Se il sabato pomeriggio sei a Udine, la cosa più normale è trovarsi il giorno seguente a Portici. A esattamente 845 chilometri di distanza. L’Italia può essere mentalmente molto più corta di quanto si pensi.

Arrivo a Napoli molto presto, con una pioggia battente che inzuppa la città rendendo difficoltosi i più elementari spostamenti. Dovrò avere molta pazienza e cercare di oltrepassare la mia naturale idiosincrasia verso questo agente atmosferico che odio in maniera riprovevole. Un’acredine talmente forte da farmi rinunciare spesso e volentieri alle partite (soprattutto quelle delle serie maggiori). Questo in virtù del classico ambiente che si crea sotto l’acqua: gruppi che si sparpagliano, tifo spesso inesistente, una miriade di ombrelli aperti e un colpo d’occhio al limite dell’indecente. Un imborghesimento che mal tollero e per cui, dunque, neanche spreco tempo ed energie.

Ho comunque sentore che oggi la pioggia non intaccherà lo spettacolo, avendo di fronte due realtà composte quasi esclusivamente da ultras.

Mettere piede sulla Circumvesuviana è sempre un’esperienza di vita. Mancano un paio d’ore al fischio d’inizio e posso concedermi un bel giretto per la città prima di raggiungere lo storico stadio San Ciro, che risulta essere uno dei motivi della mia visita.

Sebbene l’impianto sia tutto sommato di recente costruzione (l’inaugurazione risale al 1985) a vederne le foto ne ho sempre avuto un’impressione fascinosa, con quei suoi larghi gradoni, i quattro settori a disposizione e la pista d’atletica a delinearne il carattere polifunzionale tipico degli stadi di una volta. Inoltre l’inagibilità dello scorso anno aveva costretto il Portici a disputare le gare interne nell’iper sfruttato campo di Vallefuoco di Mugnano. Non di certo una pietra miliare degli stadi campani.

Quale migliore occasione per fare il mio esordio a queste latitudini se non una gara tra due piccole realtà, in una giornata dal meteo pessimo e in una gara di medio-bassa classifica? Gli ingredienti per ammirare chi ha fame di gradinate ci sono tutte.

Circumnavigando il perimetro del San Ciro mi imbatto nei ragazzi di Sancataldo, che in una sorta di corteo silenzioso stanno raggiungendo l’ingresso. Indubbiamente un buon numero, considerato il loro bacino non certo immenso e una posizione geografica che sicuramente non li aiuta mai. Ma forse, conoscendo il loro spirito “folle”, ciò li rende persino felici e soddisfatti.

Immortalati i bei murales realizzati dai porticesi proprio in prossimità dell’ingresso ospiti, posso finalmente mettere piede sul tartan che circonda il manto verde. Manco a dirlo l’acqua ha ricominciato a cadere copiosa, dopo avermi dato tregua per un paio d’ore. Come previsto la cosa sembra interessare solo marginalmente le due fazioni, impegnate a montare gli striscioni e a scaldare le ugole con i primi cori.

Il pubblico non è quello delle grandi occasioni e il fatto che questo stadio disponga di una capienza ben al di sopra dei 7.000 posti evidenzia ancor più suddetto fattore. In compenso noto con estrema facilità quanto il commissariato locale sia impegnato a riprendere minuziosamente ogni movimento dei supporter campani. Chissà di quale efferato delitto si sarà macchiato questo manipolo di ragazzi alle prese con striscioni e bandiere. Tralasciando gli stucchevoli strali del piagnisteo/vittimismo ultras, è indubbiamente difficile oggigiorno convincere un ragazzo a frequentare lo stadio anziché restare di fronte al proprio cellulare.

La certezza di entrare in un luogo dove buona parte dei propri diritti vengono puntualmente sospesi non invoglia neanche i più temerari.

Dall’altra parte i siciliani hanno srotolato il loro striscione, disponendosi ordinatamente dietro di esso e provando a sventolare un paio di bandieroni. La pioggia li renderà man mano sempre più pesanti, tanto da essere accantonati per il resto del match.

Mi trovo per la seconda volta al cospetto dei sancataldesi e posso soltanto confermare la bella impressione avuta un annetto fa, quando li vidi a domicilio. Nel contesto ormai omologato e spesso noioso delle tifoserie italiane, gli amarantoverdi sono davvero un bel vedere. Oltre al tifo costante e intenso, la cosa che più mi piace è osservare quanto i presenti si divertano alla loro maniera. Senza seguire un copione, senza star dietro a mode o cori modaioli. Un gruppo che si chiama Commando Neuropatico è già di suo tutto un programma. Di certo non si può asserire che questi ragazzi facciano qualcosa per non far trasparire la motivazione di tale nomenclatura.

Tanti cori sono scanditi in dialetto mentre molte basi sono riprese dal vecchio repertorio italiano oppure da canzoni finora a me sconosciute. Insomma, sembra di vedere una tifoseria nostrana una quindicina di anni fa, quando la fantasia era ancora un tratto distintivo delle curve e il poter avere un proprio modo d’essere, diverso da quelli delle grandi piazze, era un vanto e non un qualcosa di cui vergognarsi.

Sul fronte opposto i porticesi non stanno a guardare. I numeri non sono elevati ma la ventina di ragazzi presenti dietro le pezze non si lascia impressionare, macinando tifo per tutti i ’90 e offrendo una miriade di manate stilisticamente perfette.

Faccio un considerazione: nelle ultime stagioni mi sono ripromesso di non andar dietro a meteore o tifoserie passeggere, che sempre più spesso nascono come funghi seguendo un paio di stagioni, facendosi fotografare a destra e a manca per poi sparire puntualmente da un momento all’altro. Queste sono spesso alla ricerca di una fama effimera e io, nessuno me ne voglia, non sono disposto ad assecondarle.

Questo discorso non vale ovviamente per i biancazzurri, che malgrado tanti alti e bassi ritengo comunque una tifoseria storica della zona vesuviana. Ragazzi che peraltro non mi sembra siano molto avvezzi a “spammare” le proprie foto sulle varie paginette ultras esistenti in quella cloaca a cielo aperto chiamato Facebook.

Storica è anche la loro squadra, che va senza dubbio messa nello stesso novero di altre “nobili” presenti nella zona. Il Portici vanta anche tre apparizioni in Serie C, avvenute nell’immediato dopoguerra.

In campo le squadre si annullano a vicenda e alla fine lo 0-0 è forse il risultato più logico. Prima di lasciare il San Ciro immortalo i rispettivi saluti tra giocatori e tifosi. Le gradinate si svuotano lentamente, mentre a me aspetta un viaggio di ritorno che sarà segnato da una stanchezza che ora mi aggredisce in maniera evidente.

Saluto Portici prendendo ancora una volta il vecchio treno della Circumvesuviana. La pioggia, che sembrava aver smesso, è tornata a farsi sentire. Ma ora l’unico pensiero è quelli di salire sul treno per Roma e lasciarsi alle spalle due giorni follemente passati tra estremo nord e sud Italia!

Simone Meloni