Cosa è il calcio moderno? Esattamente è un concetto alquanto effimero. In passato mi è già capitato di trattare l’argomento e dovutamente mi limitai a paragonare questa espressione al più classico dei “eh signora mia, sapesse ai tempi miei…”.

Ogni generazione, per forza di cose, ricusa in minima parte ciò che quelle successive gli somministrano. Determinati “mali” inerenti al pallone sono sempre esistiti – vogliamo parlare del doping che ha falcidiato le squadre negli anni ’70? – così come sarebbe ipocrita negare che l’aspetto commerciale legato al calcio non risalga solo agli ultimi decenni. I famosi “mercenari” non sono certo esclusivamente i Donnarumma o i Bonucci di turno, basterebbe consultare un qualsiasi almanacco dei metà ‘900, ad esempio, per rendersene conto.

Certo, al contempo è innegabile che questo sport – e il suo tifo – sia cambiato molto rispetto al passato. Repentinamente forse, di pari passo con la velocità con cui la nostra società marcia. E volge sempre più, in maniera sfinente, al business, al marketing e a tante altre terminologie anglofone che spesso sono sinonimo di omologazione e sterile normalizzazione.

Questo preambolo per dire che sebbene non creda nel problema “calcio moderno” in quanto entità fine a se stessa – piuttosto mi preoccupa l’involuzione culturale e sociale dei giorni d’oggi, travestita da salto verso il futuro – ci sono degli aspetti che davvero non riesco a tollerare nello sport contemporaneo.

Se la musica a palla per soffocare i cori dei tifosi sarebbe da abolire, pena ghigliottina, penso che il gettare continuamente palla fuori, senza che l’arbitro abbia fischiato e senza che il giocatore a terra abbia veramente ricevuto un colpo proibito, sia una delle cose più insensate e fastidiose che possa vedere sul terreno di gioco. Sarò impopolare e antisportivo, non lo nego, ma qualcuno mi può spiegare per quale motivo se il direttore di gara non arresta il gioco lo devono fare i giocatori in nome di un non ancora precisato fair play?

È successo esattamente in questa partita: al 38’ il nocerino Cavallaro controlla palla a ridosso della sua area, il compagno di squadra Dieme è a terra, in seguito a un contrasto. Non si tratta di un colpo alla testa (motivo per cui l’arbitro è obbligato a sospendere il gioco), né di un infortunio considerevole, pertanto il pallone non viene gettato  fuori. Quando Cavallaro si accorge di Dieme si ferma, i calciatori porticesi i impossessano della sfera e con la difesa avversaria ferma vanno in rete.

Ok, stilisticamente non è la cosa più bella vista in un campo di calcio. Il buon senso avrebbe comunque indotto a fermarsi. Ma, rovescio della medaglia, mi chiedo: Cavallaro non avrebbe potuto mettere immediatamente il pallone in out evitando sul nascere qualsiasi tipo di equivoco? Il calcio è calcio a ogni livello, pregno di agonismo e di giocatori spesso in trance;  tutti sappiamo che questo può succedere. Lo possiamo ritenere di cattivo gusto… ma regolamento alla mano il Portici non ha rubato nulla.

Successivamente ne nasce un parapiglia, con il tecnico vesuviano Maiuri (ex della partita) che decide di far segnare la Nocerina. Forse anche per evitare di surriscaldare gli animi.

La scelta non va a genio ai sostenitori porticesi che a inizio secondo tempo tolgono le pezze lasciando lo stadio. E qui nascono le mie successive perplessità della giornata.

Avevo apprezzato la tifoseria biancazzurra fino a quel momento. Belli a vedersi, numericamente non male e sostegno costante con diversa pirotecnica utilizzata. Ho compreso un po’ meno la loro presa di posizione. Intendiamoci: da tifoso la situazione avrebbe fatto incazzare anche me. E probabilmente avrei appoggiato eventuali cori di disapprovazione. Ma addirittura abbandonare lo stadio no. Penso sia un voler travalicare anche quella logica ultras che spesso, già di suo, si interfaccia col mondo esterno in maniera eccessivamente puritana.

A onor del vero, poi, c’è da dire che nel secondo tempo il Portici ha lottato contro una squadra più forte, sfiorando in più di un’occasione il gol vittoria. Pertanto non si può parlare di partita “venduta”. E sicuramente ai giocatori porticesi il sostegno dei propri ultras avrebbe fatto soltanto da stimolo in più. Anche in virtù della storica e massiccia tifoseria dirimpettaia.

Per la cronaca: a fine partita Maiuri rassegna le proprie dimissioni, a causa di aspre critiche ricevute anche dai propri dirigenti (che successivamente affermano di aver reagito a caldo).

Spostando l’attenzione sugli spalti: è la mia prima apparizione al Vallefuoco di Mugnano dove, in attesa della ristrutturazione del San Ciro, il Portici è costretto a disputare le gare interne. Un impianto che non rientra esattamente tra le mie grazie: decentrato, asettico, privo di un’anima e anche scomodo per fare le foto. Il classico campo dove si sono avvicendate numerose squadre momentaneamente “apolidi” (anche il Giugliano è stato costretto ad emigrare qui in attesa della restituzione del De Cristofaro), che per forza di cose non può conservare nessun senso di territorialità.

Figuriamoci poi se si parla di una squadra, come quelle vesuviana, che ha sede a 25 km e una storia – a livello calcistico e sociale – importante e ben radicata. Praticamente un altro mondo se si tiene presente del costellato e variegato universo delle compagini presenti nell’hinterland partenopeo.

E se parliamo di storia non possiamo che volgere uno sguardo proprio alla Nocerina. Uno dei sodalizi più antichi e prestigiosi della regione. Un popolo, quello rossonero, che ha sputo tenere alta la testa malgrado gli ultimi, difficili anni. Stagioni dure dopo il fallimento e i fatti dell’ormai celebre gara di Salerno. Una tifoseria erroneamente demonizzata, che ha pagato salatamente i propri errori ma che ha saputo sempre rispondere presente alle chiamate dei propri colori.

I molossi sono seguiti da un buon numero di supporter, con lo zoccolo ultras che si posiziona nella zona centrale del settore sostenendo in maniera costante i rossoneri, autori di una grandissima rincorsa che li ha portati a duellare con la Vibonese per un posto diretto in Serie C.

Come accennato in campo finisce 1-1.

Non ho molto tempo per traccheggiare sul campo e trafelato guadagno la via dell’uscita per dirigermi verso la fermata metro. Tra i vicoletti di questo paesone (34.000 anime), uno dei tanti nell’area a nord di Napoli, sfrecciano motorini e bambini impegnati a giocare per la strada. È uno dei marchi di fabbrica della Campania, una regione particolare e contraddittoria, che sa sempre offrire spaccati sociali da raccontare. Oltre a un sole che, forse per la prima volta in questo 2018, mi ricorda che la primavera è già entrata da qualche giorno.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Simone Meloni e Antonio D’Acunzi.

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