativo aveva avuto luogo con gruppi rudimentali, come l’Onda d’Urto, il lavoro che si sta facendo quest’anno parte da una base ultras a tuttotondo. Ricordiamo sempre che ci troviamo a pochi chilometri da realtà calcistiche storiche e fagocitanti come Castellammare di Stabia, Torre Annunziata, Scafati e, ovviamente, Napoli. Il gigante azzurro che nei paesi vesuviani spesso e volentieri attinge gran parte della propria utenza e che da sempre rende la vita difficile anche a curve rodate.

Il fatto che anche qui si stia provando a fare aggregazione curvaiola, che un nocciolo di ragazzi abbia cominciato a ritrovarsi domenicalmente dietro lo striscione – in casa e in trasferta – resta un segnale incoraggiante per la salute del nostro movimento. Sinora i pompeiani hanno dimostrato un buon approccio allo stadio, guidati evidentemente da menti che sulle gradinate sono cresciuti e che sanno bene come formare il pensiero anche dei ragazzi meno esperti, che per la prima volta si trovano a fare militanza, soprattutto in un panorama complicato e tosto come quello campano.

Peraltro il voler rappresentare Pompei sugli spalti passa evidentemente anche per il risalto delle radici storiche, come in ogni curva che si rispetti. La pezza Primo Daspo con l’Anfiteatro, la dice lunga a tal proposito. Il riferimento è ovviamente all’episodio che in molti designano come il primo scontro tra “tifoserie” nella Penisola: la zuffa occorsa nel 59 d.C. tra gli abitanti di Pompei e quelli di Nuceria Constantia durante uno spettacolo di gladiatori. I primi erano infatti ancora risentiti per la deduzione (vale a dire la fondazione di una colonia romana e l’invio di coloni romani da insediare nell’area conquistata) a colonia di Nuceria Alfaterna, a svantaggio della vicina Pompei, che perse così parte del suo territorio agricolo.

Durante i giochi, dalle ingiurie si passò alle sassate e poi alle armi. Alla fine dei tumulti prevalsero i pompeiani, mentre furono soprattutto i nocerini i più danneggiati, e molti di essi rimasero uccisi o tornarono a casa feriti. Il fatto è documentato da un affresco rinvenuto all’interno di una casa plebea in seno agli scavi di Pompei oltre che negli Annales dello storico e senatore latino.

Sempre per rimanere legati alla propria terra, molto significativa l’onnipresente bandiera Cenere e Lapilli, testimonianza di quella indescrivibile simbiosi con il vulcano che da sempre rappresenta paura e vita al tempo stesso per gli autoctoni.

Quando mi avvicino allo stadio – ben incastonato tra le case – non posso far a meno di notare il piccolo corteo degli ultras rossoblu, che tra cori e bandiere marciano verso il proprio settore. La sfida è di quelle importanti e, sebbene tra le due tifoserie il clima sia più che disteso, la contesa sugli spalti merita assolutamente l’attenzione di chi osserva il mondo ultras con un occhio interessato.

Da Acerra giungono una trentina abbondante di ultras, confermando la discreta tradizione di una città che ormai da diverse stagioni si barcamena nei bassifondi del calcio regionale, vedendo sempre più lontani i fasti della Serie D. Ecco, se devo fare un confronto odierno posso sicuramente dire che tra le fila granata quello che si evince è l’esperienza al cospetto degli avversari. L’essere una tifoseria ormai navigata, che sa il fatto suo è che per tutta la partita mostra un attitudine curvaiola, un modo di tifare che – per quanto ricalchi appieno lo stile partenopeo – viene palesemente da anni di presenza e militanza. Gli acerrani hanno la “cazzimma” giusta, quella che ha reso celebri le “piccole” piazze campane anche oltre i confini della regione. Voce, mani, pirotecnica e piglio adeguato. Promossi assolutamente a pieni voti!

Sul fronte opposto i padroni di casa dicono la loro dimostrandosi una realtà giovane, fresca e in netta crescita. Oltre al sempre gradito utilizzo di torce e fumogeni, i pompeiani tentano di gettare il cuore oltre l’ostacolo per aiutare una squadra che oggi è sembrata un po’ in panne. Anche per loro largo utilizzo di manate, cori a rispondere e canti tenuti a lungo. La strada intrapresa è quella corretta e la speranza è che questa nuova società sia in grado di mantener dritta la barra e dare continuità al proprio progetto calcistico, senza naufragare nei classici fallimenti all’italiana.

Credo che per questi ragazzi – ai quali va riconosciuto l’impegno per metter in piedi un discorso che mai si era proposto in queste fattezze da queste parti – già avere lo spiraglio di un club solido sarebbe un importante vittoria. L’aspetto aggregativo sta facendo il suo e l’avvicinare nuove leve alla curva resta l’unica speranza per dar linfa nuova a una cultura da stadio messa quotidianamente a rischio da commercializzazione del calcio (e anche del tifo stesso) e selvaggia repressione, che spesso sfocia in vere e proprie rappresaglia da parte degli organi preposti.

In campo è l’Acerrana a portarsi avanti dopo pochi minuti, mostrandosi squadra ruvida e difficile da affrontare. I rossoblu, infatti, riusciranno a pareggiare solo nel finale. Perdendo tuttavia punti importanti ad appannaggio di Ischia e Casoria, rispettivamente prima e seconda. Per i supporter del Toro una prova convincente, che fa ben sperare in vista della finale di Coppa Italia Eccellenza che si svolgerà mercoledì allo stadio Pinto di Caserta contro il San Marzano (la gara s’è giocata ieri ed è stata vinta dal San Marzano 2-1, ndr).

Le due squadre raccolgono i consueti saluti delle tifoserie, che ancora fanno ampio sfoggio di cori e pirotecnica, prima di salutarsi vicendevolmente con cori di rispetto. Per me è giunto il tempo di andare, pena perdere il treno per Napoli che passerà dopo pochi minuti.

Mi incammino, trovandomi ancora tra la folla di turisti che sta facendo la spola tra i siti archeologici e storici più importanti della città. Sento svariati accenti fondersi e confondersi, mentre il convoglio si riempie quasi all’impazzata. Ancora una volta il mare e il Vesuvio innevato mi circondano, mentre lascio alle spalle quell’universo parallelo dello stadio, dei suoi ragazzi e dei suoi odori particolari. Da oggi anche Pompei ha la sua anima ultras. Masnada di ragazzi che pure nel dopopartita si fermano, birra alla mano, nel commentare il tifo e nel confrontarsi sugli aspetti da migliorare. Anche qua è tangibile quanto le cosiddette “piccole” realtà, altro non rappresentino che la base vitale su cui poggia l’intero movimento.

Simone Meloni