In un bel Sabato di Dicembre, allo Stadio Bottecchia di Pordenone, va in scena la gara tra i neroverdi locali, capolista del girone B di Serie C, ed il Ravenna.

Quella che sulla carta poteva sembrare una partita già scritta o poco emozionante, si è rivelata invece gara dalle tante storie. Sia in campo che fuori. Sono storie piccole e grandi, storie che influiscono sulla partita e di conseguenza sul campionato, e storie che non c’entrano niente, ma fanno da contorno ad un pomeriggio piacevole ed allegro.

Andando per ordine, è successo che i neroverdi hanno vinto 2 a 1, allungando il distacco in classifica perché allo stesso tempo né Triestina né Vicenza sono riusciti a vincere le loro partite. Entrambi i gol del Pordenone sono nati dopo calci d’angolo di Bombagi: D’Agostini ha segnato il primo al 23’ pt., Candellone ha raddoppiato due minuti dopo.

Anche successivamente, le palle da fermo di Bombagi sono state una constante fonte di guai per il Ravenna, che però non ha preso altri gol, grazie ad una prestazione meravigliosa del subentrato portiere di riserva Spurio. Il Ravenna, a sette minuti dallo scadere, ha segnato con Siani (sempre di testa), ma è stato l’ultimo gol della partita.

L’attaccante ospite Nocciolini, ex-Pordenone, è stato applaudito calorosamente dalla Tribuna Centrale al momento della sua sostituzione. 

La Curva del Pordenone ha cantato tutta la partita per il “Pienne”. Ovviamente e comunque hanno cantato per la loro squadra, ma mi ha colpito questa particolarità: in quasi 250 partite in Italia, non avevo mai sentito una Curva utilizzare la sigla della propria targa nel proprio tifo. Dunque, i tifosi neroverdi “…escono di casa per andare allo stadio, a vedere il Pienne”. È altresì da rimarcare che non hanno mai utilizzato la parola “ramarri”: termine molto spinto per scopi di marketing che forse, proprio in ragione di ciò, risulta poco digeribile ai tifosi più genuini, quelli che, insomma, vivono lo stadio come una questione di identità popolare e non da passivi consumatori.

La Curva di casa ha cantato per tutto l’arco della partita, ricorrendo al consueto repertorio del tifo italiano fatto di battimani, sciarpate, bandierine. Sinceramente nulla di sconvolgente, ma allo stesso tempo niente affatto male e ben al di sopra delle mie aspettative.

Da Ravenna, esattamente 600 km tra andata e ritorno, sono giunti 28 tifosi per seguire i colori giallorossi, raccolti dietro qualche pezza. Quando cantavano, lo facevano in modo compatto e deciso. Al tifo aggiungono qualche piccola pausa, soprattutto dopo i due gol subiti in appena due minuti, ma non mollano mai e si meritano un’applauso per il loro impegno. Quel che a me è particolarmente piaciuto è stato il fatto che sembravano divertirsi molto, e forse è questa la cosa più importante quando si affrontano le trasferte.

Il Pordenone mi è sembrato davvero ambizioso, non sembra neanche tanto inverosimile un suo salto nella serie cadetta italiana. Lo Stadio è vecchio e piccolo, ma ci sono due cose abbastanza moderne da notare: il tabellone LED sotto la gradinata locale dove scorrono i nomi dei giocatori, il punteggio ed il minuto della partita; e la pedana rialzata per i disabili, a sinistra della Tribuna. Un po’ meno bene il Velodromo che circonda il campo, con i i piccoli raccattapalle costretti a correre in pendenza per recuperare i palloni e di tanto in tanto a scivolare rischiosamente.

Lasciamo lo stadio e ci colpisce che, nonostante il Pordenone abbia vinto e sia sempre più capolista del girone, l’atmosfera non sia quella carica di adrenalina classica dei festeggiamenti, soprattutto per le strade, dove la gente faccia pronto rientro a casa anziché appunto accalcarsi in discussioni o espressioni di giubilo. La cosa un po’ ci stupisce, ma allo stesso tempo ci rassicura vedere la gente della gradinata locale, quella che c’è sempre stata e sempre ci sarà, attardarsi invece a fare gruppo e festeggiare a modo loro la vittoria.

Servirà il marketing, la programmazione commerciale e imprenditoriale per vincere, ma conta anche e ci deve sempre essere questa sana passione popolare della gente del posto per la propria squadra. I programmi possono anche andare diversamente da come previsto, ma se si guarda ai tifosi non solo che come clienti, il loro attaccamento alla squadra rimarrà immutato e non verrà dirottato a qualche altro prodotto di consumo in quel momento più interessante o di moda.

Alessandro Macciò e Remo Zollinger